Toy Story 4 e l’Elaborazione del Lutto

Di ritorno dal cinema dopo aver visto Toy Story 4 mi sento strano. Un po’ malinconico, un po’ arrabbiato, a tratti felice. Un bel casino. Direi che a prevalere è il rimpianto però.

Intendiamoci, la più grande paura che ci ha attanagliato negli ultimi quattro anni è che la geometria perfetta della trilogia di Toy Story venisse rovinata. E in effetti questo non succede, non del tutto almeno. La storia di Woody giunge a un esito, fa un pezzettino di strada in più rispetto a ciò che ci eravamo immaginati nove anni fa, e la cosa ha senso. Potrebbe far arrabbiare i puristi, ma ha senso. Questo quarto episodio è un colpo di coda azzeccato, nell’economia generale, è un secondo finale, insomma. Fin lì, ok, lo accetto.

E al di là di questo non mancano le trovate. Forky è una deliziosa aggiunta al cast, un personaggio un po’ disturbante e parecchio “esistenziale”. Laurenti lo doppia benissimo. E anche Angelo Maggi fa quel che può nel ruolo che fu di Frizzi. Non è Frizzi, però, qualcosa stona e stonerà per sempre. Ma ce ne faremo una ragione, o così o niente. E c’è molto altro: una bambolina abbandonata, un giocattolo traumatizzato dal marketing ingannevole, una schiera di inquietanti pupazzi da ventriloquo etc etc. Il livello è alto.

Il problema è che prima era più alto. Molto più alto. Nel 2010 c’era una Pixar diversa, sicura di sé, reduce dai bagordi di alcuni dei più bei film d’animazione di sempre. Il team creativo originario era unito e stava accogliendo nuova linfa, c’era orgoglio, un ruolo preciso all’interno del panorama cinematografico. Ma in questi nove anni è successo di tutto: si sono lasciati andare, hanno avuto dei flop, hanno perso pezzi importanti, in primis Lasseter, creatore e ispiratore della saga dei giocattoli. Non che non ce la si possa fare senza di lui, però l’imprinting e il controllo era il suo. Lasseter è stato allontanato in corso di produzione, e il risultato è un film che è stato portato a termine da altri con difficoltà e si vede.

Le ottime idee non vengono sviluppate a sufficienza. Qua e là ci si ripete. La componente action nel luna park o nel negozio di antiquariato è dimenticabile, e più adatta a un mediometraggio che ad un quarto capitolo. Ci sono anche delle cadute di stile qua e là: viene dato uno spazio eccessivo a due peluche dal design dozzinale e dall’umorismo spento. E il ritorno di Bo Peep, in versione cazzuta, poteva essere concettualmente molto buono, ma è stato fatto in modo ridondante: il modello è stato del tutto ridisegnato, è diversa nella voce, nelle movenze, nel carattere. Pare un recasting, più che una legittima evoluzione.

L’idea è che il team al lavoro avesse meno esperienza. O che non ci fosse sufficiente convinzione su quello che si voleva raccontare, ed è questo a lasciare l’amaro in bocca. Dopo una conclusione epica come Toy Story 3, c’era bisogno di un film ancora più epico, o meno epico ma più coraggioso, in grado di non far rimpiangere il passato. C’era bisogno che la storia che si è scelto di raccontare venisse raccontata con più determinazione, senza perder tempo in dimenticabili andirivieni tra un luna park e un negozio di antiquariato. Molte, troppe cose non vanno a voler ben vedere. E non penso che ci sia davvero spazio per un quinto capitolo in grado di rielaborare nuovamente l’intera epopea. Gli artisti Pixar del futuro molto probabilmente cercheranno di trovare una loro strada affrancandosi dall’ombra di Lasseter e soci, e sinceramente è giusto così. Peccato, però.