Folgorazione nella Terra di Mezzo

E’ mio costume aspettare la fine di una serie prima di esprimermi a riguardo. La macchina dell’hype che ci porta a sminuzzare, settimana dopo settimana, ogni fenomeno, fino a farlo a brandelli sui social, riducendo ogni suo dettaglio al meme settimanale è una cosa molto brutta che penso dovremo allenarci ad evitare.

Poi però ti imbatti in qualcosa come Gli Anelli del Potere e non c’è attesa, non c’è prospettiva che tenga. Subisci una folgorazione e parlarne immediatamente diventa necessario.

Faccio una premessa: ci è voluto un po’, nei mesi precedenti per abituarmi all’idea di questa produzione. All’inizio non si capiva cosa fosse, se un remake di LOTR oppure no. Poi si è capito che rappresentava un’espansione dei fatti della Seconda Era, che Tolkien aveva solo accennato nel Silmarillion. Infine si è tremato forte quando è saltato fuori che Amazon non aveva i diritti del Silmarillion, che avrebbe dovuto basarsi “solo” sul pregresso narrato nelle appendici del Signore degli Anelli, e che la produzione non era nemmeno collegata all’esalogia di Peter Jackson, che rimaneva in mano a Warner. Non ero positivo.

Lo sono diventato dopo aver letto una bella intervista agli showrunner. Schietti, onesti e consci di tutto il problema. Sapevano di dover fare slalom tra mille paletti, a malgrado questo erano intenzionati ad aggirare gli ostacoli. Dalle appendici avrebbero tratto tutti i fatti utili a surrogare il Silmarillion e da un punto di vista produttivo l’intenzione era quella di rifarsi in tutto e per tutto ai film Warner, sia pur implicitamente, ingaggiando nomi come John Howe e Howard Shore. Avrebbero potuto essere parziali, prestare il fianco ad una corrente piuttosto che un’altra e invece hanno voluto ragionare in modo ampio e a prova di problemi. Venerdì mi sono seduto sul divano aspettandomi quindi un prodotto rispettoso e congruente, di Tolkien, di Jackson, e soprattutto del pubblico che negli anni ha amato la Terra di Mezzo sia su carta che su celluloide. Mi sarei accontentato di un compromesso ben riuscito.

Quello che non potevo prevedere sarebbe stata la bellezza.

E per bellezza intendo la bellezza vera, il desiderio di far esperire allo spettatore uno spettacolo totale, un trionfo estetico, poetico e magniloquente. Che sia la serie tv con più budget nella storia si sente e si vede, ma non è necessariamente il soldo a fare la bellezza, a volte è semplicemente il gusto e la sensibilità dell’artista, che quando comunica a dovere con la sensibilità dello spettatore crea quel ponte ideale che chiamiamo espressione, ed è il reale scopo dell’arte.

Non c’è un fotogramma poco ricercato, ogni dettaglio della messinscena mira a creare l’illusione di un trasognato quadro in movimento. C’è un lavoro sul colore, sulla luce, sulla disposizione degli elementi in scena che è quasi raro nel live action. Le inquadrature e i movimenti della telecamera non sono mai banali, comunicano tanto, tantissimo. L’impressione è che non ci sia niente di standardizzato. Lo stesso vale per il tono. Si passa dall’umorismo garbato delle scene con i pelopiedi, ad un registro aulico nelle interazioni tra elfi. Il linguaggio è anche più ricercato, e l’adattamento italiano utilizza termini desueti che restituiscono il sapore di quei tempi antichi.

E sebbene le dinamiche siano per forza inedite, e sia stato detto che a livello di datazioni hanno dovuto per forza di cose concentrare gli eventi in un periodo di tempo più ristretto, Tolkien non è affatto assente. C’è eccome. Si sente nei discorsi, si sente nelle tematiche e si sente nelle parole specifiche: il verme, il putridume, il guardare in alto anziché farsi attrarre morbosamente da ciò che giace in basso è tutto materiale che se si è letto Tolkien per davvero farà suonare non pochi campanellini.

Siamo di fronte a qualcosa di epocale, con cui ci dovremo misurare in futuro. Non solo dal punto di vista artistico e tecnico ma proprio come concezione: fare le cose in grande, pensando ad ogni aspetto del problema. E poi diciamocelo, in un’epoca in cui ogni franchise soffre di troppismo e in cui sembra che sia necessario ampliare anche gli eventi meno rilevanti di ogni storia, il fatto che la Terra di Mezzo avesse praticamente un’Era vergine era una cosa che chiamava vendetta.