[Bonelli] Dylan Dog

Editore che ha dato i natali ad alcuni dei personaggi più iconici della tradizione fumettistica italiana, toccando tanti generi diversi ma con uno stile unico e inconfondibile.
  • Mi pare corretto segnalare agli interessati che dalla scorsa settimana è partita una nuova iniziativa di collaterali con La Gazzetta dello Sport, questa volta dedicata ai Dylan Dog Color Fest: vengono infatti ristampate le 52 storie brevi che, al ritmo di 4 per albo, hanno affollato le pagine della strenna a colori sull'Indagatore dell'Incubo.
    Il primo numero conteneva però un inedito: La Nuova Alba dei Morti Viventi si pone infatti come un remake della primissima storia di Dylan (DD #1), un omaggio e un modo originale per introdurre i lettori all'iniziativa editoriale di RCS. Ai testi il "demiurgo" del personaggio, Roberto Recchioni, e ai disegni uno dei suoi pards, quell'Emiliano Mammucari che con il Rrobe ha già collaborato varie volte, specie con Orfani.
    Ho parlato in modo diffuso di questa prima uscita qui, mentre questo è il reportage della conferenza stampa tenutasi nella redazione della Sergio Bonelli Editore il 21 luglio scorso, a cui ho partecipato come inviato dello Spazio Bianco e in cui veniva presentata la collana in generale e la prima storia in particolare.

    Per quanto fortemente tentato (dall'idea, dal formato, dalla grafica e dal prezzo, decisamente invogliante), ho già rinunciato all'idea di seguire questo allegato: la costanza di comprare settimanalmente un albetto del genere non so se ce l'avrò, e i pur miseri 2 euro come obolo richiesto rischiano di essere un problema, sulla lunga distanza. È però un peccato perché è una collana che mi sento davvero di consigliare, anche e soprattutto a chi conosce poco Dylan Dog e non possiede i Color Fest.
    Andrea "Bramo" L'Odore della Pioggia
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  • Ma, gentili signori e signore, due parole su questa saga non Vi paiono più che doverose?
    Sic stantibus rebus: questo Bilotta - e per "questo" intendo "questo del Pianeta dei morti" - sembra essere veramente un genio.
    Eh, sì, perché solo un genio può rigirare una zuppa per quattro volte riuscendo per quattro volte a farla sembrare fresca e nuova. Per carità, per quattro volte egli ha contato sull'apporto di grandi illustratori in stato di particolare grazia; o di grandi illustratori in stato di particolare grazia per merito della sua genialità. Purtuttavia, solo un genio è capace di trasformare una bischerata per amici, una lanugine d'ombelico, in un serial vero e proprio, sempre sorprendente e apparentemente fresco e nuovo.
    Perché Il pianeta dei morti questo è: autoreferenzialità, citazioni che citano citazioni; e, pure, storie che avvolgono e rendono partecipi dello status del protagonista.
    Il motivo? Boh. Lo sapessi, sarei un genio anch'io.
    Dylan Dog Special #29 - Il pianeta dei morti #4: La casa delle memorie (Bilotta/Casertano)
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    La prima storia era un omaggetto dolce e grazioso. La seconda un prequel dall'intelligenza impressionante. La terza un sagace allungamento di brodo, vietato agli Immemori.
    Questa quarta è un capolavoro di autoreferenzialità e ricostruzionismo (si può dire?). Un eccellente episodio di una saga - già per quattro volte! - sorprendentemente sorprendente.
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    Ottimo lavoro.
  • Speciale Dylan Dog #29 – Il Pianeta dei Morti: La Casa delle Memorie
    max brody ha scritto:Ma, gentili signori e signore, due parole su questa saga non Vi paiono più che doverose?
    Eccomi, eccomi :P
    Anche se già mi ritrovo abbastanza nel tuo commento :)

    Con La Case delle Memorie, Alessandro Bilotta torna ad occuparsi della saga del “Pianeta dei Morti”, da lui ideata nelle 3 storie per alcuni albi fuori serie di Dylan Dog (poi raccolte nel bel volume BAO).
    Da quest’anno infatti l’appuntamento con questo ciclo diventa fisso e annuale, all’interno dello Speciale Dylan Dog in edicola ogni settembre.

