Sembra che la storia si stia ripetendo. Se negli anni 80 la Disney era stata colpita a morte dal flop di
Taron e la Pentola Magica, per risalire lentamente con
Basil l'Investigatopo e
Oliver & Co. e ritornare in grande stile con
La Sirenetta, pare che in questo nuovo secolo questi stessi ruoli si stiano riproponendo: abbiamo infatti avuto il pasticciato
Chicken Little, la lenta ripresa coi
Robinson, a cui seguirà
Bolt (anch'esso un film di cani!) e infine
The Princess and the Frog, l'opera che sancirà il definitivo ritorno del 2d ai Walt Disney Animation Studios, ad opera dello stesso duo di registi che lavorò ad Ariel: John Musker & Ron Clements. In questo riproporsi di ruoli e situazioni pure
Come D'Incanto trova un suo corrispettivo, e cioè il film a scrittura mista del 1988
Chi Ha incastrato Roger Rabbit, che col suo voler omaggiare mezzo secolo di storia dell'animazione, proponendo uno scontro tra un mondo fantastico e uno ben più cinico, riuscì a fornire un antipasto assai appagante delle meraviglie che di lì a poco sarebbero uscite dalla Disney. Questo nuovo antipasto però, alla luce del momentaneo abbandono del 2d e del suo ritorno in pompa magna che stiamo tutti attendendo, assume una luce completamente nuova. L'animazione tradizionale dei Walt Disney Animation Studios, storicamente la migliore sulla piazza, non era più stata vista nelle sale cinematografiche da
Mucche alla Riscossa. In seguito avremmo avuto quel delizioso piccolo sprazzo che è
La Piccola Fiammiferaia, residuo insieme a
Lorenzo,
Destino e
Uno per Uno di quel Fantasia che mai fu completato, ma si trattava pur sempre di assaggi, di contentini in attesa di un futuro dalle tinte meno fosche. Futuro che benchè si stia profilando all'orizzonte, va atteso ancora per un paio d'anni, gustandosi nel frattempo il delizioso prologo animato di questo film. Prologo che proprio in virtù della particolarissima situazione degli studios, non è stato animato, come ci si aspetterebbe, a Burbank. La mancanza di attrezzature necessarie a creare animazione tradizionale, ha creato un problema logistico non indifferente alla nuova gestione lasseteriana, che per quanti buoni intenti potesse avere si è dovuta comunque confrontare con i disastri causati da Eisner. La soluzione è stata quella di selezionare uno studio esterno col quale collaborare utilizzandone le attrezzature: la scelta è caduta sullo studio di James Baxter, un signor animatore messosi recentemente in proprio, ma con alle spalle un'esperienza non indifferente sia in campo Disney (Belle, Rafiki e Quasimodo sono suoi prodotti!) che in campo Dreamworks.
Con l'invio da parte dei WDAS, poi, di fior fior di artisti come Mark Henn e Andreas Deja, si è venuta a creare un'inedita alleanza tra i due studi, e il problema logistico è stato risolto, giusto in tempo perchè ai WDAS si potesse riattivare la strumentazione necessaria per lavorare al nuovissimo cortometraggio di Pippo. Il risultato di questa collaborazione è visibile in lungo e in largo nel prologo che precede l'arrivo di Giselle nella New York live action, in una breve sequenza finale e in tante piccole scene collocate a metà in cui viene mostrata l'accanita ricerca di Giselle da parte di Narissa, la cattiva del film. Lo stile utilizzato è - per la stessa natura del film - quanto di più stereotipato si possa desiderare per rendere bene l'idea del mondo delle favole. L'apporto di Deja, Henn e Baxter ai personaggi umani si nota, e quest'ultimo specialmente deve essersi divertito un mondo ad animare Giselle ed Edward, visto che ogni loro movenza è un virtuosismo grafico. Baxter esaspera espressioni, fa sciogliere i volti, fa quanto di meglio si possa desiderare per trasmettere il potenziale di quella che si pensava essere una tecnica cinematografica morta e sepolta. Riesce a far sentire la differenza proprio esagerando l'espressività, da sempre cavallo di battaglia del 2d, ma che del 3d invece era stata la principale croce. Alla magnificenza delle persone però si contrappone il character design degli animaletti amici di Giselle, sicuramente meno ricercato o ispirato, ma che si presume possa rientrare pienamente in quell'aria stereotipizzante che si voleva ottenere. Una nota la meritano anche gli sfondi, veramente molto belli, ricchi d'atmosfera e colorati ottimamente.
