Giunti al terzo volume de Le Ragazze del Pillar, e all’ormai ennesima pregiata graphic novel realizzata per Bao, non so se abbia ancora senso ripetere la solita prosopopea su quanto sia bello seguire l’opera di Teresa Radice e Stefano Turconi, avendo visto letteralmente nascere la loro Casa Senza Nord in quegli anni disneyani ormai così lontani. Mi rendo conto che sia stato un punto di vista privilegiato, che mi ha aiutato a capire parecchio la loro poetica, ma che oggi questa coppia artistica goda di una risonanza mediatica e di una percezione molto diversa, peraltro pienamente meritata.
Poi però ti imbatti in volumi come questo e non puoi fare a meno di ripensarci al loro incredibile percorso, quel detour con le ali spiegate al vento che li ha portati a realizzarsi in pieno. Perché la netta virata delle loro carriere per certi versi si riflette anche nei contenuti di questo terzo tomo, vera e propria deviazione da ciò a cui ci avevano abituati gli altri volumi della serie. La struttura è la stessa di sempre: due storie da sessanta tavole, intitolate rispettivamente a due “ragazze”. Entrambi i racconti conservano un vago senso di verticalità, ma avvengono sullo sfondo di una trama principale che prosegue, cresce, si intensifica. La struttura viene rispettata, sì, ma in realtà anche stravolta. Le nuove ragazze del Pillar non sono del Pillar, e nemmeno le vere protagoniste delle loro storie, che vengono invece narrate attraverso gli occhi di Tess e Yasser, diventati ormai il reale fulcro narrativo del progetto. Una è poco più di un’ombra del passato, l’altra addirittura un personaggio storico, realmente esistito. Il Pillar nemmeno c’è, tutto il racconto si svolge sul Mediterraneo tra Algeri e Napoli. Ed è un racconto intriso di poesia, sentimento, violenza e bellezza, come nei due volumi precedenti, solo… di più.
Un volume che a un primo sguardo sembrerebbe lo spin-off dello spin-off, una “pausa”, una cosa anomala, ma che in realtà a ben vedere è la prosecuzione naturale di quanto impostato nei precedenti, che contenevano in nuce tutte le avvisaglie di questa svolta. La storia narrata doveva essere questa, ma solo ora è diventato evidente. Sarà divertente vedere come l’opera intenderà ricollegarsi a sé stessa nei volumi che ci attendono, dando un nuovo e più profondo significato al titolo che porta. Creare delle regole, infrangerle e poi ricostruirle dando loro un nuovo senso, è il tipo di giochetto strutturale che da sempre mi intriga, interessato come sono alla “geometria” delle opere d’arte. Ma ci vorrà altro tempo, dato che l’intenzione di Teresa e Stefano, sembra essere quella di proseguire l’alternanza tra il Pillar e i loro bellissimi albi one shot. Quanto tempo ci vorrà non è ancora chiaro. Certo l’attesa sarà particolarmente dolce, se ad accompagnarla saranno libri come questo, o come il Contastorie, tasselli di un affresco artistico sano e meravigliosamente integro.