    Siamo avanti nel futuro di circa vent’anni, in una Londra (e un mondo) in cui l’apocalisse zombie è una realtà consolidata: i Ritornanti convivono con i vivi, ma sono pericolosi e instabili, causando confusione e una diffusione impazzita del morbo che li ha resi tali.
    In questo scenario si muove un Dylan Dog invecchiato nello spirito, prima ancora che nel corpo, piegato dal senso di colpa per quanto non ha fatto quando ne aveva la possibilità e da una insopprimibile apatia che gli fa affrontare la vita senza nessuno slancio e senza concedersi nessun tipo di speranza.
    Questa connotazione del personaggio era il punto forte delle storie precedenti, e Bilotta la riprende ovviamente ora, rilanciandola in modo ancora più disperato: frasi nichiliste, atteggiamento privo di qualsivoglia tipo di verve e addirittura il tentativo di farla finita, tramite l’iscrizione ad un centro di morte assistita.
    Non è solo Dylan a venir mostrato in tutte le sue debolezze: lo sceneggiatore romano sfrutta in diversi punti della storia un certo numero di tavole per focalizzarsi su alcuni personaggi secondari, su cui normalmente si glisserebbe perché unicamente funzionali al procedere della trama, ma che stavolta vengono invece approfonditi tramite monologhi e pensieri in prima persona, rendendo decisamente credibili queste figure grazie alla pietas che l’autore sa infondere nell’uomo comune, cosa peraltro ampiamente dimostrata negli albi della sua serie Valter Buio.
    Il rovescio della medaglia in questo approccio si ritrova nella scansione del ritmo narrativo, che risulta frammentato e poco uniforme, con un indagine che corre sì per buona parte dell’albo, ma con l’impressione di restare in realtà sullo sfondo. Alcuni Immemori, persone che hanno abbandonato la propria vita per andare in centri che cancellano la loro memoria, sono tornati dalle proprie famiglie senza ricordare il periodo della propria assenza, con esiti spesso drammatici: Dylan si interessa suo malgrado di questo fenomeno e cerca di capirne di più, ma l’attenzione dello sceneggiatore è soprattutto per i moti dell’animo del protagonista e dei derelitti sullo sfondo, più che per il caso su cui si concentra l’Indagatore dell’Incubo, che assume così i connotati di mero pretesto. Indicativa di ciò è la risoluzione del mistero, affrontata in modo troppo rapido e con una mente dietro all’intrigo che risulta tanto affascinante quanto poco approfondita.
    Anche la parte su cui Bilotta eccelle, cioè scavare nell'animo tormentato del protagonista e di alcuni personaggi sullo sfondo, rischia in alcuni punti di risultare esageratamente insistita, con il possibile inconveniente di apparire come una forzatura tutta quell'oscurità, a forza di presentarla a piè sospinto. Un difetto perdonabile, comunque, in luogo di sensazioni ed atmosfere così avvolgenti.

    I disegni di Giampiero Casertano sono buoni, nel complesso, anche se non omogenei qualitativamente: vignette dove il vecchio Dylan appare visualizzato in maniera interessante si alternano ad altre nelle quali il tratteggio e l’amore per il dettaglio fanno apparire troppo carichi i primi piani del personaggio. Di contro, risulta molto buono il lavoro di caratterizzazione grafica dei personaggi secondari su cui di volta in volta si concentra Bilotta.

    La Casa delle Memorie è dunque una storia degna di interesse, con molti spunti che permettono di riflettere sull’animo umano e sulle tematiche tanto care alla poetica dello sceneggiatore, quali la solitudine, il rimpianto, il peso della memoria. Alcune parti che fanno da “tappeto narrativo” a questi argomenti non convincono fino in fondo, ma anche considerando che molti degli spunti qui non approfonditi potranno essere sviluppati negli episodi futuri, in generale si tratta di un albo consigliato.
    Ne ho parlato qualche giorno fa anche sullo Spazio Bianco ;)
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  • Non guardo Facebook per 2 giorni e torna Sclavi. :P
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    Ottimo lavoro.
  • Dylan Dog #356 – La macchina umana

