Molti di voi conosceranno già il testo che mi accingo a copincollare sul sollazzo. Trattasi della prefazione di Dino Buzzati all'ormai celebre volume "Vita e dollari di Paperon De Paperoni". Pubblico il testo integrale per due motivi
- non ho mai visto il fumetto seriale così ben celebrato a fronte di tutti i tromboni che lo declassano miseramente al cospetto di sua signoria la Graphic Novel
- Dino Buzzati è uno dei miei scrittori preferiti, "Il deserto dei tartari" a tratti è illeggibile (nel senso che la tensione è tanta e tale da sfiancare quasi fisicamente il lettore) ma i suoi racconti sono perle magistrali.
di Dino Buzzati
Due grandi personaggi
Colleghi e amici, quando per caso vengono a sapere che io leggo volentieri le storie di Paperino, ridono di me, quasi fossi rimbambito. Ridano pure. Personalmente sono convinto che si tratta di una delle più grandi invenzioni narrative dei tempi moderni. Lasciamo pur stare la vertiginosa fantasia e ingegnosità delle vicende, ammirevoli in un mondo dove la regola quasi sovrana dei romanzi è la noia. Sono i due protagonisti, Paperino e Paperon de’ Paperoni, a fare la gloria maggiore di Walt Disney. La loro statura, umanamente parlando, non mi sembra inferiore a quella dei famosi personaggi di Molière, o di Goldoni, o di Balzac, o di Dickens.
L’uno e l’altro li conosco ormai benissimo, data la lunga frequentazione. E non mi hanno ancora stancato. Perché? Perché non si tratta di caricature, di macchiette, che reagiscono meccanicamente alle varie situazioni secondo uno schema prevedibile. Come appunto i più geniali personaggi della letteratura romanzesca e del teatro, essi sono, con tutti i loro indistruttibili difetti, creature ogni giorno e in ogni avventura un po’ diverse da se stesse; hanno insomma la variabilità, l’imprevedibilità, la mutevolezza tipiche degli esseri umani. E per questo riescono affascinanti. E universali.
Consideriamo per primo Paperon de’ Paperoni. È uno spilorcio al mille per cento, in fatto di dollari non ammette debolezze o eccezioni, mai. Se è di buon umore vuoi dire che è in arrivo un buon carico di sestilioni, se ha la luna vuol dire che gli è stato sottratto qualche cent. Se è generoso, - raramente ma capita, - è generoso perché la poca grana che sgancia è servita, o servirà, a guadagnare cento, mille volte tanto. Intendiamoci, io posso anche aver dimenticato, però in tanti anni che lo pratico, mai che abbia avuto un gesto di bontà veramente disinteressato. Eppure non riesce antipatico.
Come mai? L’usuraio Scrooge, da cui nella versione originale ha preso il nome, il protagonista del Racconto di Natale di Dickens, era poco odioso, prima della conversione? Se lo avessero derubato fin dell’ultimo penny, a chi sarebbe dispiaciuto? Se fosse andato in malora, chi non lo avrebbe trovato giusto? Con Paperone è tutto un altro discorso. Quando la famigerata banda Bassotti trama una diabolica macchinazione per vuotare la leggendaria cassaforte paperorniana, il lettore, anziché sperarne il successo, comincia a stare in palpiti. E alla fine, allorché il complotto invariabilmente fallisce, tira un sospiro di sollievo. Come si spiega questa contraddittoria reazione del lettore, anche se è la persona più onesta di questo mondo?
Le ragioni, secondo me, sono due. Primo, Paperon de’ Paperoni, pur essendo il re degli arpagoni, non è arido come Scrooge. Crudele magari, ma non arido. È capace di soffrire, è capace di piangere, e quando piange (per la perdita di un soldo) fa pena come un bambino maltrattato. Inoltre ha l’ambivalenza, l’ambiguità anche, la volubilità di tutti noi uomini. Felice e infelice nello stesso tempo, furbissimo e ingenuo, impassibile e collerico, coraggioso e vigliacco. È un personaggio vivo, insomma, persuasivo, simile a tanti di noi.
