max brody ha scritto:Se sì, spero che sia davvero l'ultimo.
Maxi Nathan Never #9: La recluta, Post mortem, Il signore della guerra (Vigna/Toffanetti; Simeoni/Simeoni; Vigna/Toffanetti)
Come non detto. Che palle i ricicli, spezzano la continuità. Queste tre storie, poi, tutte e tre col cappotto nero, sono un cazzotto in un occhio. Poi in sé non solo nemmeno malaccio, ma neppure nulla di eccezionale. Tuttavia i due sceneggiatori sfruttano bene (nelle prime due storie) l'insolita foliazione di 97 pagine a storia, almeno per quanto riguarda il ritmo e il dosaggio di eventi e dialoghi. Certo la fantasia non abbonda.
La recluta è il solito thriller vignesco colla corruzione e Nathan schifato e indurito dagli eventi. E con la signora McGuffin (roftl) che dice tutto sull'utilità della trama. Il risultato è un filler palesemente preGuerra dei Mondi e, dato che si svolge tutto su Tersicore e a parte Nathan non compare nessuno del cast regular (a parte un inutile Jerry Lone), nemmero riadattato alle circostanze. Lol.
Post mortem, seconda e ultima prova da autore completo di Gigi "Sime" Simeoni (ha già annunciato che per un po' passerà a DyD), almeno fa qualche sforzo e prova ad adattarsi al nuovo status quo. Così troviamo Elania che non sembra inserita a sproposito e Nathan giustifica il cappotto nero dicendo che l'altro è in tintoria. Intenti (perlomeno quelli) lodevoli, salvo poi scoprire che è Natale. Mah. Per il resto la trama si rivela essere un ennesimo thriller con la creatura vilipendiata e incattivita e la direttrice della clinica vecchia e malvagia. Yawn. Peccato perché Simeoni è un bravo sceneggiatore (ottima la scelta delle inquadrature, come in
Stria) e un ottimo disegnatore, in grado di rendere espressivo anche un comodino. Peccato davvero il suo essersi messo al servizio di un soggetto visto tremila volte e di nessun interesse in questo momento e in questo contesto. Chiude il volume la balzana
Il signore della guerra. Balzana in quanto gli autori sono gli stessi della prima storia, cosa mai accaduta prima. E balzana soprattutto perché, esattamente come le precedenti due storie, anche questa è un riciclo. Solo che lo è a metà. E il risultato è una cosa bufissima, che non si sa se giudicare come professionale o meno. La prima metà della storia è infatti un obbrobrio che puzza di riciclo ad ogni vignetta. E che, cappotto nero a parte, prima stordisce il lettore con un Sigmund tornato improvvisamente cinico e scorbutico con Nathan e poi raggiunge l'apice del ridicolo quando Elania si mette in posa da Solomon Darver e, con espressione da Solomon Darver, dice le tipiche cose che diceva Solomon Darver. A questo punto mi cadono gli zebedei per terra e avverto la voglia di bruciare l'albo, ma ecco che tutto ad un tratto Elania ricomincia a parlare come Elania, Sigmund torna l'amico insicuro postNiNo e il duo, che aveva schifato Nathan fino a poche pagine prima, si prodiga per salvare l'amico e collega. E la trama, che era partita come il seguito di NN236/237, subisce un'accelerata incredibile che porta il cattivo Stonhenge a minacciare il mondo con un'apposita tavola costruita in modo da dare l'impressione di avere di fronte un nuovo villain e ad essere sconfitto, implorando pietà, due pagine dopo. E a questo punto, visto pure il ponderato e dinamico #263, mi chiedo se non sia il caso di pensionare Vigna. Perché sarà pure uno dei tre padri di Nathan, ma ormai (e l'ha confermato anche la Guerra dei Mondi) non fa altro che dimostrare di essere capziosamente e stancamente ancorato alle sue tematiche, ai suoi topoi e ai suoi cliché. E di vivere in un mondo tutto suo, con un suo Nathan (e quasi una sua continuity) personale che, oltre ad essere contenutisticamente e stilisticamente antiquato, rovina tutti gli equilibri impostati dalla redazione.
Ad ogni modo quest'albo è tranquillamente evitabile. E basta con 'sto cappotto nero. In
Haiku è stato inserito un ottimo flashback che voleva chiudere l'era di quel cappotto oscuro e simbolo di depressione, non lo voglio più vedere se non in flashback sensati.
