Mugen no Jūnin (lett.: abitante dell'infinito) è un capolavoro del fumetto internazionale. Ci sono voluti 30 volumi, 5 grandi archi narrativi e 19 anni di serializzazione sul magazine nipponico
Afternoon per completare questo eccezionale esemplare dell'arte sequenziale e da qualche giorno anche in Italia, grazie a Panini, è possibile godersi il malinconicissimo finale di un manga che tutti dovrebbero esporre orgogliosamente sui propri scaffali.
Fosse anche solo per ammirare il lavoro di uno dei migliori illustratori dell'industria dell'intrattenimento: Hiroaki Samura ha studiato l'arte e si vede, visto che riesce a crearla, dimostrandosi al contempo un abilissimo fumettista a tutto tondo, tra paesaggi fotorealistici, un ottimo e disinvolto utilizzo della figura umana ed una maestria nel tratteggio e nel chiaroscuro che sfiora il divino. Un artista capace con due righe di rendere sensualissima una donna o ripugnante un ventre squarciato da una spada.
E' probabilmente il disegno ad aver reso famoso Samura e la sua opera: eppure non è solo grazie alle sue straordinarie capacità grafiche che l'
Immortale è un
must have, visto che c'è dietro anche una gran bella trama.
Manji, abile samurai divenuto immortale grazie al mistico verme Kessen-chū e deciso ad uccidere 1000 malvagi per espiare il proprio passato da criminale, mette la sua esperienza e la sua spada al servizio della giovane Rin Asano, decisa a vendicare l'eccidio della propria famiglia perpetrato da Kagehisa Anotsu, capo della neonata scuola dell'Ittō-Ryū.
Una storia di vendetta e redenzione.
L'Immortale non ha velleità di accuratezza storica: certo, l'unico elemento apertamente fantasy (e comunque sviscerato in modo abbastanza realistico) è il dono (o la condanna?) dell'immortalità, mentre per il resto il Giappone feudale è sicuramente ritratto con una certa plausibilità nonostante qualche licenza poetica. Eppure, anche grazie allo straordinario comparto grafico, è il realismo a caratterizzare personaggi e vicende dell'opera. Quello che Samura raffigura è un mondo spietato, smaliziato, un mondo che vorremmo pensare superato dagli anni di evoluzione e progresso ma che sappiamo esserci più vicino di quanto crediamo. Ce lo dimostra, fin dalle prime battute della storia, Manji, protagonista il cui vero talento non risiede tanto nell'arte nella spada quanto nello sbugiardare cinicamente le illusioni e le ipocrisie dei suoi avversari: illusioni ed ipocrisie umane, universali e quindi valide anche 300 anni dopo l'ambientazione delle vicende.
Un approccio, questo, che non si trasforma mai in un tentativo di fare morale: l'autore non giudica ma ci mostra semplicemente le peripezie dei suoi personaggi, svelando, subito dopo la prima manciata di villain veri e propri, una certa complessità nella psicologia dell'ampio e godibilissimo cast, rifuggendo da ogni demarcazione manichea tra buoni e cattivi e rendendo più interessante e problematica tanto la favolistica
quest di Manji quanto la vendetta di Rin, costretta a fare i conti con le conseguenze della propria scelta di vita e con l'idea che anche i carnefici siano a loro volta delle vittime.
Una storia di vendetta e redenzione: e che succede quando le due coincidono?