Si Alza il Vento

Il mio commento a Si Alza in Vento si concentra su quello che il film ha significato per me. È un giudizio molto personale, e dato di pancia.

Si Alza in Vento mi ha annoiato da matti, ma è stata una noia bellissima, che mi ha cullato dolcemente, e alla fine mi ha lasciato qualcosa dentro. Cosa che non si può certo dire di molti altri film animati visti di recente al cinema, che però mi avevano intrattenuto di più.

 

La prima cosa che ho pensato è che il target di questo ultimo film di Hayao Miyazaki fosse Hayao Miyazaki. Se l’è cantata e se l’è suonata in maniera tenerissima. D’altra parte mi ha fatto piacere vederlo alle prese con un film più verista, dopo averlo visto svarionare per anni, maneggiando in maniera a volte anche maldestra la magia, le maledizioni e l’elemento fantastico. D’altra parte c’è una forza immaginifica latente in quest’ultimo film che sembra voler esplodere in ogni momento, e viene regolarmente tenuta a bada. La ritroviamo nei sogni di Jirou e nella scena del terremoto, in cui finalmente Hayao si scatena. E forse proprio perché tali scene sono circoscritte, limitate, controllate, spiccano maggiormente.

Il lato più tecnicamente biografico l’ho trovato invece molto pesante. Sebbene sia abbastanza ovvio che discorsi come quelli sui rivetti a testa svasata non siano nemmeno mai stati pensati per raggiungere il pubblico, a lasciarmi interdetto è il gran numero di sequenze fini a sé stesse, che narrativamente non portavano da nessuna parte. Miyazaki si dilunga in maniera eccessiva concentrandosi su minuzie e particolari in maniera quasi feticistica, tipo la scena in cui il visitatore tedesco mangia l’insalata, per tacere dei mille andirivieni all’inizio che mostrano gli inizi della carriera di Jiro. Ma trattandosi della storia di una vita, immagino che trovarci dei tempi morti sia prevedibile.

E poi c’è la storia d’amore. La tragica storia d’amore, che tanto tragica non è. Attraverso la sua donna capiamo molto di Jirou, che accetta di buon grado un amore a breve scadenza, e che pur dispiaciuto per le sorti di lei sembra non esserne mai veramente dilaniato. Che Miyazaki volesse portare sullo schermo la tipica mentalità otaku fatta di uomini persi nel loro mondo, al punto di farsi perennemente distrarre da esso, trascurando le ben più concrete e passionali donne, si capiva. La cosa ha persino un involontario effetto comico nella scena in cui c’è lei mezza morta che gli tiene la mano mentre lavora e lui le fuma in faccia come se niente fosse. E la cosa ancora più sorprendente è come la scena non venga minimamente giudicata negativamente nell’economia della narrazione, come se appunto Miyazaki stesso volesse dirci “eh sì, noialtri nerd siamo così, mica siamo cattivi”.

E poi infine c’è Caproni , il personaggio più bello e significativo di tutto il film. Già il nome, sembrava fatto apposta per essere un giorno ripreso e inserito come riferimento reale in un film giapponese, da tanto che suona caricaturalmente italiano. Ma al di là della fonetica, è proprio una figura di peso. Jirou non lo incontra mai di persona, ma sempre attraverso i suoi sogni, in cui Caproni lo ispira, proiettandolo in un vortice di passionalità creativa. Elevandone lo spirito, ma allo stesso tempo distaccandolo dalla realtà e rendendolo di fatto un otaku. Anche qui sembra che Miyazaki stia portando avanti il discorso iniziato con Porco Rosso sugli eterni bambinoni e le donne che soffrono per loro. Anche l’argomento bellico e la metafora delle piramidi che salta fuori quando Jirou si interroga sul fatto che le loro creazioni siano destinate a diventare aerei da guerra sono indicative: per quanto “dannoso” per l’umanità possa essere il loro lavoro, è bene continuare a svolgerlo perché… è un lavoro così bello. E in quest’ottica la scena finale assume un significato enorme, candidandola a diventare forse il più importante testamento lasciato dall’autore giapponese. Nell’ultimo sogno di Jirou, vediamo la sua donna dargli l’ultimo addio. Jirou se la immagina serena mentre passa oltre, dimostrando di non aver mai realmente percepito la sofferenza di lei. Ma è ancor più significativo che tutto questo avvenga in presenza di Caproni. E che dopo il malinconico congedo, il mentore di Jiro sdrammatizzi la cosa, invitandolo a prendersi con lui un bicchiere di vino, ultima linea di dialogo del film.

La carriera di Hayao Miyazaki finisce dunque con il buon vino di Caproni. Una chiusa positiva e leggera. Da obiettori di coscienza, pure un po’ irresponsabili. Ma tanto onesti. Hayao Miyazaki si è definito una volta per tutte, e ci ha mostrato con trasparenza che tipo di uomo è , e come ragionano le persone come lui. Come biasimarlo?

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