Jiro Taniguchi (1947-2017) è uno dei mangaka più importanti di sempre, grazie soprattutto alla sua “internazionalità”. La sua passione per il fumetto europeo, la propensione per la narrazione intimista, la sensibilità per l’illustrazione naturalista e la sua scelta di dedicarsi alle graphic novel o comunque principalmente a storie compiute, gli hanno garantito una certa fama anche fuori dal suo paese. Tuttavia la sua opera da noi è giunta in parte e in modo frammentario, gestita da diverse case editrici e proposta con diversi formati. L’arrivo di una collana di allegati con il Corriere della Sera / Gazzetta dello Sport che raccoglie buona parte della sua opera in modo omogeneo ed elegante è stata davvero una buona cosa, e qui nella Tana del Sollazzo è stata seguita con una certa attenzione. Saremmo stati aperti anche a un eventuale seguito che integrasse anche altri volumi, ipotesi che nella nostra intervista ad Alex Bertani era stata anche ventilata, ma va bene anche così. E comunque… mai dire mai. Ecco nel dettaglio i volumi usciti:
1. L’Uomo Che Cammina (1990). La collana inizia con un’antologia di racconti scritti e disegnati da un Taniguchi “a metà carriera”, non ancora del tutto maturo nelle espressioni facciali, ma già bravissimo come narratore. Si tratta di un’antologia di brevi momenti epifanici, vissuti da un uomo giapponese di mezza età nelle sue quotidiane passeggiatine. il risultato è sorprendente: un niente di sostanza, e una prova di minimalismo narrativo a dir poco eccellente. Oltre a questi racconti il volume comprende anche qualche breve storiella d’appendice tratta dalla produzione precedente dell’autore. Purtroppo qui si riscontra uno dei pochissimi nei della collana, ovvero la mancanza di un apparato critico che contestualizzi il materiale spiegandone la provenienza, per cui la presenza di questi raccontini può confondere.
2. Allevare un Cane e Altri Racconti (1991). Ancora un’antologia di racconti, con un tema portante: gli animali. Il titolo del volume si deve al primo di questi, capostipite di un ciclo di storie autobiografiche in cui vediamo Jiro e la moglie affrontare la perdita del loro amato cane, l’arrivo in casa di un gatto, la separazione dai cuccioli e il rapporto con una nipotina. Emerge qui una delle caratteristiche più interessanti di Taniguchi, ovvero la capacità di colpire la sensibilità del lettore focalizzandosi su dettagli solo apparentemente insignificanti. Pena, tenerezza, angoscia, turbamento, gioia scaturiscono dalle pagine del volume, che in coda presenta ancora una volta materiale extra, senza specificarne la provenienza.
3. L’Olmo e Altri Racconti (1993, con Ryūichirō Utsumi). Terza antologia di storie brevi proposta di seguito, ma opera profondamente diversa dalle precedenti. Si tratta di una collezione di adattamenti fatti da Taniguchi dei racconti in prosa di Ryuichiro Utsumi. Non un Taniguchi derivativo, però, ma un autore in profonda sintonia con la materia trattata. La sceneggiatura è sua, la selezione delle storie anche (Utsumi ne aveva scritte molte di più) e i tocchi minimalisti, quotidiani ed epifanici sono quelli del Taniguchi migliore in assoluto. Chi scrive si è trovato a dir poco “violato” emotivamente da alcuni passaggi, e non si trattava di momenti particolarmente drammatici ma di cose microscopiche: uno sguardo, un movimento, una frase, una puntura di zanzara. Le lacrime scendevano, non capivo bene perché ma mi andava bene così.
4. Al Tempo di Papà (1994). Il primo volume della collana a presentare una narrazione di respiro. In occasione dei funerali del padre, un uomo si ritrova a dover prendere nuovamente in esame il suo rapporto con lui, ricostruendone il vissuto sul filo della memoria. Il libro è massiccio, ma in realtà il tono del Taniguchi autore completo non cambia: si tratta sempre di narrazione minimalista, fatta di brevi momenti epifanici, nostalgia verso il passato e sentimenti di rimpianto. Il tutto con con grande delicatezza e sobrietà, senza mai eccedere. Lettura appagante e intelligente, che anticipa il tono di buona parte delle opere del Taniguchi “maggiore”.