Secondo: ciò che soprattutto lo rende simpatico è la sua eroica fermezza e inflessibilità d’avaro. Nel nostro mondo industriale, dove tutti i ricchi sembrano vergognarsi dei loro capitali, e si allineano con la cultura di sinistra, e invitano alle loro feste coloro che proclamano apertamente la loro intenzione di spogliarli, è confortante incontrare un plutocrate che, senza pudori, ostenta lo splendore dei suoi miliardi, e se li tiene bene stretti, determinato a non farne parte con nessuno, e disprezza i poveracci che non sono stati capaci di fare quello che ha fatto lui. Una carogna, un maledetto, un mostro, non c’è dubbio. Però un capitalista di carattere, finalmente. Che sarà odiato si dai nullatenenti, in fondo però rispettato molto più dei colleghi pusillanimi e camaleonti.
Ma ancora più simile a tanti di noi è Paperino, carattere veramente universale e, per certi versi, specialmente mediterraneo. Dio mio, quanti Paperini vivono, lavorano o fanno i lavativi intorno a noi. Anche lui è un miracolo, creativamente parlando. Possiede tutti i peggiori difetti di questo mondo, ancora più di Paperone, eppure anche lui riesce inesorabilmente simpatico, e i suoi successi (rarissimi) sono anche nostri successi, le sue disgrazie affliggono anche noi. Vediamo un po’. Paperino è prima di tutto un lazzarone, per cui il lavoro è la più triste condanna. Paperino è di una presunzione addirittura grottesca, a sentir lui nessuno lo supera in bravura, intelligenza, coraggio, vigore fisico. Paperino, come del resto il suo ricchissimo zio, è sempre pronto all’inganno e al raggiro, pur di sistemarsi in qualche modo. Paperino, cosi baldanzoso in ogni vigilia, al momento buono è la pavidità, la fifa personificata. I suoi vizi insomma sono tra i più miserabili e meschini. Come si spiega che ottiene sempre la nostra indulgenza? Il motivo, secondo me, è molto semplice. Anche se ciascuno di noi è più laborioso di Paperino, più onesto, leale, coraggioso, ciononostante vede istintivamente in lui un fratello minore, un fratello, se si vuole, più disgraziato. Paperino è il campione delle debolezze e delle viltà che inevitabilmente germogliano qua e là nel nostro animo, anche se poi siamo capaci di annientarle. Paperino è il poltrone astuto, quello che cerca di non pagare mai il dazio, quello che sogna impossibili glorie e, non raggiungendole, si sente defraudato. Peperino è la falsa vittima di tutte le ingiustizie il conculcato, l’incompreso. Artisticamente, ottiene tuttavia questo meraviglioso risultato: che noi, specchiandoci in lui, nel segreto del nostro animo ci riconosciamo, ma nello stesso tempo ci sentiamo migliori.
(da “Vita e dollari di Paperon de’ Paperoni” di Walt Disney, Oscar Mondatori 170, agosto 1968)
Ditemi un po' voi cosa ne pensate!
Dino Buzzati e il mondo Disney
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Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.
L'interpretazione è interessante, il volume l'ho avuto in eredità, lo conservo tutt'ora e concordo parecchio con l'approccio di Buzzati al mondo disney. Lo valorizza, senza dubbio. D'altra parte però, e specialmente alla luce di un'evoluzione del mondo disney che arriva fino ai giorni nostri, non concordo in tutto e per tutto con lui quando parla di Paperone sempre e comunque interessato e di Paperino lazzarone. Noialtri abbiamo avuto Pk, Don Rosa, Scarpa etc, mentre da quell'intro traspare un background principalmente Martiniano. Martina è per l'opera di Barks un filtro decisamente troppo ingombrante, ma non va dimenticato che ai tempi era il Professore a farla da padrone, e Buzzati risente di questa distorsione.
Effettivamente l'intepretazione del microcosmo paperopolese data da Buzzati risente notevolmente del filtro Martiniano.
Ciò non toglie che i lineamenti del carattere di Paperone e Paperino descritti siano ben vivi anche oggi, seppur magari in modo più morbido.