E' con l'arrivo del live action che si entra nel vivo della narrazione. E quello che poteva sembrare un classico film d'animazione si trasforma in una commedia sentimentale, forse un po' di genere, ma talmente brillante e intelligente da lasciare senza fiato. E qui entrano in gioco la bravura degli attori, in special modo di Amy Adams e James Marsden, che riescono a portare all'estremo il contrasto tra la loro svagatezza e il cinismo del mondo che li circonda. Ogni loro movenza, ogni loro espressione, ogni minima battuta di dialogo trasuda stile e amore verso il paradosso e la pantomima tanto cara a Walt Disney. Sono momenti di grande cinema quelli che li vedono volteggiare trasognati in mezzo a persone che non capiscono minimamente il loro repertorio di stereotipi. E benchè il film, compiuto il grande salto dall'animazione al live action, torni indietro molto di rado, la nostalgia verso una regia tipica dell'animazione si avverte pochissimo. Questo si deve alla bravura di Kevin Lima, già autore di
In Viaggio con Pippo e
Tarzan, che riesce a dare alla sua New York un taglio assolutamente magico e di classe. Per quanto non manchino i bassifondi e le scene cittadine, questa non è più la New York xerox, di
Oliver & Co., sudicia fino al midollo, ma un regno in cui predominano il blu del cielo stellato, il verde di Central Park e l'oro dei ristoranti e le sale da ballo. Un luogo magicamente idealizzato che non può che far accrescere l'impressione di essere davanti a un lungometraggio d'animazione (dove tutto è al servizio di un'estetica ben precisa) girato però in live action.
In questo frangente aiuta parecchio anche la colonna sonora, firmata da quel Dio di Alan Menken. Menken stavolta riesce nella dura impresa di tenere il piede in dieci scarpe, senza sacrificarsi minimamente. La sua musica riesce a commentare alla perfezione tanto le sequenze animate quanto quelle live action, per giunta mantenendo uno stile unitario. Ogni minimo giro di note che compone la colonna sonora è sia una parodia che un sentito omaggio alle ben note colonne sonore dei film Disney del passato, e - cosa ancor più incredibile in una tal situazione - riesce ad avere persino una propria individualità. Ma la cosa più importante, è che il film rientra a pieno titolo nella tradizione dei musical a scrittura mista di cui fanno parte
Pomi D'Ottone,
Elliott,
Mary Poppins e via dicendo, serbando una cinquina di canzoni scritte da Menken e dal paroliere Stephen Schwartz. Di queste cinque, quelle che si fanno maggiormente notare per il loro impianto citazionistico sono le prime tre:
True Love's Kiss apre il film. E lo apre in senso stretto visto che l'introduzione musicale si ha già dal logo della Walt Disney Pictures col suo nuovissimo castello, che scopriamo grazie a una veloce zoomata contenere in una sala il libro pop-up che racconta la storia di Enchanted. La canzone, che serve a presentare Giselle e il suo mondo di sogni è un chiaro riferimento a
I Wonder e
Once Upon a Dream da
La Bella Addormentata nel Bosco, a
A Dream is a Wish Your Heart Makes da
Cenerentola e specialmente alla grande capostitipite di tutte le canzoni d'amore Disney, quel
Someday My Prince Will Come che costituiva il cuore di
Biancaneve e i Sette Nani. E il debito è evidente sin dalle primissime note, in cui Giselle si rivolge agli animaletti duettando con loro uno scambio di battute ritmato che porta poi alla canzone vera e propria. Ma poi la predilezione citazionistica per Biancaneve prosegue alla grande quando entra in scena il principe Edward, che col suo vocione sembra parafrasare il cantato del Principe in
I'm Whising. Non sono solo Biancaneve, Cenerentola e Aurora però i riferimenti di Menken in questa sua magnifica opera: per la seconda canzone,
Happy Working Song sembra essersi rifatto al secondo grande periodo della storia Disneyana, quello xerox dominato dalle allegre melodie dei Fratelli Sherman. In particolare lo spirito è quello che si respira in
A Spoonful of Sugar, solo caricaturizzato al massimo. Siamo nella fase del film di massimo straniamento in cui Giselle sembra ancora totalmente fuori dal mondo e la regia, più che attingere a modelli di musical live action, ricalca esattamente lo stile animato, permettendosi notevoli virtuosismi bizzarri e parecchie zoomate sulle gag degli animali che aiutano Giselle nel riordino. Chiaramente, benchè musicalmente siamo più vicini al periodo xerox, anche qui la fonte visiva è ancora Biancaneve. E idealmente si potrebbe dire che la terza canzone,
That's How I Know è invece quella più rappresentativa del musical Disney anni 90, di cui lo stesso Menken insieme ad Ashman è stato fautore. L'intera sequenza a Central Park è esaltantissima, e visivamente parlando paga non poco il tributo ai lungometraggi in scrittura mista del periodo xerox, ricordando parecchio sia
Portobello Road di
Pomi D'Ottone e Manici di Scopa che svariate sequenze di
Elliott il Drago Invisibile e
Mary Poppins, ma le sonorità stavolta ci riportano più a brani come
Under the Sea, con l'uso iniziale di bonghi e calypso e il crescendo continuo del coro.