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    Erano mesi che non compravo più Dylan Dog: dopo aver rinunciato al proposito di iniziare a seguirlo regolarmente con la “Fase 2” curata da Roberto Recchioni, ho preso solo i numeri che mi attiravano per qualche motivo, e ultimamente non ce ne erano stati.
    Serviva l'arrivo di Alessandro Bilotta a farmi riacquistare il mensile: così come non mi perdo un numero di Le Storie scritto dallo sceneggiatore romano, infatti, la regola vale anche per DyD, ed è così che mi sono acquistato e letto La macchina umana.
    Come prevedevo, non sono rimasto deluso: la storia tiene il lettore incollato alla pagina, riuscendo davvero a terrorizzarlo senza ricorrere a mostri o strane presenze, ma portando alle estreme conseguenze una realtà rintracciabile nella vita quotidiana. Per quel poco che ho letto del Dylan classico, era un po' il meccanismo alla base delle intuizioni di Tiziano Sclavi, ed è evidentemente un modello che funziona sempre.
    Bilotta mette in scena la realtà lavorativa di un ufficio, che impone ritmi produttivi impossibili, annulla i diritti dei dipendenti e ne risucchia pian piano la vita, permettendo una sorta di relax solo in via del tutto veicolata attraverso il consumismo più becero e spersonalizzante.
    Non si lavora più per vivere, ma si vive per lavorare, con il lavoro che perde di qualunque senso, tanto che verso la fine vediamo i capi essere [spoiler]nient'altro che scimmie senzienti[/spoiler].
    Dylan si ritrova coinvolto come impiegato, che si è fatto assumere perché qualcosa non tornava all'interno di quell'azienda, ma presto viene assorbito come tutti i suoi nuovi colleghi, perdendo l'identità e la memoria di sé.
    L'albo spinge ad una riflessione su quanto sta accadendo al mondo del lavoro in questi ultimi anni, dove spesso si i diritti sono un optional in nome di quella crisi per cui, se non ti stanno bene certe regole, puoi lasciare il posto ad altri che saranno costretti invece a piegarsi.
    Ed ecco che quest'albo inquieta e disturba l'animo del lettore, che è un po' la cosa che ho sempre pensato dovesse fare Dylan Dog. La ritengo quindi un'ottima lettura, su diversi piani, non ultimo quello grafico: il talento di Fabrizio De Tommaso permette di visualizzare al meglio l'incubo realistico in cui Bilotta ha cacciato l'Old Boy, con tratto dettagliato e ricco di ombre e tratteggi, il tutto adatto per creare la giusta atmosfera.
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  • Sì, molto buono. Di fatto è il secondo numero del nuovo corso dopo Al servizio del caos.

    La cosa triste è che l'ho letto in un centro commerciale, sotto uno schermo sintonizzato su Tgcom24.
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    Ottimo lavoro.
  • finì anche nel mio radar, ma ancora non l'ho preso. Felice di avere conferma che è un bel numero. Con Dyd non si sa mai.
    “DISCUSSIONE, NON RECENSIONE!”

    :solly:
  • Dylan Dog Color Fest #17

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    Soggetto e sceneggiatura: Paola Barbato
    Disegni: Franco Saudelli
    Copertina: Ausonia
    Colori: Oscar Celestini
    Uno sciagurato crimine, commesso da Riza, ha provocato la morte della sua famiglia. Per ottenere vendetta, l’uomo si rivolge a Baba Yaga, la mitica strega del folklore russo che, in cambio, si impadronisce della sua anima, impedendogli in tal modo di morire. Ma Riza è talmente disperato (anche a causa di una malattia terminale che lo fa soffrire atrocemente) da voler farla finita a tutti i costi e, per raggiungere il suo scopo, si rivolge a Dylan Dog.
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    Urgh! Che finale...Disgustomachevole!
    Però la storia scorre bene ed è divertente.

    A proposito di Ausonia, nel precedente Colof Fest mi era piaciuto il suo racconto breve "Abiti su misura":

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    Un'ambientazione e dei personaggi surreali un po' alla Dorohedoro, per chi conosce il bel manga horror di Q Hayashida.
  • Sclavi torna ai testi.