Alle spalle abbiamo Scarpa che ha saputo descrivere il vecchio taccagno come un uomo/papero legato anche ad un universo di piccole cose (il balabù, le sardine per il piccolo kiribì...), un uomo ancora in grado di emozionarsi non solo per i fantastilioni ma anche - e sopratutto - per piccoli oggetti/animaletti innocenti.
Sembra quasi la trasposizione in chiave Disneyana della poetica pascoliana, in fondo: il grande capitalista con l'animo da fanciullino - ed è forse per questo che, come sostiene Buzzati, vederlo disperarsi per la perdita dei suoi soldi equivale quasi a vedere un bambino maltrattato.
E' forse a questo che pensava Barks quando ha creato la numero uno, un decino che vale quanto tre ettari cubici di dollari (se non di più)?
Interessante la riflessione di Buzzati sul perchè riusciamo ad amare un avaro plutocrate ultraottuagenario... Sinceramente non avevo mai pensato ai mille motivi per cui sarebbe meglio tifare per i proletari bassotti
Non c'è nulla da fare, il mito del self-made man fa sempre molta presa - sopratutto su noi italiani, così poco in grado di farci da soli e sempre in cerca di un appiglio - ed è stato solo un bene che in una fase di "salita" come quella pre-boom industriale gli italiani abbiano potuto avere, fra i tanti modelli, il rooselveltiano Topolino e Paperone, il sogno americano fattosi papero!
Ciò non toglie che i lineamenti del carattere di Paperone e Paperino descritti siano ben vivi anche oggi, seppur magari in modo più morbido.
Alle spalle abbiamo Scarpa che ha saputo descrivere il vecchio taccagno come un uomo/papero legato anche ad un universo di piccole cose (il balabù, le sardine per il piccolo kiribì...), un uomo ancora in grado di emozionarsi non solo per i fantastilioni ma anche - e sopratutto - per piccoli oggetti/animaletti innocenti.
Sembra quasi la trasposizione in chiave Disneyana della poetica pascoliana, in fondo: il grande capitalista con l'animo da fanciullino - ed è forse per questo che, come sostiene Buzzati, vederlo disperarsi per la perdita dei suoi soldi equivale quasi a vedere un bambino maltrattato.
E' forse a questo che pensava Barks quando ha creato la numero uno, un decino che vale quanto tre ettari cubici di dollari (se non di più)?
Interessante la riflessione di Buzzati sul perchè riusciamo ad amare un avaro plutocrate ultraottuagenario... Sinceramente non avevo mai pensato ai mille motivi per cui sarebbe meglio tifare per i proletari bassotti
Non c'è nulla da fare, il mito del self-made man fa sempre molta presa - sopratutto su noi italiani, così poco in grado di farci da soli e sempre in cerca di un appiglio - ed è stato solo un bene che in una fase di "salita" come quella pre-boom industriale gli italiani abbiano potuto avere, fra i tanti modelli, il rooselveltiano Topolino e Paperone, il sogno americano fattosi papero!
Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.
Possiedo anch'io quel volume e anch'io amo Buzzati (più quello dei Sessanta racconti che il romanziere). Nella sua descrizione di Paperone c'è molto di vero in termini assoluti e qualcosa di relativamente vero, giacché anche il suo giudizio è ovviamente filtrato dalla sua personale percezione del personaggio.
Personalmente, ricordo un corso di sceneggiatura al quale ho partecipato. Teneva una lezione Alessandro Sisti, durante la quale facemmo con i colleghi un esercizio-gioco molto divertente che consisteva nell'immaginare alcuni personaggi Disney alle prese con situazione assolutamente off-Disney. Esempi: che cosa voterebbe Topolino? Topolino usa i boxer o gli slip? Dove custodisce il bancomat Pippo? Pippo ha un bancomat? E così via…
Quando si è arrivati a Paperone, la cosa che è saltata fuori è che, alla fine, si tratta del personaggio più passionale della banda. Il più "innamorato" (del denaro, ma pur sempre). In una parola, il più generoso. So che può sembrare un assoluto paradosso, eppure tutti a un certo punto concordammo su questo punto: Paperone è quello che dà, in termini assoluti, più di chiunque altro. Per un narratore, è un dono del Cielo.