5. Gli Anni Dolci (2008, con Hiromi Kawakami). Un tomo considerevole che ha il gran pregio di riunire in un unico volume un’opera che nelle precedenti edizioni era stata splittata in due. Come per L’Olmo, si tratta dell’adattamento di un romanzo preesistente molto amato da Taniguchi, il quale si è occupato della sceneggiatura. La materia trattata è infatti in linea con la sensibilità dell’autore: la ricostruzione del lento avvicinamento amoroso tra una trentenne e il suo anziano ex-professore. Non mancano momenti imbarazzanti e patetici, tutti gestiti in piena consapevolezza da un autore al massimo della sua maturità. Il comparto grafico è fenomenale, la gestione dei grigi e dei retini è incredibile e Taniguchi si cimenta in alcuni azzardi anche per quanto riguarda le espressioni dei personaggi, che qua e là appaiono volutamente disturbanti (i flashback sull’ex moglie del professore che si comporta in modo infantile rimangono impressi). Una cosa strana: la storia “finisce” a tutti gli effetti nel terzultimo capitolo, mentre i restanti due sembrano voler raccontare una storia autonoma e inserita in un momento precedente della narrazione. Anche qui, la presenza di un apparato critico avrebbe potuto aiutare.
6-7. Gourmet 1 e 2 (1994, 2014, con Masayuki Kusumi). Due volumi che fotografano due fasi diverse della produzione di Taniguchi, ma che a dire il vero risultano piuttosto omogenei nella composizione. I testi sono altrui, mentre per quanto riguarda i disegni osserviamo da un volume all’altro una certa maturazione nelle espressioni facciali. Si tratta di brevi storie autoconclusive in cui assistiamo alle pause pranzo di un imprenditore trentenne giapponese. Entriamo nella sua testa, portiamo allo scoperto i suoi pensierini, e lo guardiamo nutrirsi. Anche qui c’è il minimalismo, i brevi momenti epifanici che aiutano ad uscire dal tran tran quotidiano e tutta la poetica del Tani, però applicata ad un argomento che il lettore occidentale potrebbe trovare ostico: cibo, ricette, termini legati alla cucina giapponese che qui da noi difficilmente risultano comprensibili. Purtroppo la maggior parte di queste brevi storielle finiscono per non esprimere al meglio il loro messaggio.
8-9. Blanca / I Cani degli Dei (1984, 1995). Blanca è l’opera più antica del Tani presentata da questa collana. I Cani degli Dei rappresenta il suo seguito, realizzato più di un decennio dopo e con alle spalle una maturazione artistica davvero impressionante. Come per Gourmet si è scelto di presentare i volumi uno dietro l’altro, e lo sbalzo stilistico si vede. Nel primo troviamo un Taniguchi più sporco e sgradevole: nessun tono di grigio, contrasti fortissimi e personaggi dal volto un po’ alla Otomo, con espressioni esasperate e occhi dal taglio allungato. Nel secondo invece siamo già nella fase matura, la “colorazione” è in scala di grigi e gli umani risultano decisamente più gradevoli. La storia ricorda un po’ Jack London in salsa bellica: un cane geneticamente modificato e reso una furia da una potenza straniera attraversa di corsa le regioni artiche per tornare a casa. Nel seguito avviene praticamente la stessa cosa, ma con i suoi figli. La trama non è particolarmente originale, si fatica ad affezionarsi ai personaggi e tutto l’impianto narrativo è basato sulla reiterazione della stessa scena in cui vediamo il supercane di turno balzare verso il cielo lasciando dietro di sé una scia di nemici decapitati. Eppure… funziona. Per quante volte la cosa venga ripetuta, l’effetto rimane magnifico e il ritmo di lettura non ne risente mai.
10. Il Libro del Vento (1992, con Kan Furuyama). Un breve libriccino su testi altrui e ambientato nel Giappone feudale, in cui possiamo apprezzare la capacità grafica del Tani nella rappresentazione del combattimento. Tra samurai e shogun però la narrazione non è sempre chiarissima, i dettagli sono tanti e sembra che lo sceneggiatore sia più affannato nel metterci a parte della storia del suo paese piuttosto che nel racconto vero e proprio. L’albo presenta un difetto di stampa, una tavola ripetuta, che verrà però corretto qualche settimana dopo, allegando in Furari la tavola mancante.
11. Sky Hawk (2001). Di nuovo il Taniguchi storico, questa volta però su testi propri. E la differenza si vede tutta: evocativo, ben ritmato e con personaggi in grado di rimanere impressi. Due samurai giapponesi esiliati negli Stati Uniti sposano la causa degli indiani d’America e si fanno coinvolgere nella lotta per la difesa della loro terra. Le atmosfere western sono le stesse che il Tani ha già collaudato in Seton e conferma il suo gusto per i grandi paesaggi e l’illustrazione naturalistica.
12. K (1986, con Shirō Tōzaki). Si torna al Tani delle origini, con una collezione di racconti scritti su testi altrui che hanno come elemento comune le gesta del misterioso scalatore K. Si tratta di una serie di scalate autoconclusive con una tenue ombra di orizzontalità, interamente giocata sullo svelamento del suo passato. Lettura piacevole, anche se il protagonista rimane abbozzato. Prove generali per quella che sarà poi una delle sue opere chiave della fase matura, La Vetta degli Dei.