Nathan Never #263: Lo spettro del futuro (Serra-Eccher/Giardo)
Se uno dei padri di NN ha appena firmato una delle peggiori ciofeche di tutta la serie, un altro di quei padri torna e regala al figlio un altro guizzo di vitalità, sia a livello di contenuti che di stile. E dimostra, così, che si può pure raccontare la stessa storia in modi sempre diversi. Coi tecnodroidi, infatti, Serra aveva già detto quello che aveva da dire: il futuro può essere bellissimo, ma probabilmente finirà per essere marcio, la scienza può essere di grande aiuto, ma probabilmente sarà sfruttata male e finirà per prendere il sopravvento su un'umanità sempre meno in grado di fantasticare e paradossalmente sempre meno in grado di discernere la realtà dalla finzione. I tecnodroidi, infatti, non solo altro che una tecnologia che vuole essere senziente ma non lo è, in quanto dell'umanità imita solo gli istinti. Questo basterebbe, ma non a Serra, che inventa Mister Alfa e con lui immagina l'opposto dei tecnodroidi: ovvero un uomo, un grigio ometto comune, dotato di un pragmatismo tale da manipolare tutto il mondo (un Andreotti all'ennesima potenza, in sostanza). Per lui la scienza è sempre e solo un mezzo, ma il pregio diventa difetto in quanto Alfa non è capace di sognare e di fantasticare, e l'enorme gioco di ruolo che è il mondo per lui è solo un'occasione per vendicarsi o per bullarsi delle sofferenze altrui. Dopo la tecnologia animale e l'umanità disumana arriva il momento della disumanità che vuole essere umana, al punto da diventare un'umanità tecnologica: il William Campbell che diventa l'Uomo Quantico non è altro che la voglia di non arrendersi a un fato prestabilito a costo di perdere la propria identità. Omega è la fine di questo percorso, partito dalla ferinità primordiale del futuro remoto (tecnodroidi), proseguito per il non-inizio della non-vita del presente (Alfa) e per la schizofrenia che solo può provare chi da quella non-vita vuole fuggire (Uomo Quantico). Omega è il logico upgrade di questi tre stadi, ed è il punto di arrivo del discorso. E' la tecnologia che vuole essere umana, e ci riesce. Che trae da essa gli istinti (come i tecnodroidi), ma anche il pragmatismo (come Mister Alfa). Che trae da essa la capacità di sognare (come l'Uomo Quantico), ma anche di manipolare gli altri per realizzare il suo sogno (come tutti e tre). E con Omega, il ridicolo robot innamorato, l'inquietante robot invincibile, Serra arriva ad occuparsi di tutti e quattro i poli che fanno da cornice alla serie. Di più non c'è. O, meglio, c'è il polo centrale. Ma esso è Nathan, è la serie, è il lettore, è l'uomo che deve crescere e capire quanto e di quanto staccarsi dalla sua gioventù, quanto e di quanto progettare il proprio futuro, quanto e di quanto occuparsi degli altri e quanto e di quanto imparare a contare su sé stesso. Non è certamente Serra che deve dire a Nathan quanto e di quanto crescere. Può solo dargli un indirizzo.
Lo fa con quest'ultima saga, la saga finale del robot finale e della nemesi finale. Dovrebbe durare ancora quattro numeri, diluiti nei prossimi due anni, e poi chiudersi col gigante del 2015.
Intanto, se il #253 era stato un prologo, il #263 è l'incipit di questa saga. Per l'occasione Serra ripete l'esperimento di
La Megalopoli e incorpora due storie in uno stesso albo. Il risultato però è decisamente migliore, in quanto stavolta la prima e la seconda storia sono assolutamente propedeutiche l'una all'altra e viceversa, mentre
La Megalopoli e
Chi è May? si erano occupate di cose diverse. Quest'albo, invece, è costruito davvero perfettamente.
Lo spettro del futuro, scritta da Eccher su soggetto non accreditato di Serra e illustrata splendidamente da Giardo, svolge più funzioni contemporaneamente. Per prima cosa permette a Eccher (autore dell'ultimo Special ed esordiente sul mensile) di farsi le ossa e sperimentare subito una foliazione diversa dal consueto, più breve del solito e in cui non è facilissimo dosare gli ingredienti. Ingredienti che inoltre consentono a Eccher di immergersi subito nel Serra pensiero e di farlo suo (l'unico modo per potersi definire suo erede). La storia vede infatti Nathan e il robot Mac chiacchierare in un barbot, un bar per robot, che a seconda delle prospettive è deprimente (per l'umano Nathan) o divertente (per il robot Mac). I due chiacchierano del futuro visto dal passato e dal presente, ovvero dagli autori di science fiction del XX° secolo e dagli stessi Nathan e Mac. Oltre agli inconsueti mini what if in cui il cast neveriano reinterpreta Verne, Star Trek, Star Wars e Kirby, nei quali Giardo scatena il suo stile mimetico e vittoriano, la storia è costituita da dialoghi ben fatti che ben imitano una chiacchierata orale, ma soprattutto è costellata di riflessioni interessanti, tra le quali spiccano i robot, simboli per antomasia del futuro. Viene tratto un bilancio sul loro ruolo, che sembra prima essere negativo, poi tutto sommato positivo.
A questo punto irrompe
Il ritorno di Omega (Serra/Martino) che già dal titolo fa ripensare con effetti tragici alla chiacchierata appena terminata. Serra ricorda di nuovo che il fato sembra essere inevitabilmente negativo, e con l'alleanza Omega-Solomon Darver e la nascita di uno Stato Robotico nel Territorio, e con il lifting dello stesso Omega che si presenta sorridente alle masse e stipula un contratto con il Consiglio di Sicurezza e i cittàestiani, la trama imbocca il percorso più logico. E probabilmente definitivo. E che potrà essere marcio, ma, chissà, anche bellissimo.
Dipende tutto da come si cresce e da come ci si approccia alle cose della vita.
Fumetti compresi.