Le Ragazze del Pillar

Chiunque in questi anni abbia assistito da vicino all’ascesa nel panorama fumettistico del duo formato da Teresa Radice e Stefano Turconi concorda nel ritenere Il Porto Proibito il loro “punto di non ritorno”. In precedenza i coniugi avevano dato vita a opere decisamente pregevoli, come Pippo Reporter e Viola Giramondo, ma è stato con la loro prima graphic novel edita da Bao che le cose sono radicalmente cambiate. Un corposo libriccino, decisamente ispirato sul fronte narrativo, accarezzato dal tenue tratto di una matita innamorata e valorizzato da un formato assolutamente di pregio, aveva proiettato i due artisti della “Casa Senza Nord” in una dimensione fumettistica diversa, più libera e degna del loro talento. Dopo quattro anni e un percorso autoriale libero dalle logiche del fumetto seriale e fatto di narrazioni compiute, stupisce quindi vederli guardare indietro, realizzando quello che a tutti gli effetti è uno spin-off del Porto Proibito.


Pur non risparmiando riferimenti e strizzate d’occhio all’opera originale, Le Ragazze del Pillar tenta però di costruire una narrazione autonoma e indipendente. O quasi. Sulla costina del volume svetta un numero uno, e all’interno dell’albo non mancano spunti e fili narrativi che suggeriscono al lettore attento che il progetto questa volta intende essere più ampio. Al suo interno troviamo invece due storie compiute, lunghe una sessantina di pagine e dedicate rispettivamente a June e Lizzie, due prostitute del bordello Pillar To Post, luogo cardine delle vicende del Porto Proibito. Entrambi i racconti presentano una componente verticale, che si esaurisce al termine della vicenda, e una orizzontale che invece prosegue sullo sfondo. Una struttura decisamente bizzarra che sembrerebbe prestarsi ad un’eventuale “scomposizione” per una futura rimodulazione seriale (e non stupirebbe, dato che il precedente Tosca dei Boschi aveva esordito in Francia proprio diviso in tre). 


Ma qualsiasi fredda analisi di natura tecnica viene messa da parte non appena inizia la lettura. Perché il lettore viene trascinato all’interno di un meccanismo estetico in cui immagine e parola si fondono alla perfezione creando la narrazione. Le matite di Turconi non nascondono la loro matrice disneyana ma nemmeno si fanno limitare da archetipi altrui. Proseguono invece il loro percorso verso un tratto sempre più sintetico, espressivo e agile. L’eleganza non manca mai, nei personaggi in primo piano come in quelli secondari di sfondo. Il colore, grande assente ai tempi del Porto Proibito, questa volta c’è e crea valore di per sé, diventando un potentissimo strumento narrativo. I grigi salmastri dell’opera originale rimangono tratto distintivo dell’opera originale, ed è una scelta condivisibile. I testi di Teresa Radice funzionano benissimo e quelle leggere ridondanze riscontrate in passato sono ormai un lontano ricordo: i personaggi si esprimono con diversi registri, sempre congruenti alla loro rispettiva estrazione sociale, e tradiscono un certo divertimento da parte dell’autrice nel giocare con le loro caratterizzazioni. La prima delle due storie, June, introduce un nuovo personaggio, il maori Tane (impossibile non ripensare al Maui disneyano) e allo stesso tempo prepara la strada alla vicenda successiva, Lizzie, che racconta della relazione tra una prostituta e un rampollo di buona famiglia. Non si tratta certo di un plot particolarmente nuovo, eppure sono pagine che rimangono impresse: la love story è narrata con grande delicatezza e pudore… senza rinunciare al brio e a una punta di divertita ironia.


L’esperimento funziona, quindi, e mi sento di promuoverlo in pieno. Certo, per la prima volta dopo tanto tempo i due autori si “imbarcano” in un progetto che sembra voler andare oltre la quarta di copertina del volume che lo contiene, prendendo la rincorsa per effettuare quel salto nel vuoto che si è rivelato fatale per tante serie a fumetti in passato. Ma questa volta c’è fiducia: gli autori hanno a cuore la propria opera, si sono guadagnati la stima di tutti e hanno alle spalle una casa editrice seria, che crede fermamente nei propri cavalli di battaglia. E la nona arte di questo ringrazia.