Star Wars al quadrato

Skeleton Crew è stato bello, ma proprio tanto.

Ai tempi di Andor rimasi perplesso dal tentativo di ibridare Star Wars con altri generi. Al di là di quanto possano essere divertenti gli esercizi di stile, di solito sono il primo segnale che l’opera ha esaurito la sua carica spontanea. All’inizio pare una figata, ma poi il prodotto finisce per frammentarsi e indebolirsi, avvitandosi su sé stesso in un’eterna rilettura fatta di variazioni fini a sé stesse.

Se il genere è poi quello dell’avventure simil-goonies, con le atmosfere anni 80, peggio mi sento. Con tutta la nostalgia respirata nell’ultimo decennio, lo scenario risultava a dir poco abusato. E dato che negli ultimi anni si è abusato pure di Star Wars… c’era ben poco hype in generale per Skeleton Crew.

E invece wow.

Com’è stato possibile? Probabilmente perché questo non è un genere a caso. E’ il tipo di cinema su cui Lucas e Spielberg hanno costruito una parte così grande dell’immaginario collettivo, il loro humus. Combinare Star Wars con un qualcosa del genere è come fertilizzarlo con sé stesso, alla fine ottieni qualcosa che è più Star Wars di Star Wars stesso. Significa restituirgli quel sense of wonder, quell’ingenuità felice, quella genuina energia che ormai veniva data per scontata.

Molti i centri completi di questa serie. Il cast, per esempio. Quattro bambini eccellenti, uno dei quali un gommoso elefantino che ha poco da invidiare a Grogu in quanto a mimica facciale. Un istrionico Jude Law che letteralmente gioca con loro, coccolandoli, spaventandoli, facendoli danzare nel palmo della sua mano di mattatore. Ambiguo, cattivo, simpatico, il suo personaggio riesce a essere tutto e il contrario di tutto, rendendo magnetica ogni scena in cui appare. La riproposizione delle atmosfere piratesche alla Stevenson, con tanto di bucaniere robot che ruba la scena a tutti. E l’incredibile idea di creare un pianeta che ricorda la Terra e tagliarlo fuori dalla galassia conosciuta, in modo da far coincidere totalmente il punto di vista dei bambini con il nostro.

Divertente, ritmato e ispiratissimo, Skeleton Crew lascia perplessi solo sul suo “ruolo” all’interno del grande affresco. Sebbene sia parte di quel frame temporale che conosciamo come “Mandoverse” (Mandalorian, Boba Fett, Ahsoka, insomma quella sacca di serie sulla Nuova Repubblica), in realtà è autonomo e non partecipa in alcun modo al grande intreccio. E forse è un bene, perché alla fine risulta pulito, convincente e nutriente di per sé. Ma rende evidente come in Lucasfilm ad oggi non abbiano sviluppato un buon sistema per comunicare allo spettatore le regole del gioco, spiegandogli come vadano intese le diverse opere, e quale discorso la saga voglia portare avanti. Non che me lo aspetti, con le rogne e l’improvviso cambio di policy che ha cambiato le carte in tavola, tuttavia sarà necessario che ci pensino in fretta, per evitare di far percepire il franchise come la massa informe che purtroppo ad oggi è.