Il Film di Daffy e Porky Pig

Un film dei Looney Tunes, completamente animato, in 2D e per giunta sul grande schermo. Non un veicolo per dire/fare altro, non una celebrazione meta del franchise Looney Tunes, ma un onestissimo cartone animato che racconta una storia divertente con protagonisti Daffy Duck e Porky Pig. Semplice, spontaneo, diretto e genuino.

Ok, in che anno siamo?

Se guardiamo attentamente al percorso che ha portato alla sua esistenza in realtà un senso produttivo ce lo si trova. Una serie tv revival che trova un modo furbo e non troppo costoso di riprodurre lo stile dei Looney anni 40 (alla Bob Clampett, Tex Avery etc), magari grazie a qualche accorgimento vettoriale e tanta mimesi. La corsa alle piattaforme iniziata in pandemia, la decisione di trarre un film da questo revival per metterlo su MAX. Poi la fine della corsa alle piattaforme e la virata verso le sale. Il crescente ampliarsi del progetto e il contributo di svariati studi che negli ultimi anni hanno raccolto fior fior di veterani del 2D in fuga. Una Warner in confusione che cestina tutto e lascia che della distribuzione se ne occupino terzi, i quali poi lo fanno credendoci fortissimo. Insomma, una lunga odissea che avrebbe potuto interrompersi in qualsiasi momento. E invece.

E invece il tutto arriva a destinazione. E il risultato è una bomba.

Chi ci ha lavorato si è sentito ispirato, e palesemente si è divertito un casino. C’è demenza, divertimento, ma anche sentimento e desiderio di trattare con grande amore questi personaggi. Si respira quella stessa aria esuberante che negli anni 90 le serie tv Warner/Amblin emanavano, e anche stilisticamente ci sono non pochi richiami al periodo benedetto che ci diede i Tiny Toons e gli Animaniacs. E’ un film felice questo, dove per felice non si intende solo la resa, ma proprio ciò che devono aver provato gli artisti al lavoro. Non per questo ci si scorda di raccontare una storia: la trama c’è, è semplicissima ma funziona, ti ancora emotivamente ai suoi protagonisti e non si dimentica mai di usare l’animazione stessa come strumento espressivo.

Questo aiuta molto a bersi la storia, una parodia dei disaster movie: devi affrontare uno snodo ovvio? C’è il rischio che emerga un cliché? Ok, allora distrai lo spettatore mettendogli continuamente davanti agli occhi qualcosa che non potrà non gradire: personaggi in posa buffa, qualche gag deliziosamente visiva, qualcosa di esteticamente inaspettato. Basti pensare ai personaggi nuovi, l’alieno, lo scienziato, forse fra gli elementi più virtuosi (nei credits ho letto il nome di Pomeroy, ma non solo). E come scordare il nucleo emotivo della vicenda? Il Fattore Jim, genitore adottivo dei protagonisti, un uomo tutto d’un pezzo, così solido da andare incontro alla sua fine camminando in modo impossibile, animato volutamente male e colorato con un mood drammatico, come se si trattasse di un elemento di sfondo. Avere contezza del proprio arsenale espressivo è anche questo.

L’operazione mi ha ricordato Winnie the Pooh (2011), ma anche Le Follie dell’Imperatore, oltre ovviamente a un sacco di altre cose, così “piccole”, così “giuste”. Inutile dire che non solo lo consiglio, ma lo promuovo con forza anche per il ruolo che in un mondo giusto un suo eventuale successo avrebbe nel cambiare il paradigma del settore.

Perché Daffy non è l’unico papero di cui gradirei tanto vedere un film sul grande schermo…