13. Uno Zoo D’Inverno (2008). Di nuovo il Taniguchi puro, quello delle graphic novel compiute e dal retrogusto autobiografico. Ancora una volta il minimalismo, i momenti epifanici, la poetica delle piccole cose: seguiamo i primi passi di un giovane fumettista alle prime armi. Il cambio di lavoro, l’ingresso in uno studio grafico, i rapporti con i suoi senpai e la scoperta di un amore delicato e vissuto con delicatezza e pudore. Crescita, maturazione e sentimento narrati da una mano sapiente e in grado di coinvolgere il lettore con poche semplici pennellate. Nota biografica personale: ci ho rovesciato una tazzina di caffè sopra per sbaglio, macchiando la superficie bianca esterna delle pagine e ho deciso di ricomprarlo immediatamente per onorarne il “candore” narrativo.
14-17. Seton 1-4 (2004, con Yoshiharu Imaizuma). Adattamento in quattro volumi di altrettanti racconti biografici riguardanti il naturalista Ernest Thompson Seton. Pur trattandosi di un’opera su testi altrui, si tratta di uno dei principali cavalli di battaglia artistici di Taniguchi che esprime qui al massimo il suo gusto per il disegno naturalistico. La narrazione non è cronologica e salta da un’epoca e l’altra: si comincia con il Seton maturo del Lupo, poi lo ritroviamo infante nella Lince, adolescente nel Cervo, fino ad arrivare all’Orso, storia vissuta da un altro personaggio che Seton si sente solamente riferire. Visivamente siamo a livelli davvero maestosi: paesaggi, espressioni e soprattutto animali ritratti con una forza e un realismo spaventosi. Pagine dinamiche e narrativamente mostruose. Le trame funzionano anche se tendono a reiterare sempre gli stessi schemi: in ogni fase della sua vita Seton si ritrova suo malgrado nel ruolo di cacciatore, finendo per dispiacersi una volta presa la preda e esserne via via più ispirato per la sua carriera di pittore naturalista. Il primo volume è fra i più emozionanti, ma anche il secondo funziona benissimo raccontando la febbre e la paranoia. Più debole di tutti è il terzo, dispersivo e notevole quasi solo sul piano visivo. Mentre col quarto si torna a volare alto: pur trattando probabilmente del volume più ripetitivo di tutti, con una stessa situazione riproposta di continuo, l’effetto è maestoso e visivamente ipnotico.
18. La Montagna Magica (2005). Difficile essere oggettivi con l’albo a fumetti che rappresenta il proprio primo approccio con Taniguchi, tantopiù che si tratta di una graphic novel che esalta al massimo tutte le caratteristiche che più amo dell’autore. Ragazzini che vivono una difficile situazione familiare, il racconto di un’estate vissuta in mezzo alla natura, atmosfere magiche e in stile Ghibli, minimalismo ed epifanie. Uno dei suoi racconti più brevi e evocativi. Ma purtroppo anche il volume confezionato peggio della collana: troppo sottile in confronto agli altri e soprattutto in bianco e nero, quando l’originale era nato a colori proprio per richiamare lo stile dell’albo a fumetti europeo. Ammetto che fino all’ultimo ho sperato in una sua riedizione con tanto di errata corrige, dopotutto di pagine a colori nelle opere passate ne avevamo avute, ma alla fine ho alzato le mani. Un grosso peccato.
19. Garouden – Lupi Famelici (1990, con Baku Yumemakura). Un traumatico balzo indietro all’inizio della sua carriera, quando il tratto era in stile Otomo, e i racconti decisamente meno trasognati. Violenza, yakuza, combattimenti per le strade e lotta libera per una storia che adatta il ciclo di romanzi di Yumemakura. Della vicenda e dei personaggi rimane molto poco se non alcune sequenze di lotta particolarmente enfatiche, quando non disturbanti.
20. Furari – Sulle Orme del Vento (2011). Si torna al Taniguchi puro con una raccolta di racconti legati da un tenue filo conduttore. Si tratta di base di un nuovo Uomo che Cammina ma ambientato nel Giappone di secoli fa. Il protagonista è un cartografo le cui passeggiate servono a “mappare” il Giappone e passa le sue giornate tra momenti epifanici, piccole riflessioni e voli pindarici, sotto lo sguardo di una moglie rassegnata. Abbiamo anche una parvenza di trama orizzontale ma in generale l’opera rimane poco impressa, anche a causa del suo essere fin troppo legata alla cultura nipponica. Un Uomo Che Cammina col sapore di Gourmet.
