
Diciamocelo, Ortolani è un tesoro nazionale. Umorista sopraffino, artista visivo di grande impatto e in generale testa finissima. E qualitativamente è uno che tiene botta, con una media altissima: i suoi bassi sono tali solo relativamente ad altro già fatto da lui.
Vero è anche che tutti lo aspettavamo un po’ al varco dopo Rat-Man il signor Ortolani, che sono ormai quasi dieci anni che l’ha finito, e sarebbe anche ora di vederlo volare verso altri lidi, forte delle sue collaborazioni con quattro editori diversi. E invece no, per un motivo o per l’altro, il suo è stato un decennio derivativo: la storia di Rat-Man post Rat-Man, quella fuori continuity, la parodia di questo, il sequel di quest’altro, il prequel della parodia, l’elseworld, la storia che si era ripromesso di fare sin dall’asilo e adesso finalmente può, l’iniziativa didattica, quella un po’ meno didattica ma celebrativa, quella che non è Rat-Man ma c’è comunque un personaggio che gli somiglia, insomma ci siamo capiti. Tutto materiale ottimo, però la voglia di vederlo uscire dal pattern era tanta. Ma è possibile farlo dopo sessant’anni di vita spesi a costruirsi uno stile e un immaginario con caratteristiche così definite? Dopotutto c’è chi il proprio repertorio lo satura dopo un decennio. Abbiamo il diritto di chiedere a Leo un taglio netto?
Poi ecco Tapum, che è dove Ortolani ci accontenta, e con gli interessi.
Una graphic novel, sì usiamolo pure questo termine, di oltre duecento pagine, tutte acquerellate in scala di grigio, con cui Leo ci porta a vivere i giorni della battaglia dell’Ortigara, una delle più sanguinose della Prima Guerra Mondiale. Crudo e delicato, come solo Ortolani sa essere, questo libro prende le mosse da un episodio letto ne La Guerra dei Bepi di Andrea Pennacchi, sul quale poi Leo si è ulteriormente documentato aggiungendo molti altri strati. E uno di quegli strati è… sé stesso, ovvero il suo stile narrativo e umoristico, che si ritrova ben adagiato su una vicenda che anziché annacquarlo lo galvanizza.
C’è tutto, l’ironia sui potenti, un po’ di sfacciato nichilismo e soprattutto un filo rosso di pura umanità che tiene insieme la storia, senza farci mai perdere di vista il peso di quanto narrato. A una battuta sfrontata segue sempre un momento di riflessione: Leo provoca di continuo il nostro pudore, scherzando su argomenti tabù, ma senza volerci per davvero anestetizzare al dolore. Un equilibrio straniante, che pochi altri artisti hanno saputo trovare, che lui si è tenuto stretto per tutta la carriera, e che l’ha condotto qui, a farci ridere e piangere in mezzo ai cadaveri putrefatti di chi ci ha creduto fortissimo.
E che grigi, signora mia. C’è quiete in quella violenza, coccolata da sfumature fumé. L’impatto visivo è imponente, significativo e ci fa capire quale altro grande strumento Leo ha messo in opera tra queste pagine: una regia della madonna. Non che non si sapesse che era uno dei suoi punti forti, ma qui gli è stata fornita una piattaforma, un formato con cui giocare alla grandissima: vignettoni zeppi e vuoti che si alternano, sequenze silenziose e altre in dialetto veneto, splash page che arrivano all’improvviso, stacchi dati da pagine completamente nere che scandiscono il ritmo lento e sofferto della narrazione. Il risultato sono emozioni forti, e qualche bella riflessione sulle ideologie, su cosa significhi comandare per davvero e se la vita abbia davvero un senso. E leggendo tra le righe ci si becca pure qualche timida risposta.
Tapum è forse l’opera più ispirata e spontanea uscita di recente dalla matita di Ortolani, e un auspicio a proseguire su questa rotta “artisticamente assoluta”. E se così non sarà, pazienza: perlomeno abbiam cantato, come direbbero gli alpini di questo splendido fumetto.