C'è poi la quarta canzone,
So Close, un buon tema d'amore, che tuttavia non raggiunge i livelli delle altre, pur presentando a metà della sua durata un intenso momento strumentale, puramente Menkeniano e a dir poco da pelle d'oca. La sequenza ad ogni modo, ambientata dopo la parziale normalizzazione di Giselle, presenta il cantato in maniera assolutamente diegetica, ma non per questo meno citazionosa visto che stavolta tocca a
La Bella e la Bestia essere omaggiata sia nei movimenti di macchina che nei costumi della sequenza. Il film si conclude con
Happily Ever After, purtroppo la più debole delle cinque, forse proprio a causa della sua natura pop, sequenza che però, visivamente parlando ha il pregio di offrire frequenti inserti animati che ci mostrano il finale della vicenda.
Finale che si potrebbe criticare definendolo troppo veloce e con una Sarandon parecchio sacrificata, difettucci che tuttavia non intaccano più di tanto l'immenso valore di tutto il resto (resto che viene intaccato molto di più dalla gag con lo scoiattolo che fa la cacca, elemento di disturbo che sembra più che altro un sabotaggio). Ma per un elemento poco convincente c'è tanto altro che invece non solo convince ma esalta, affascina, incanta. Uno è anche il citazionismo estremo di cui è pervasa tutta la pellicola: tutta la filmografia disneyana viene più o meno omaggiata, a volte mostrandone una sequenza in una tv (è il caso di Bongo e i Tre Avventurieri), altre volte facendoci sentire uno stralcio di colonna sonora (gli Elefanti Rosa di Dumbo), molto spesso riprendendone pari pari alcune scene. la maggior parte dei nomi (persino nel caso delle comparse) hanno a che vedere con Classici o film misti del passato, e addirittura pare che uno dei vecchietti della sequenza a Central Park sia uno spazzacamino di
Mary Poppins.
Insomma
Come D'Incanto è un continuo virtuosismo narrativo, registico, recitativo, grafico e compositivo. Una meraviglia che pare sia stata in lavorazione da parecchio tempo se si pensa che i primi rumor circolavano già nel web ad inizio 2001, e che da lì in poi la Disney avrebbe subito un tracollo totale. Eppure in tutto questo il progetto non è mai stato abbandonato completamente, benché per lunghi periodi non se ne sia più parlato o sia stato messo provvisoriamente nel cassetto. E non è dato sapere quando ci sia stata la spinta che l'ha velocemente rimesso in piedi e portato a compimento. Certo, sarebbe bello poterla far coincidere con l'arrivo della nuova illuminatissima gestione, e visti i tempi brevi che ci sono voluti per girarne la parte live action, e realizzarne la breve parte animata, la si potrebbe benissimo pensare così. Quel che è certo è che il momento migliore per uscire non poteva essere che questo, con il mondo intero ormai del tutto disabituato all'idea di una fiaba in animazione. Serviva proprio Enchanted, col suo essere a metà strada tra un film animato che più classico non si può e una commedia romantica live action, per risanare il sense of wonder comune, colpito a morte da troppi film in 3d volutamente "disincantati". E invece stavolta è il film a fare il quadruplo gioco col pubblico, fingendo a momenti di stare dalla sua parte, e colpendolo a tradimento in altri, rivelandosi in tutta la sua Disneyanità, in una continua alternanza tra incanto e disincanto, sottile parodia e raffinatissimo omaggio. Il compromesso che ci voleva insomma per traghettare un pubblico abbrutito dal presente verso i fasti di un futuro radioso.