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    :oO:
    Assurancetourix
  • Speciale Dylan Dog #30 – Il Pianeta dei Morti: La Fine è il mio inizio

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    A partire dall'anno scorso l'appuntamento annuale con lo Speciale Dylan Dog è dedicato alla saga del Pianeta dei Morti, creata da Alessandro Bilotta.
    Se La Casa delle Memorie mi aveva convinto ma non del tutto, perché trovavo che non ci fosse un buon equilibrio tra la trama d'indagine e l'introspezione nichilista che Bilotta cuce addosso a Dylan Dog (equilibrio che trovavo invece in modo maggiormente armonico e unitario nelle 3 avventure che diedero il via alla saga), il problema si risolve ora con La fine è il mio inizio: lo sceneggiatore costruisce infatti una lunga prima parte completamente dedicata a riflessioni, dialoghi, non-detti e inquietudini filosofiche di cui è preda il protagonista, e che Bilotta cesella così bene da rendere dannatamente partecipe il lettore di queste paturnie.
    Se lo può permettere, visto che la storia riprende dal punto a cui eravamo arrivati un anno fa: Dylan che decide di rassegnarsi all'oblio promesso dall'Oasi, una parte di Londra separata dal resto della città, costruita per permettere a chi lo vuole di dimenticare la situazione attuale, con il mondo invaso dai Ritornanti.
    La seconda parte della storia, che mostra la ribellione del residuo di coscienza del detective dell'impossibile, torna maggiormente all'azione, con risvolti narrativi interessanti e l'introduzione nel cast di una vecchia conoscenza dei lettori dylaniati... noto persino a me che conosco ben poco della serie. A metà tra omaggio e colpo di scena, Bilotta cala un poker d'assi mica male per l'evoluzione e la conclusione di questa storia, con una prova generale molto positiva e che si dimostra complessivamente più riuscita dell'albo precedente. Certo, la ricerca dell'equilibrio tra azione e introspezione si rivela sempre affannosa (meglio dell'anno scorso, ma comunque la divisione piuttosto netta tra prima e seconda metà resta), ma restano 160 pagine di qualità narrativa... e anche grafica. Giulio Camagni fa un lavoro molto buono alle matite, soprattutto nei primi piani, anche se in alcune vignette il tratto e il modo con cui rappresenta alcuni volti mi ha lasciato qualche perplessità.
    Resto comunque in trepidante attesa per vedere Bilotta di nuovo alle prese con una serie mensile, come fu ai tempi di Valter Buio, cosa che accadrà la prossima primavera con Mercurio Loi.: sarà un po' un banco di prova, dopo tante cose autoconclusive o dalla continuità molto dilatata, per vederlo alle prese con un prodotto a ritmi serrati e vedere quanto è cambiato, cosa in bene e cosa in male, rispetto alla splendida miniserie Star Comics che me lo fece conoscere.
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  • Dylan Dog #361 - Mater Dolorosa

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    Del numero che celebra il trentennale di Dylan Dog si è detto e scritto tanto fin dall'inizio del mese scorso, quando chi l'aveva letto in anteprima aveva iniziato a parlarne in toni entusiasti.
    Poi di contro sono iniziate a circolare anche recensioni che puntavano il dito su vari difetti, e riequilibrare gli animi, quasi a dover reagire all'ondata di entusiasmo.

    Quel che si sapeva per certo che era una storia importante, per vari motivi, e che Roberto Recchioni aveva investito molto in termini di realizzazione di una storia che, in quanto celebrativa, si poneva come snodo importante per la continuity del personaggio e per i nuovi elementi di continuity impostati in questa nuova fase recchioniana.

    Il mio spassionato parere è che il problema stia tutto qui: la volontà di inserire tantissimi elementi - Xabaras, Morgana, il flashback onirico preso di peso dal n. 100, Mater Morbi, John Ghost, il Dottor Vonnegutt - rende la storia fin troppo densa, ricca di elementi e situazioni, in un modo però che fa sembrare l'albo strettino al complesso di informazioni che si vuole inserire: infatti le cose interessanti non mancano, ma c'è troppa carne al fuoco.
    Non è un caso che invece l'albo vinca molto bene sotto il profilo dell'atmosfera: riprendere per buona parte dell'avventura il setting di La Storia di Dylan Dog di Tiziano Sclavi - che ho recuperato e letto apposta per godermi al meglio questo numero - è un'idea molto buona, e tutto quell'insieme di sensazioni, emozioni e moti d'animo di ricerca di se stessi da parte del protagonista è reso secondo me molto bene. Nella parte centrale avverto molto l'angoscia del personaggio, il suo smarrimento, ché quasi mi ha disturbato come giusto che faccia Dylan, del resto.
    Questa componente puramente emotiva viene esaltata particolarmente dai disegni e dai colori di Gigi Cavenago, che ha realizzato un vero e proprio capolavoro grafico, senza paura di esagerare.
    L'artista ha realizzato tavole eccezionali: splash-pages evocative, volti dettagliati e armoniosi, sfondi ricercati per le ambientazioni e fortemente onirici e visionari per quelle vignette che rappresentano scene più eteree e interiori a Dylan.
    Pagine che è una gioia per gli occhi guardare e riguardare, per trovare sempre nuove meraviglie di rimirare.

