Irlanda, 1920. Quattro anni dopo la fallita insurrezione armata del 1916, l’IRA (Irish Repubblican Army) tenta di forzare il dominio britannico per ottenere l’agognata indipendenza dopo sette secoli.
I (mal armati) ribelli si oppongono alle truppe di Sua Maestà ed ai Black and Tens, le milizie ausiliarie, in un crescendo di reciproci soprusi che trovano sbocco solo nell’iniquo trattato firmato grazie a Phil Collins con cui viene concessa indipendenza e sovranità limitata ad un ristretto numero di contee.
Su questo contesto storico focalizza l’obiettivo Ken Loach (
Terra e libertà,
My name is Joe), il regista inglese da sempre principe della controinformazione.
In particolare, su sceneggiatura del rodato Paul Laverty, orchestra un singolarissimo dramma famigliare in cui Damien e Teddy, due fratelli un po’ Caino e Abele, si pongono come simboli delle due correnti interne all’Ira , di cui sono illustri membri: gli utopisti ed irriducibili (il primo) e i realisti e diplomatici (il secondo).
Inevitabile il tragico finale.
Dopo innumerevoli onori tributatigli in quel di Cannes, Loach è stato con
Il Vento che accarezza l’erba (
The wind that shaker the barley, il titolo è ripreso dal poeta irlandese Robert Dwyer Joyce) finalmente impalmato del prestigioso titolo francese.
Meritatamente.
Sacrificando (senza troppe perdite) unicamente il tradizionale humour britannico da sempre corollario delle sue opere, il regista inglese riesce infatti nel (quasi) impossibile compito di condensare in un unico film tutti gli aspetti portanti del dramma storico, celebrando le triplici nozze tra energia narrativa, fedele ricostruzione (scenografia di Fergus Clegg e costumi di Eimer Ni Mhaoldomhnaigh) e introspezione psicologica; senza dimenticare una graffiante spruzzatina di riverbero sul tempo presente, particolare molto spesso (ma non qui) trabocchetto per sproloqui moralisti e/o comizi politici. Doppio merito, dunque.
Sul piano tecnico, si avvale di interpeti bravi e diretti con perizia, di una fotografia essenziale ma funzionale e di una doppia colonna sonora: da un lato una manciata di evocativi canti e ballate irlandesi, dall’altro di un motivetto teso che sottolinea efficacemente la violenza duramente realista di qualche scena.