Non per attizzare polemiche gratuite, ma una delle cose che non sopporto della saga di Don Rosa è il fatto di far spesso ragionare e agire Paperone - come direbbe William Burroughs - per convenienza. Paperone non si muove per convenienza, ma per passione. È il pathos che lo spinge, non il calcolo. Non gli interessa anzitutto l'opportunità, ma la sfida. Preferisce viaggiare anziché arrivare e combattere anziché vincere.
Okay, ho citato anche Oriana Fallaci e direi che sono pronto per piantarla qui, prima che venga travolto dalle mie stesse cazzate.
Personalmente, ricordo un corso di sceneggiatura al quale ho partecipato. Teneva una lezione Alessandro Sisti, durante la quale facemmo con i colleghi un esercizio-gioco molto divertente che consisteva nell'immaginare alcuni personaggi Disney alle prese con situazione assolutamente off-Disney. Esempi: che cosa voterebbe Topolino? Topolino usa i boxer o gli slip? Dove custodisce il bancomat Pippo? Pippo ha un bancomat? E così via…
Quando si è arrivati a Paperone, la cosa che è saltata fuori è che, alla fine, si tratta del personaggio più passionale della banda. Il più "innamorato" (del denaro, ma pur sempre). In una parola, il più generoso. So che può sembrare un assoluto paradosso, eppure tutti a un certo punto concordammo su questo punto: Paperone è quello che dà, in termini assoluti, più di chiunque altro. Per un narratore, è un dono del Cielo.
Non per attizzare polemiche gratuite, ma una delle cose che non sopporto della saga di Don Rosa è il fatto di far spesso ragionare e agire Paperone - come direbbe William Burroughs - per convenienza. Paperone non si muove per convenienza, ma per passione. È il pathos che lo spinge, non il calcolo. Non gli interessa anzitutto l'opportunità, ma la sfida. Preferisce viaggiare anziché arrivare e combattere anziché vincere.
Okay, ho citato anche Oriana Fallaci e direi che sono pronto per piantarla qui, prima che venga travolto dalle mie stesse cazzate.
Fausto
Ma il Paperone di Rosa non me lo ricordo così. Forse dovrei rileggere la Saga, anche se presumo tu l'abbia letta più di recente visto il lavoro appena iniziato sul Topo, ma io ricordo pagine e pagine passate a parlare di passione, ricordi e chi più ne ha più ne metta. Rosa venera fin troppo Barks e ne dà un ritratto pure troppo umano talvolta, e l'unico episodio in cui agisce veramente da calcolatore è quello del villaggio africano, episodio che tornerà a tormentarlo per sempre come il vergognoso unicum della sua carriera.
Ho usato l'avverbio "spesso" ed è sbagliato. Diciamo allora "talvolta". Talvolta Rosa fa quello che ho detto. Nel decimo e undicesimo capitolo non si può non odiare Paperone, un arrogante arricchito che tratta male perfino chi gli dà un'indicazione stradale. Roba da tirarlo giù dal carretto e prenderlo a pedate nel sedere.
Credo che DR avesse troppa voglia di scrivere il suo bildungsroman e abbia sacrificato il personaggio sull'altare della solenne costruzione narrativa. Ma è solo un mio parere, ovviamente. A volte ho l'impressione che le discussioni sulla saga di Don Rosa abbiano un che di calcistico. È come cercare di convincere me che, tutto sommato, l'Inter è una grande squadra. Fatica sprecata, belli.
Credo che DR avesse troppa voglia di scrivere il suo bildungsroman e abbia sacrificato il personaggio sull'altare della solenne costruzione narrativa. Ma è solo un mio parere, ovviamente. A volte ho l'impressione che le discussioni sulla saga di Don Rosa abbiano un che di calcistico. È come cercare di convincere me che, tutto sommato, l'Inter è una grande squadra. Fatica sprecata, belli.
