La Falsa Storia di Buzz

Lightyear – La vera storia di Buzz, il nuovo poster - Ciak Magazine

Lightyear scricchiola. E lo fa a partire dai suoi presupposti.

Provo a riassumerli: decidi che vuoi fare il film che ha ispirato la linea di giocattoli vista in Toy Story. Quanto questo possa essere interessante, appurato che Buzz nasceva proprio come stereotipo volutamente banale, non lo so, ma poniamo che sia una buona idea. Bé, era già stato fatto nei primi anni 2000. C’era la serie animata, con un film pilota uscito in home video, e tutto un progetto, con una qualità assolutamente congruente con quello che si suppone Andy potesse aver visto e mitizzato negli anni 90. Anche la trama scritta sulla scatola del giocattolo corrispondeva perfettamente.

Ma poniamo che Pixar non abbia piacere che sia stata fatta quella serie, che – ricordiamolo – non era mica sua, ma di Disney Television Animation. Poniamo che la voglia rimuovere dalle memorie… o quantomeno aggirare, fingendo che questo in realtà sia il film live action da cui era stata tratta quella serie animata, da cui era a sua volta stata tratta la linea di merchandising che al mercato mio padre comprò. Ci sono un po’ tanti passaggi nel mezzo, e l’operazione inizia a sembrare un po’ forzata, ma vabbé, sforziamoci.

Poniamo che negli anni 90 sia stato prodotto questo film, che Andy adorò e da cui partì tutto il carrozzone. Ecco, qui le cose iniziano a sfasciarsi irrimediabilmente. Lightyear non sembra un film anni 90 e sembra ancor meno un film in grado di generare il merchandising che abbiamo visto. E’ un film del 2022, con una sensibilità del 2022. E, no, per quanto l’inclusività possa essere una buona causa, non mi vieni a raccontare che nell’epoca di Ace Ventura un kolossal americano con un comandante donna, nera e lesbica fosse anche solo pensabile. Spiace. Se volete io sto al gioco, ma devo crederci. E’ pur sempre la stessa Pixar che all’epoca di Toy Story 3 arrivò a costruire dei perfetti fake-spot anni 80 per ogni giocattolo nuovo, e che in generale si è sempre preoccupata di calare nella realtà ogni pezzo di plastica della camera di Andy. Se la risposta a questa obiezione è che nessuno avrebbe davvero avuto voglia di sorbirsi un film anni 90… bé, non te l’ha ordinato il dottore di fare un film su Buzz Lightyear. Forse allora l’idea di base non è davvero così felice.

Lightyear: il primo trailer del film sulle origini di Buzz (Toy Story)

Ma Lightyear scricchiola anche a prescindere dai suoi presupposti.

Questo perché, anche solo sforzandosi di isolarlo, ritenendolo un film del tutto a sé… cosa si ottiene? Uno scifi di qualità medioalta, ben svolto e senza grossi scivoloni. C’è mestiere e non si discute. A mancare è altro: l’originalità, l’ispirazione e, duole davvero tanto dirlo, l’estetica. Due sono i guizzi: il bel montaggio in cui vediamo Buzz tentare la propria missione mentre i suoi amici invecchiano e un simpatico colpo di scena legato al villain, che ci restituisce una buona morale. A parte questo, sono due ore di azione, robottoni, basi militari, corridoi rugginosi, condotti dell’aria, insettoidi e un po’ di gag da equipaggio scalcinato che poi impara a fare squadra. Il tutto ambientato in un pianeta visivamente monotono e monocolore.

Credo che fosse loro dovere esigere di più di questo. Che Pixar in passato si sia distinta per un gusto un po’ meno lirico e un po’ più concreto e all’americana rispetto ai WDAS mi è cosa nota, almeno dal 1995. Ma malgrado questo, hanno sempre dimostrato di saper affrontare la materia trattata in modo ben più illuminato di così. Rincorrere stilemi di genere è una cosa che puoi fare per gioco, ma solo se poi mi cali l’asso in grado di dare un senso a questo gioco, o quantomeno incrementarglielo.

L’impressione è che questo film sia un po’ l’antitesi di Turning Red, che aveva un sacco da dire, con una voce dirompente e nuova. Qui siamo più dalle parti di Finding Dory, Incredibili 2 e Toy Story 4: c’è poco da dire e ce n’è poco perché ci si è voluti ostinare a riesumare una Pixar vecchia, che ha detto il dicibile e che se la fai parlare troppo rischia pure di contraddirsi. Accettiamo che quel tempo è finito, e che non è il caso di stare a corteggiare il nostro piccolo Andy interiore, un bambino che aveva dieci anni nel 95 e che sinceramente aveva anche dei gusti un po’ del cavolo.

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