Comprato al
day one e divorato in tre giorni, e giusto perché non ho voluto bruciarlo subito, perché volendo in una giornata lo si finisce abbastanza tranquillamente.
E questo perché
Harry Potter e la maledizione dell’erede non è un romanzo ma è sostanzialmente il “copione” (lo
script-book, più propriamente) dello spettacolo teatrale ideato dalla
Rowling, scritto insieme a
Jack Thorne e diretto da
John Tiffany, e questo lo rende al 90% dialoghi, con l’aggiunta di qualche breve parte descrittiva per rappresentare ciò che accade in scena.
Ma anche perché l’avventura scorre via veloce e in modo piacevole, e i dialoghi stessi risultano brillanti e che invitano a proseguire la lettura dei discorsi.
Si tratta dunque di un prodotto che solitamente non finisce in mano ai non addetti ai lavori, ma l’occasione era eccezionale: l’occasione di sfruttare un nuovo
medium per raccontare qualcosa di nuovo sul suo maghetto ha portato l’autrice a scrivere una storia decisamente importante per la vita del protagonista, riprendendo direttamente dall’epilogo del settimo romanzo e svelando cosa succede a Harry, Ron ed Hermione 20 anni dopo la sconfitta di Voldemort, ma soprattutto cosa accade alla loro discendenza.
Chiariamolo subito: il libro possiede lati positivi e lati negativi, e già questo rende
La maledizione dell’erede il racconto più debole della saga
potteriana. Ovviamente il paragone tra i sette romanzi canonici e questo libro (che romanzo non è) non può essere fatto per quanto riguarda la forma, ma per quanto riguarda la sostanza ritengo di sì, e quello che abbiamo in mano è una storia che sfrutta il viaggio nel tempo per offrire la scusa di citare, riutilizzare e far rivivere determinati eventi raccontati durante gli anni di scuola di Harry.
Uno stratagemma assai furbetto, che se fosse stato usato in un romanzo ufficiale mi avrebbe indispettito abbastanza ma che trova la sua giustificazione nell’ottica della rappresentazione teatrale: anzi, in quel caso la soluzione è assai intelligente, dal momento che permette di portare in scena una storia nuova ricca allo stesso tempo di vecchi elementi che omaggiano i fan, abituati a immaginarseli durante la lettura o a visionarli attraverso i film.
Furbetto o no, rimane un trucchetto insidioso: quando l’hanno usato in
Once Upon a Time, per esempio, è stato un disastro. Inoltre non si può evitare, di primo acchito, di pensare a come tutto quanto sembri una gigantesca
fan-fiction come ne sono state scritte tante dai fan in questi dieci anni, che hanno spesso immaginato cosa succede nel futuro di Harry, Ron ed Hermione e dei loro figli, futuro accennato nelle ultime pagine dei
Doni della morte.
Fortunatamente qui entra in gioco l’abilità narrativa di Rowling e Thorne, che inventano un intreccio che riesce a nascondere molto bene i pericolo insiti in questo tipo di trame, basandone presupposti e sviluppo su alcuni dei temi che hanno fatto la fortuna della saga: rapporti figli-genitori, amicizia, ricerca di se stessi e tanta attenzione ai sentimenti, senza diventare stucchevoli. Tutto questo io l’ho ritrovato intatto qui, dove i veri protagonisti sono il figlio di mezzo di Harry e Ginny, Albus, e il figlio di Draco, Scorpius: per assurdo, ho trovato addirittura più centrale più quest’ultimo che il Potter. La loro imprevedibile amicizia, i loro caratteri così diversi da quelli dei genitori, contribuiscono a dare quelle differenze rispetto ai passi intrapresi dai padri che non rischia di rendere il tutto un “
more of the same”, e allo stesso tempo si possono trovare piccole corrispondenze che è bello rintracciare. I due personaggi sono caratterizzati benone, e si riesce a odiarli o ad affezionarcisi in maniera genuina e immediata, ricreando quella magia che sperimentavo leggendo la saga originaria, quando entravo in empatia con i personaggi.
Insomma, un
plot rischioso o quantomeno fraudolento e “facile” viene qui utilizzato al meglio, non mancando di offrire un paio di colpi di scena niente male che, pur non essendo paragonabili alle intricate trame
mystery dei sette romanzi restituisce comunque la sensazione anche di quell’aspetto. Certo, forse il colpo di scena più grosso può far storcere il naso a qualcuno, ma alla fine lo trovo coerente con tutto l'impianto narrativo di questa storia, che come dicevo ha tra le sue tematiche fondanti l'eredità dal passato, quella vecchia storia per cui "gli errori dei genitori ricadono sui figli", che ad ogni modo vale anche per i successi
Molto belle anche le versioni adulte di Harry, Ron, Hermione e Draco: vederli nei panni di adulti più o meno realizzati e in quelli di genitori, con tutte le difficoltà del caso, me li ha resi forse ancora più vicini e “reali” di quanto già non li sentissi finora: perché sono cresciuti, sono andati avanti, si sono evoluti, pur mantenendo intatte alcune caratteristiche fondanti. Come capita agli esseri umani in tutto e per tutto.
Il ritratto [spoiler]di Silente[/spoiler] invece mi ha un po' stonato: vero che si è sempre detto, e viene ribadito anche stavolta, che i ritratti non corrispondono esattamente ai maghi che rappresentano e che non ci sono più, ma vedere [spoiler]questa versione di Silente così esageratamente preda dei propri sentimenti e dei propri sensi di colpa[/spoiler] non mi è sembrato molto rispettoso di quel mago. Capisco la volontà (già cominciata nei
Doni della morte) di mostrare che [spoiler]anche dietro una grande persona si nascondono segreti e debolezze[/spoiler], ma nei romanzi la cosa era riuscita in modo meno sbilanciato. Ma tant'è, è così.
La maledizione dell’erede è quindi una buona storia: la sceneggiatura è solida e quasi tutto fila liscio a livello di sviluppo, le citazioni al passato solleticano il mio animo di
fanboy e i personaggi sono tutti ottimi. Una deroga che concedo volentieri alla Rowling riguardo la sua promessa che non avrebbe più scritto nulla sul suo maghetto, visto che non aveva mai parlato di altri
media che non fossero romanzi
Ora si concentri sulla sceneggiatura della trilogia sugli
Animali Fantastici, che rappresenta secondo me la modalità giusta perché possa sfogare la sua voglina di tornare di tanto in tanto a parlare del mondo magico senza infrangere la sua parola: andare ad affrontare altre epoche e altri personaggi, una sorta di approccio in piccolo di quanto si è fatto e si sta facendo con l’universo di
Star Wars.