21-25. La Vetta degli Dei 1-5 (2000, con Baku Yumemakura). Ben cinque volumi di seguito per raccogliere interamente la lunga epopea della Vetta degli Dei, uno dei capisaldi dell’opera di Taniguchi. Anche qui però non stiamo parlando del Tani autore completo, ma dell’interprete grafico di una storia scritta dal romanziere Yumemakura, già autore di Garouden. Si torna nel mondo delle “scalate estreme” che avevamo solo sbirciato in K, e ci torniamo con gli occhi di un fotografo impegnato in un’indagine che lo porterà a conoscere (e “innamorarsi” di) un rude scalatore, asceta e sociopatico. Tanti, tantissimi i momenti ispirati, anche se qua e là la narrazione si lascia andare a qualche girotondo e tecnicismo di troppo. E qua e là si sente la mancanza della discrezione dei testi del Tani, che vengono qui sostituiti dai dialoghi enfatici da shonen… applicati però a un contesto assolutamente verosimile. Però c’è poco da dire, si tratta di un’opera maiuscola che consacra definitivamente il Tani naturalista.
26. Quartieri Lontani (1998). Il tipico Taniguchi autore completo, che qui firma uno dei suoi capolavori più amati (e premiati). Gli elementi a lui cari ci sono tutti, dalla ricostruzione del passato sul filo della memoria, alla riscoperta delle figure genitoriali che ai tempi dell’infanzia erano state date per scontate. Un uomo di mezza età si ritrova costretto a rivivere il tempo dei suoi quattordici anni, col senno di poi, e cerca di impedire a tutti i costi che il padre se ne vada di casa. La narrazione è rilassata, a tratti molto divertente, e le conclusioni a cui si arriva sono malinconiche e dolci. Molti i punti di contatto con Al Tempo di Papà, ma si tratta di un’opera molto diversa che merita tantissimo il successo avuto.
27. Tokyo Killers (1986, con Natsuo Sekikawa). Ultimo balzo all’indietro della collana, ai tempi del Taniguchi noir, pulp e sporco. Dopo aver letto certi capolavori successivi, l’opera ne esce così così: una set di racconti autonomi, di cui uno illustrato, colorato e incompiuto, incentrati però sul mondo della Yakuza. Si tratta di storielle brevi, fulminanti, snelle e riuscite, ma decisamente minori.
28. Un Cielo Radioso (2004). Altro Taniguchi completo della fase matura, altro capolavoro. Sebbene un punto di contatto con Quartieri Lontani ci sia (l’uomo di mezza età imprigionato nel corpo di un adolescente) in realtà la storia parla di tutt’altro. Dopo un incidente stradale un uomo muore e prende possesso temporaneo dell’altra persona coinvolta nello scontro. Si tratta di una situazione temporanea ma utile a risolvere alcune questioni in sospeso. Trame del genere non sono una novità, ma il modo in cui Taniguchi la racconta ha dell’incredibile: delicato, poetico eppure a suo modo “tecnico”, mostrando nel dettaglio tutti gli andirivieni e il passaggio di testimone tra le due coscienze. Per tutta l’opera si ha un senso di angoscia ineluttabile, ma quando “finalmente” la storia finisce si prova un sentimento di consolante liberazione. Bellissimo, davvero.
29. L’Uomo della Tundra (2004). Ultima antologia di racconti della collana, ancora una volta dedicata alla natura e al rapporto dell’uomo con essa e gli animali. Molto valide le storie (anche se quella autobiografica sulla sua gioventù risulta un bel po’ fuori tema) e in generale significativo che il libro rappresenti un compendio di diversi temi e scenari esplorati dal Tani durante la carriera (il nord, il passato, i lupi, i vecchi eremiti montani, Jack London) con in più qualcosa di nuovo, il bel racconto sulle megattere.
30. La Ragazza Scomparsa (1999). Ultima uscita della collana dedicata ad una graphic novel del Tani autore completo. Torna la figura del montanaro solitario e allo stesso tempo vengono ripescate le atmosfere noir per quello che è un racconto a metà strada tra sport estremi e yakuza. Non fra i più ispirati del lotto, ma è sempre un bel leggere.
E qui si ferma la collana. Una collana che mi ha tenuto compagnia molti mesi e che non ha mai, e ripeto mai, stancato, a differenza di altri progetti destinati agli allegati che durante il loro prolungamento mostrarono la corda e un eccessivo criterio inclusivo. Certo, a essere rimaste fuori sono molte opere ma la maggior parte di queste appartengono alla fase giovanile (meno interessante), sono incompiute (Icaro, Un Anno) o con formati particolari (La Foresta Millenaria), quindi comprensibile che non ci sia abbastanza materiale per un nuovo set di volumi sugosi. In ogni caso, quello che abbiamo avuto ci ha fornito uno spaccato convincente della carriera di Jiro, un’edizione di riferimento graziata da un formato elegante e con un rapporto qualità/prezzo fenomenale.