Star Wars: The Bad Batch

Ieri si è conclusa la prima stagione di The Bad Batch, quarta serie animata del franchise di Star Wars, la prima dell’era Disney+. Si è conclusa nell’indifferenza generale e questo silenzio fa riflettere.

Fa riflettere perché era partita a ridosso della conclusione di The Falcon and the Winter Soldier, la miniserie dei Marvel Studios, e a occhio si poteva pensare che potesse essere la successiva “big thing” della piattaforma.

Non lo era. Dopo poche settimane è arrivato Loki a scipparle la scena (il mercoledì è il nuovo venerdì), e poi altro ancora, rendendo ben chiaro che The Bad Batch non avrebbe mai potuto competere con gli altri prodotti di serie A. Era stata pensata e realizzata con in testa altri modelli, puntando a fidelizzare solo una parte del pubblico. E questo perché era animata.

E animata, almeno per Filoni, e per chi porta avanti il franchise Star Wars vuol dire ancor oggi procedere seguendo un’agenda, un formato, un linguaggio diverso. Quello delle serie animate.

A fronte di un incremento tecnico davvero notevole, e una grafica che ha ben poco da invidiare a certe produzioni cinematografiche, la struttura della narrazione non si discosta affatto da quanto visto in Rebels e Resistance.

Il pilot è una sorta di filmone ambizioso e ben riuscito. E’ vero, ha innescato una brutta – ma giustificata – polemica per via del ritocco fatto da Filoni al canone fumettistico. Ma al di là di quella scivolata sembrava davvero uno spettacolo di alto livello. Buona anche la premessa di partenza: un gruppo di cloni difettosi vedono con occhi esterni la trasformazione da Repubblica a Impero, si fanno difensori di una bimba loro simile e si ritrovano a riflettere sulla loro fedeltà alle istituzioni.

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Poi con l’arrivo degli episodi “regolari” ecco che iniziano a vedersi gli stilemi. Ecco il caso della settimana, la missioncina da sbrigare in mezz’ora, spesso legata a questioni logistiche. C’è l’episodio più verticale, quello che sembra un filler ma sviluppa il rapporto fra questo e quel personaggio, quello più leggero e kid-friendly, quello noiosetto ma con begli scenari, quello elettrizzante ma con troppa azione. Ci sono diverse chicche e apparizioni di personaggi famosi, la cui presenza fa da collante con le altre serie di Star Wars andando ad aggiungere preziosi tasselli: Rex, le sorelle Martez, Gregor, Hera, Cad Bane, perfino Fennec Shand, direttamente da The Mandalorian.

E nel frattempo si delineano storyline interessanti che si dipanano nel tempo e ci spiegano che fine hanno fatto i cloni, in che modo sono stati sostituiti dagli assaltatori comuni. E soprattutto il motivo per cui non si sia più fatta menzione di Kamino. La doppietta finale in cui si narra la sorte del pianeta e del suo popolo è d’impatto e ha delle implicazioni intelligenti, nell’ottica di interconnettere l’intera mitologia galattica.

La qualità è piuttosto alta, insomma. Il problema è che sembra di essere tornati a dieci anni fa. Sembra di star inseguendo logiche televisive da Disney Channel che nel frattempo credevamo di aver ampiamente superato. Logiche a cui il colpo di grazia è stato dato paradossalmente dallo stesso Disney+.

The Bad Batch è un buon prodotto ma da un punto di vista comunicativo è un fallimento. Se si voleva far passare il messaggio che le serie animate erano importanti e in grado di attrarre il pubblico quanto un Mandalorian, non si può dire sia riuscito. Ma probabilmente non lo si voleva fare. O, ancora più probabilmente, il franchise è in mano a persone certamente innamorate di questo universo, desiderose di portarlo avanti, ma non in grado di fare quel coraggioso salto per portare le serie animate oltre il guado e renderle universali.

So che è brutto fare confronti, ma pochi giorni fa i Marvel Studios hanno invece presentato la loro prima serie animata, What If. L’impressione è che il pubblico non l’abbia classificata come una cosa per espertoni, o per bambini o per appassionati di cartoni animati. Il pubblico invece si è chiesto come mai alcuni personaggi non fossero doppiati dai relativi attori, come se aspettarselo fosse la cosa più normale del mondo. Nella mente del fruitore What If era semplicemente il pezzo di MCU successivo al finale di Loki.

Star Wars è un franchise molto vecchio e nel tempo ha avuto molte declinazioni multimediali. La paura è che si sia dovuto adattare ai differenti linguaggi voluti dal medium, dal formato, dall’editore e dal pubblico di turno, frammentandosi in differenti sottogeneri. Tutti percepiti come subalterni al caro vecchio Star Wars filmico che la gente ha in testa. Azzardo che le cose cambieranno solo se si deciderà ad adottare una “voce unica”, tonante quanto quella di Feige, in grado di connettere non solo gli eventi del Canone ma anche i suoi svariati spettatori.

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