    Poi ok, lo scontro pompome tra Mater Morbi e Morgana è la classica sboronata recchioniana, ma gestita abbastanza bene, tanto da non stonarmi neppure troppo, e le scene con Ghost inutili, indipendentemente che poi trovino un contesto maggiore in futuro.
    Per ora quello che abbiamo in mano è un albo di una fattura straordinariamente buona per quanto riguarda l'estetica, che accompagna una sceneggiatura pregna di significati che vince sotto il profilo emozionale e di sensazioni ma che paga il bisogno di contenere diverse anime e istanze narrative per le "sole" 96 pagine canoniche.
    Non è il tanto celebrato "nuovo traguardo del fumetto popolare": narrativamente è una storia perlopiù riuscita ma che è lontana dalla perfezione, e graficamente abbiamo un prodotto molto difficilmente replicabile con continuità nell'ambito del fumetto periodico da edicola.
    Però è una lettura più che buona e, da casual reader di Dylan Dog, posso dire che sia anche una celebrazione riuscita.
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  • è sostanzialmente la storia "perfetta", o quasi, quella che ogni vero fan di DD vorrebbe avere la possibilità di scrivere, vedere disegnata così e pubblicata.
    C'è tutto, ci sono varie chiavi di lettura (non una o due: di più), c'è un "senso del racconto" (come lo chiama Artibani) notevole, c'è tutta la celebrazione della mitologia dylaniata che più celebrativa di così mancano solo Groucho e Bloch che portano la torta con le candeline.
    Certo, è di fatto una fan fiction. Una fan fiction piuttosto bella. E questo è il suo difetto. Perché dieci anni fa Sclavi ha chiesto di chiudere con tutta la paraphernalia di Xabaras, passato e futuro di Dylan, Morgana e galeoni - tanto da ordinare a Paola Barbato due albi ben farciti - ma nessuno rispetta il volere dell'Autore e a ogni celebrazione (e non solo) viene ritirato fuori tutto il carrozzone. Va beh, non è d'obbligo per chi legge farsene un problema, però così è. Diciamo che qui almeno c'è qualche piccola innovazione (e cmq il #300 mi era piaciuto).
    Altro noto problema delle fan fiction, com'è noto, è che chi le fa rischia sempre di lasciarsi trasportare dalle seghe mentali. E questo purtroppo accade anche qui - brevemente, ma accade - con il tragico spieghino del galeone sdoppiato (il simbolo della Fantasia trasformato in mero oggetto, sob).
    Di contro, varie tavole veramente imponenti (su tutte, il mare con il faccione mostruoso) s'imprimono nella memoria - e ahimé, mi costringono a buttare via bozze di fan fiction mie a questo punto sorpassate.
    Per finire, personalmente non amo "Mater Morbi" (nel senso che per me la malattia è un blob abominevole, non una bella troiona) ma devo ammettere che qui ci sta e fusa con Morgana acquisisce anche altri significati. E mi è piaciuto questo sanguinare suo e della sua nave, assimilabile alla mia idea di malattia sopradetta, almeno per associazione visiva.

    Speciale molto bello, ma non capisco perché tutti dite che La casa delle memorie è inferiore. Non è vero, smettetela tutti o lo dico al signore della televisione.
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    Ottimo lavoro.
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    DYLAN DOG 362
    Dopo un lungo silenzio

    L'albo tanto atteso che segna il ritorno di Tiziano Scalvi come scrittore del suo personaggio, uscito in anteprima a Lucca Comics & Games.
    La storia, a differenza del numero precedente, si presenta godibilissima anche per chi di Dylan Dog ha letto poco o niente, focalizzato sui problemi di Dylan più che su fattori paranormali trovo personalmente che questo numero sia ottimo, veramente sopra la media dei numeri recentemente usciti; questo è dovuto soprattutto alla sua diversità, che si presenta come numero speciale e non come normale numero della serie. Il problema di queste tipo di storie è che non possono riproporsi troppo spesso, rischiando così di togliere spazio alla natura principale della serie. Ottimo numero per iniziare a leggere il personaggio, per conoscerlo nei suoi difetti, e speriamo che la qualità rimanga più o meno così
  • Dylan Dog si merita un mio post, perché è uno di quei pochissimi fumetti che hanno superato la fase "novità" e si sono stabilizzati tra le mie letture di fiducia.