Fausto
Nel decimo e undicesimo capitolo Paperone si incattivisce per esigenze narrative, appunto. A Don serviva il pretesto per inserire la vicenda del Gongoro e nel contempo giustificare il Paperone incarognito del Monte Orso, se mettiamo poi il fatto che prima del finale di qualsiasi film, libro, romanzo dev'esserci un climax anticipato da una "crisi", il tutto è giustificato. Infatti poi nelle altre storie Don spinge il pedale del sentimentalismo con improbabili Paperoni che sfiorano spesso la stucchevolezza. Ma per il resto non stai parlando con la persona più appassionata, nè per quanto riguarda il calcio, nè per quanto riguarda Rosa, che pur apprezzando ritengo che si intenda di spirito Disney più o meno come io mi intendo di avunculogratulazione meccanica. E mia zia di questo non è affatto contenta.
"I simpson e la filosofia" è un simpatico libercolo sulle trecento pagine suddiviso in sezioni inerenti vari temi. La sezione più interessante, per certi versi, rimane quella dell'analisi tecnico-artistica del cartoon di Matt Groening.
Un critico - non ne ricordo il nome - sostiene che è inutile fare di Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie dei "modelli", descriverne il comportamento, le abitudini ed i vizi. I cinque gialli d'america sono solo quel che gli autori vogliono che essi siano, non hanno più consistenza di un segno lasciato su di un muro con un pennarello.
La posizione è abbastanza estremista ma mi sembra possa essere discussa anche in questa sede.
Paperone non è avaro, generoso, incarognito, solidale. Paperone è quel che decine di autori decidono che egli sia.
Scontato? Ovvio. Qua, anche dallo spunto di Buzzati, si cerca di tirare le somme del personaggio. Ma a questo punto dobbiamo distinguere
- il Paperone concepito nella testa di ogni sceneggiatore o scrittore di soggetti
- il Paperone che vive nella cultura popolare non diretta conoscitrice del mondo Disney (per cui Paperone è solo un burbero avarastro)
- il Paperone italiano (con le debite differenze fra quello Scarpiano e quello Martiniano, tanto per fare due celebri esempi).
Insomma, UNO-NESSUNO-CENTOMILA. Ed ognuno di noi ha la percezione di Paperone derivante dalla sua particolare esperienza di lettore Disney.
Si pensi a un tizio che ha letto solo Martina: per lui Paperone non sarà un self-made man ma solo un disonesto e crudele capitalista.
Si pensi al lettore di Don Rosa: per lui Paperone è un sognatore col tempo induritosi nel carattere.
I più diranno: occorre trovare i caratteri del papero comuni a tutte le opere, senza una rigida chiusura fra produzioni nazionali, produzioni di vari autori e via discorrendo.
Per come la vedo io, Paperone è cambiato nella misura in cui ne è stata fraintesa volta per volta la fibra morale o ne è stata corretta a colpi di penna la personalità (lo stesso Barks ci fa conoscere più Paperoni, in fondo).
Quel che comunque rimane davvero è la personale percezione del personaggio. E la mia è carica di echi DonRosiani (mi perdonino i puristi se li trovano poco Disneyani) e Scarpiani (mi piace l'idea del De Paperoni fanciullino).
Per il resto non disdegno eccessivamente il Paperone di Martina che mi piace di più pensare come un "Paperone parallelo", in un universo parallelo.
Uno che sfratta i propri familiari come niente fosse, minaccia persone oneste, manipola alimenti ai danni dell'altrui salute e tutto il resto non è proprio il Paperone che tutti amiamo - e che viene celebrato come l'uomo tutto di un pezzo che si fa da se stesso!
Un critico - non ne ricordo il nome - sostiene che è inutile fare di Homer, Marge, Bart, Lisa e Maggie dei "modelli", descriverne il comportamento, le abitudini ed i vizi. I cinque gialli d'america sono solo quel che gli autori vogliono che essi siano, non hanno più consistenza di un segno lasciato su di un muro con un pennarello.
La posizione è abbastanza estremista ma mi sembra possa essere discussa anche in questa sede.
Paperone non è avaro, generoso, incarognito, solidale. Paperone è quel che decine di autori decidono che egli sia.
