Franchissene

Il cinema, come molte altre forme di intrattenimento, ha spesso dimostrato la grande capacità di sfruttare le mode per massimizzare gli incassi. Basta trovare, con lunghe ricerche di marketing o in modo fortuito, qualcosa che funzioni presso il pubblico, e Hollywood innesca una macchina inarrestabile, pronta a sfornare a mò di catena di montaggio una serie di pellicole che risponda a quella particolare istanza. Questa, che è sempre stata una legge del mercato, ha assunto negli ultimi anni i contorni di un problema. Una preoccupante mancanza di idee, e soprattutto una devastante crisi economica hanno letteralmente inibito la voglia di rischiare dei produttori, trasformando progressivamente Hollywood nella patria del franchise, un luogo dove l’eterna ricapitolazione di ciò che è già stato fatto si è ormai del tutto sostituita alla sana voglia di narrare qualcosa di nuovo. Prequel, sequel, reboot e il continuo recupero di vecchie glorie sono alla base delle principali correnti di questa “epoca dei franchise”.

1. Super Problemi

Con il lancio del Cinematic Universe, la Marvel ha trasportato sul grande schermo quella dinamica narrativa di tipo “continuativo”, grazie alla quale per ogni film dedicato ad un supereroe è già previsto in nuce almeno un sequel. Non solo, perché il progetto dei Marvel Studios, sotto l’egida Disney, è ancora più ampio, arrivando al concetto di crossover così diffuso nei fumetti ma difficilmente concepibile fino a pochi anni fa al cinema. Se inizialmente l’idea di creare un universo narrativo coeso di tali dimensioni poteva essere accolta come un nuovo interessante modo di concepire la fruizione cinematografica, in piena “fase 2” ci si accorge anche dei lati negativi di una politica del genere, che a forza di puntare sulla fidelizzazione, sulla lunga distanza rischia di stancare lo spettatore, letteralmente sommerso dall’eccessivo materiale.

Ma il problema non è legato solo al Marvel Cinematic Universe: le proprietà Marvel in mano ad altri studi e gli stessi supereroi DC macinano pellicole su pellicole, riscontrando spesso grosse difficoltà nel cercare di riprodurre il fenomeno Marvel e ricorrendo fin troppo spesso ai reboot. Nel giro di pochi anni tra cinema e tv avremo visto due versioni di Spider-Man, tre di Superman e altrettante Gotham City, alimentando una confusione snervante e una corsa agli armamenti improntata all’eccesso.

2. C’Era Più Volte

A partire dall’Alice in Wonderland di burtoniana memoria, negli ultimi anni abbiamo avuto una riscoperta dell’intero corpus fiabesco. Mentre in tv tale tendenza si ritrova nell’apprezzabile Once Upon a Time, capace di dare una rilettura delle fiabe collegandole insieme in un intreccio unico, al cinema abbiamo avuto invece un’esplosione incontrollata di pellicole, desiderose di dare una versione più dark e adulta di quelle stesse vicende. Questo scenario ha portato ad avere a distanza ravvicinata ben due film dedicati a Biancaneve, e già questo in parte certifica a che livello si sia arrivati. Ma da La Bella e la Bestia di qualche mese fa al recenteMaleficent, il mercato sembra trovare questo terreno ancora molto fertile. La cosa che lascia interdetti è che la stessa Disney, peraltro già produttrice di Once Upon a Time, abbia dato il via alla sistematica riproposizione in live action del suo celebre repertorio animato, arrivando a mettere in cantiere variazioni sul tema come <a=”http: www.ilsollazzo.com=”” forum=”” viewtopic.php?f=”75&t=3775″”>Into the Woods e Cruella ma anche titoli come Jungle Book e Cinderella, che sembrano voler riprodurre le storie note senza twist di alcun tipo. Inutile dire che anche in questo caso siamo di fronte a una tendenza che affonda le sue radici sulla voglia di giocare sul sicuro, riproponendo il già noto. E questo da parte di una Disney che queste tematiche le ha già affrontate è un po’ svilente.

3. Nostalgia Canaglia

Questo filone parte dal ragionamento di comodo che è più facile che uno spettatore si rechi al cinema a vedere qualcosa che già conosce, piuttosto che fare un salto nel vuoto. Su questa base si inseriscono tutte quelle operazioni nostalgia e quei tentativi di rilancio di vecchi personaggi dei fumetti, dei cartoni animati o di serie televisive del passato. A volte, come nel caso di The Lone Ranger o del futuro film dei Peanuts, si tratta di operazioni interessanti e fatte con un certo rispetto, ma molto più spesso si tratta di produzioni qualitativamente molto dubbie. È il caso di quell’infelice filone ibrido di commedie live action/cgi che tentano di ripresentare al pubblico personaggi come i Puffi, Alvin, Garfield o Yogi in versione aggiornata. Scadenti sia sotto il profilo dell’animazione che sotto quello del live action, spesso si tratta di lavori che snaturano i personaggi in questione, collocandoli in contesti a loro estranei e facendo uso di un umorismo di grana grossa. Allo spettatore a cui questo genere di film punta tutto questo va benissimo perché del personaggio ne ha in fin dei conti un ricordo piuttosto labile, e anzi si diverte nel vederlo ricondotto ad un contesto più vicino alle sue corde di adulto. Chi invece ha un po’ più di esperienza in merito sa bene che è forse il filone dal quale più di ogni altro è bene stare alla larga.

4. L’Era Glaciale 76

Ormai il copione è noto. Un film ottiene buoni risultati nei primi giorni di programmazione e immediatamente si annunciano uno o più seguiti, senza neanche dare il tempo di metabolizzare la cosa. Esempi come Avatar sono rimasti nella memoria di tutti, però a fare le spese di questa politica è soprattutto il cinema d’animazione, ormai stritolato nella morsa dei seguiti. Sono lontani i tempi dei cheapquel direct to video di bassa qualità prodotti da unità secondarie: adesso sono gli studi di animazione stessi a produrre i propri, organizzando ogni loro proposta come il pilota di un ciclo da abortire o riconfermare, a seconda dei casi. Franchise come Madagascar, Shrek o L’Era Glaciale hanno segnato la strada e adesso persino realtà come la Pixar si sono adeguate a questa logica. i WDAS resistono ancora con la loro visione pionieristica del cinema d’animazione, ma dopo un successo come Frozen scendere a compromessi diventa la strada sicuramente più comoda.

Ognuna di queste quattro casistiche risponde ad una logica e ad un’esigenza di mercato ben precisa, ma come sempre tutto ciò che funziona troppo, prima o poi inevitabilmente si rompe. L’abuso di ognuna di queste quattro strade porta inevitabilmente alla morte dell’hype, e in definitiva alla saturazione. La fidelizzazione dello spettatore e il proporre personaggi ed esperienze cinematografiche che non si limitino ad un unico film non sono chiaramente concetti condannabili, perché è su questo principio che poggiano le icone che tutti amiamo. Bisognerebbe però imparare a gestire le cose diversamente, ricalibrare le dosi e i ritmi di uscita, valorizzare il passato anziché cercare solamente di riscriverlo, e magari imparare qualche trucchetto dalla narrativa seriale che permetta di impostare tutto diversamente, facendo sembrare l’eventuale sequel qualcosa di narrativamente necessario, piuttosto che un semplice more of same.