    Da dove parto? Da qualche considerazione generale: è effettivamente un fumetto che non può non piacere al 95% dei lettori di comics. La sua anima è fatta di male di vivere, spleen, malinconia, romanticismo, delicatezza, tutto cose di cui i nerd abitualmente si cibano (vista questa sua natura baudelariana, è da leggere "con moderazione", poiché in qualche modo questo pessimismo aleggiante si insinua nell'anima di chi legge).
    Detto questo, qui sta anche un "problema" della serie: il far diventare questi tratti caratteristici una "formuletta" standard da applicare alla serie, dei cliché da seguire, perlomeno nelle storie meno spontanee ed ispirate (che sono comunque la maggior parte, considerando i 30 anni del personaggio), quando invece, usati con trasporto dall'autore, sono il veicolo per storie straordinarie.
    Da qui ne consegue che chi scrive Dyd deve avere un animo, un modo di ragionare affine a quello del personaggio (diciamo pure di Sclavi).
    Insomma, non deve essere per niente facile riuscire a scrivere belle storie su Dyd.
    Ora, io non ho nulla contro Roberto Recchioni, ma posso a questo punto capire l'astio di molti: personalmente, l'impressione che mi ha dato leggendo le sue storie e seguendolo sui social è di essere il contrario di quel che ha bisogno il personaggio. Riversando sé stesso nel fumetto sta andando nella direzione contraria a quella del personaggio.
    Purtroppo, la Bonelli è presa in ostaggio da 2/3 personaggi, uno di questi è Dyd: chiudere non si può, pure se sarebbe la cosa giusta da fare (danno d'immagine ed economico clamoroso), ma nemmeno vende più come ai tempi d'oro: come fare? Svecchiamo, facciamo qualcosa per giustificare ancora la sua esistenza. Insomma, è un tirare a campare obbligato.
    Comunque, non voglio partire con i soliti discorsi che si trovano su questo tono in internet, anche perché non sono un nerdone che ha 30 anni di storie alle spalle per poter giudicare in modo così preciso queste dinamiche, sono però un lettore che ha letto senza pregiudizi campioni di buona parte delle epoche della serie regolare, e queste sono state le mie impressioni. E comunque sia, a livello "concettuale" sostengo molto più i nuovi numeri in edicola che non quelli buttati dietro a 2 euro nelle stazioni.

    Ancora qualche altra riflessione, che non sarò certo il primo a fare. Cos'è che secondo me davvero colpisce, in Dylan Dog?
    1) I dialoghi: dopo un po' mi sono "assuefatto", ma inizialmente, pensavo: "porca vacca, ma sembrano dialoghi usciti dalla vita di tutti i giorni, non sono per niente costruiti, finti, sono proprio spontanei". Ecco, per uno abituato ai dialoghi ciminiani, pur nella loro bellezza, lo stacco è notevole 2) I personaggi: Dylan a parte, Groucho e Bloch sono proprio dei bei personaggi, e ho iniziato ad amarli del tutto dal numero 200 3) Le atmosfere: come dire, il respiro generale di tutta la storia. Spesso il bello di un albo non sta nella trama in sé, bensi nell'atmosfera che si respira. 4) Montaggio/tensione sul lettore: (Sclavi) e per alcuni disegnatori (Brindisi, Roi) 5) Tematiche/sperimentazioni/modernità: pensiamo che il primo Dylan è dell'86, e molte cose sono innovative viste anche oggi.
    Tutto questo, in un fumetto seriale e commerciale non mi pare roba da poco.