Scontato? Ovvio. Qua, anche dallo spunto di Buzzati, si cerca di tirare le somme del personaggio. Ma a questo punto dobbiamo distinguere
- il Paperone concepito nella testa di ogni sceneggiatore o scrittore di soggetti
- il Paperone che vive nella cultura popolare non diretta conoscitrice del mondo Disney (per cui Paperone è solo un burbero avarastro)
- il Paperone italiano (con le debite differenze fra quello Scarpiano e quello Martiniano, tanto per fare due celebri esempi).
Insomma, UNO-NESSUNO-CENTOMILA. Ed ognuno di noi ha la percezione di Paperone derivante dalla sua particolare esperienza di lettore Disney.
Si pensi a un tizio che ha letto solo Martina: per lui Paperone non sarà un self-made man ma solo un disonesto e crudele capitalista.
Si pensi al lettore di Don Rosa: per lui Paperone è un sognatore col tempo induritosi nel carattere.
I più diranno: occorre trovare i caratteri del papero comuni a tutte le opere, senza una rigida chiusura fra produzioni nazionali, produzioni di vari autori e via discorrendo.
Per come la vedo io, Paperone è cambiato nella misura in cui ne è stata fraintesa volta per volta la fibra morale o ne è stata corretta a colpi di penna la personalità (lo stesso Barks ci fa conoscere più Paperoni, in fondo).
Quel che comunque rimane davvero è la personale percezione del personaggio. E la mia è carica di echi DonRosiani (mi perdonino i puristi se li trovano poco Disneyani) e Scarpiani (mi piace l'idea del De Paperoni fanciullino).
Per il resto non disdegno eccessivamente il Paperone di Martina che mi piace di più pensare come un "Paperone parallelo", in un universo parallelo.
Uno che sfratta i propri familiari come niente fosse, minaccia persone oneste, manipola alimenti ai danni dell'altrui salute e tutto il resto non è proprio il Paperone che tutti amiamo - e che viene celebrato come l'uomo tutto di un pezzo che si fa da se stesso!
E là scatta la mia dichiarazione di stima incondizionata. Perchè per me Buzzati riesce a toccare i picchi di - non vorrei esagerare - un Borges quanto a lirismo ed intelligenza.Anch'io amo Buzzati (più quello dei Sessanta racconti che il romanziere).
Potrete ingannare tutti per un pò.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.
Potrete ingannare qualcuno per sempre.
Ma non potrete ingannare tutti per sempre.
Come ho detto parlando del Paperone di Don Rosa, acquistai Vita e Dollari di Paperon de' Paperoni nell'edicola della stazione di Milano nel lontano 1969. Era un volume della collana Oscar Mondadori.
Ce l'ho ancora, uno dei pochi superstiti della mia collezione, iniziata nel 1966 e terminata per cause di forza maggiore nel 1994, basata su Topolino (settimanale) e allargata a includere i Classici di Walt Disney, Albi della Rosa e Albi di Topolino, Almanacco Topolino e altro ancora.
Trovai anch'io la prefazione di Buzzati un pò "di parte" ma tutto sommato, essendo il Dino uno scrittore "colto", assai meno peggio di altre recensioni ben peggiori di tanti altri autori.
Il volume comprendeva un assaggio davvero minimale della produzione barksiana, ma faceva trasparire un aspetto di Paperone che si rivela appieno nella storia in cui i tre nipotini chiedono una scavatrice come regalo di Natale: "a che serve possedere tre ettari cubici di $ se non ci faccio un pò di chiasso intorno?"
Ce l'ho ancora, uno dei pochi superstiti della mia collezione, iniziata nel 1966 e terminata per cause di forza maggiore nel 1994, basata su Topolino (settimanale) e allargata a includere i Classici di Walt Disney, Albi della Rosa e Albi di Topolino, Almanacco Topolino e altro ancora.
Trovai anch'io la prefazione di Buzzati un pò "di parte" ma tutto sommato, essendo il Dino uno scrittore "colto", assai meno peggio di altre recensioni ben peggiori di tanti altri autori.
Il volume comprendeva un assaggio davvero minimale della produzione barksiana, ma faceva trasparire un aspetto di Paperone che si rivela appieno nella storia in cui i tre nipotini chiedono una scavatrice come regalo di Natale: "a che serve possedere tre ettari cubici di $ se non ci faccio un pò di chiasso intorno?"