    Qualche commento ai numeri:
    n. 2, Jack lo squartatore: volendo partire dalle basi del personaggio, più indietro del due non posso avventurarmi, sia per reperibilità che per $. Storia ancora lontana dai fasti che conosceremo, ma già con alcuni tocchi sclaviani. Montaggio degli eventi già buono, non ancora una bomba ad orologeria come accadrà più avanti in molti numeri.
    n. 10, Attraverso lo specchio: siamo solo al numero 10, ma qua già si respira il Dyd da leggenda. Dovrei ridarle una letta, comunque.
    N. 16/17, Il castello della paura, La dama in nero: una delle poche in due tempi, ben congegnata ma non mi ha detto molto. Disegni più umoristici che seri, in vari punti.
    n. 19, Memorie dall'invisibile: uno dei capolavori "storici" su cui tutti concordano, io solo in parte. Come dicevo più su, qui si vive soprattutto di atmosfera. Di sicuro uno degli apici, che però non arriva subito, ma necessità di riletture.
    n. 20, Dal profondo: qui secondo me siamo al capolavoro surreale, una delle componenti tipiche della testata. D'impatto. Castelli inserisce di peso una citazione evidente a "Zio Paperone e il tesoro di Gengis Khan.
    n. 25, I conigli rosa uccidono: belle le varie cit. ai cartoni animati, la storia magari non spicca rispetto ad altre del periodo, ma è comunque tra le "leggende".
    n. 39, Il signore del silenzio: dovrei rileggerla, per un giudizio giusto.
    n. 40, Accadde domani: capolavoro per quanto riguarda l'intrecciarsi dei vari fili della trama.
    n. 41, Golconda:: anche qui si vive molto d'atmosfera. Splatter a livelli assurdi, il corpo umano diventa plastilina.
    n. 45, Goblin: bella storia che, parlando di morti varie, alla fine porta avanti un discorso animalista (troppo buonista, forse?).
    n. 59, Gente che scompare: anche qui, necessiterei di una rilettura.
    n. 61, Terrore dall'infinito: qui siamo al mio albo preferito (forse assieme a Finché morte non vi separi, ma è tutt'altra roba), che è innegabilmente un vero capolavoro. Come riuscire a trasformare una classica storia di alieni in una storia di alieni fatta da dio che parla anche di altro. Tensione da film in determinate sequenze, grazie allo stile cinematografico di Brindisi. La scena del bimbo che cade dalle scale me la sogno ancora di notte.
    n. 66, Partita con la morte: l'idea è geniale. Da avere se non altro per la sua particolarità e per i disegni di Roi.
    n, 67, L'uomo che visse due volte: questa non mi ha detto molto, ma è sicuramente d'effetto per quanto riguarda determinate scene che entrano di diritto tra le epiche e storiche di Dyd
    n, 74, Il lungo addio: qui arriviamo ad una delle pietre angolari. A me però non è piaciuto, che devo farci? Delicato, sì, ma ho trovato molta più poesia altrove, pur non trattando per niente tematiche amorose.
    n. 78, I killer venuti dal buio: un avventura "regolare" che scorre via benissimo alla lettura, pur non lasciando poi nulla.
    n. 81, Johnny Freak: ed ecco un altro cardine. Piaciuto molto, ad effetto il finale, qui esce fuori una delle migliori caratterizzazioni del personaggio. Sicuramente tra le migliori.
    n. 88, Oltre la morte: capolavoro dello spleen, tra i miei preferiti. Si nota un po' la forzatura nell'inserimento di Johnny Dark (magari andare a ripescare un cattivo già apparso e presentato sarebbe stato meglio?), personaggio qualunque dal nome un po' così, ma poco importa. Da leggere e rileggere, ma non in periodi di depressione.
    n. 92, Il mosaico dell'orrore: per tutto il racconto, la storia sembra una determinata cosa. Ben fatta, ben portata avanti, ma si ferma lì. Poi basta una vignetta nel finale, per farti capire d'aver letto un capolavoro.
    n. 99, Sinfonia mortale: oddio, di certo sfigura tra i primi 100 numeri, ma a me alla fine è garbata. L'alchimia non è una tematica così immediata e forse anche per questo non è così facile entrare in sintonia con questo albo. La scena iniziale (se ci si pensa quasi "sprecata", rispetto alla storia) è stata l'unica, ad ora, a disgustarmi davvero.

    (fine 1 - 100. Prima o poi farò il restante + extra regolare. Così movimentiamo un po' la sezione Bonelli :P).
    Timido postatore e finto nerd.

    Pure su YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCBsX4Y ... LjrjN8JvEQ.
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