Nintendo e le Tre Dimensioni (1996 – 2000)

Continua il nostro viaggio nella storia Nintendo! Nella seconda metà degli anni ’90 la casa di Mario sconvolge il mondo videoludico rilasciando una serie di giochi epocali in tre dimensioni, ma perde il primato commerciale nel mercato casalingo, mentre su Game Boy debuttano i Pokémon.

R&D2 e la Nintendo Play Station

In questo periodo R&D2 perse il ruolo centrale che aveva detenuto fino a quel momento: le modalità non sono chiare, ma non è Masayuki Uemura ad occuparsi del successore del Super Famicom. La Wikipedia giapponese suggerisce che Uemura sia stato estromesso dal progetto “Ultra Famicom” – nome in codice della futura console – a seguito del fallimento della partnership con Sony per la creazione della “Play Station”, espansione CD per Super Famicom. Che Uemura fosse coinvolto nel progetto Play Station è molto probabile, ma non siamo riusciti a trovare altrove conferma di questo dettaglio, che consigliamo allora di prendere con le pinze. Una curiosità sul progetto Play Station: Nintendo quanti giochi aveva in sviluppo per l’espansione CD del Super Famicom? Pochi, forse nessuno. In una singolare intervista del ’92 Miyamoto per certi versi risultò più all’oscuro dell’intervistatore.

Sony decise di continuare il progetto in autonomia modificando leggermente il nome e rilasciò la sua prima console, la PlayStation. Un forte pragmatismo di fondo nei rapporti con le terze parti, l’utilizzo dei CD, più economici e capienti delle cartucce di Nintendo, e una distribuzione capillare in Europa (mercato fino a quel momento considerato secondario dalla casa di Mario) ne decretarono il successo e molti degli sviluppatori e delle serie che avevano fatto la fortuna del Super Famicom si spostarono su PlayStation. Sega, invece, realizzò il SegaSaturn, una macchina poco al passo con i tempi. Il SegaSaturn aveva infatti un’architettura hardware inadatta ai giochi 3D, ma seppe comunque conquistarsi una sua nicchia in Giappone grazie a versione casalinghe di giochi arcade, visual novel tratte da famosi anime e stupendi giochi 2D, ottenendo però risultati disastrosi nel resto del mondo.

Tornando a Nintendo: fra il 1995 e il 1997 fu fondato il gruppo Special Planning & Development (SP&D, da non confondere con la futura SPD) sotto la guida di Satoshi Yamato per lo sviluppo di giochi sperimentali e hardware “minori”, come il Satellaview, avanguardistica espansione del Super Famicom distribuita solo in Giappone che permetteva di ricevere giochi tramite rete satellitare. Le fonti a riguardo sono molto scarse e non è chiaro se SP&D fosse un dipartimento interno a R&D2 o un vero e proprio team autonomo. A nostro avviso, la prima ipotesi è più probabile: consultando i credits dei giochi gran parte delle opere di SP&D è stata sviluppata da personale che contemporaneamente collaborava a progetti di R&D2.

R&D2 e SP&D, da sole o in collaborazione con altre aziende (o altre divisioni di Nintendo), svilupparono svariati giochi per Satellaview. Alcuni di essi erano “remix” di giochi già rilasciati per Super Famicom: Inishie no Sekiban e BS Super Mario USA riproponevano con vari twist le mappe di A Link to the Past e Super Mario Bros. 2 (nella versione inclusa nella compilation All-Stars), presentandosi narrativamente come sequel diretti. Per Satellaview uscirono anche prodotti totalmente inediti, come il puzzle game Sutte Hakkun o Marvelous, che ottennero abbastanza successo da essere poi rilasciati su cartuccia.

Marvelous: Mōhitotsu no Takarajima (1996) è una sorta di incrocio fra un gioco d’avventura e A Link to the Past, che il director del gioco, il giovane Eiji Aonuma, aveva molto amato per i suoi labirinti. Ma in Marvelous i combattimenti sono quasi assenti: al giocatore, nei panni di tre simpatici boy-scout, è “semplicemente” richiesto di risolvere enigmi ed interagire con altri personaggi. Aonuma non ama i giochi d’azione: non ha mai finito il primo Zelda per Famicom e a quel tipo di giochi preferisce le avventura grafiche, tanto da essere fan di Famicom Tantei Club. E in effetti, Marvelous è in tutto e per tutto un’avventura grafica, con tuttavia il controllo diretto dei personaggi: idealmente, una risposta ai dubbi sollevati nel 1989 da Shigeru Miyamoto sulla supposta scarsa interattività del genere. Miyamoto ovviamente non partecipò allo sviluppo di Marvelous, ma come vedremo rimase ben impressionato dal gioco.

Negli anni successivi fu solo il ramo SP&D a continuare lo sviluppo hardware, occupandosi esclusivamente di progetti dalla minor caratura, come accessori per le console portatili o le mini-console Pokémon Mini. R&D2 realizzò qualche gioco per Game Boy, come Korokoro Kirby (Kirby Tilt n’ Tumble) e Super Mario Bros. DX e Link’s Awakening DX, nuove versioni di vecchi classici di Super Mario e Zelda. Toshiaki Suzuki, director di alcuni quei giochi, ricorda: Il team di Miyamoto-san non stava sviluppando giochi per Game Boy Color, così siamo stati incaricati di ricrearli con qualche aggiunta.

Rimpianti e Riti di passaggio

Fu invece R&D3, che in questi anni cambia nome in Integrated Research & Development (IRD), ad occuparsi dello sviluppo del successore del Super Famicom, noto inizialmente Project Reality. Lo scopo del progetto era permettere ai designer di EAD di dare libero sfogo alle loro idee in mondi tridimensionali. Per EAD i tempi erano ormai maturi: già dopo Super Mario World, i giochi bidimensionali sembravano aver ormai detto tutto quello che potevano dire e i ragazzi di Miyamoto avevano con successo sperimentato mondi poligonali nei due Star Fox per Super Famicom. Un progetto ambizioso, che Nintendo riuscì a realizzare in partnership con la Silicon Graphics.

Dopo aver ventilato la possibilità di chiamare la console “Ultra Famicom” in Giappone e “Ultra 64” in Occidente, su suggerimento di Shigesato Itoi Nintendo scelse per il Project Reality un nome unico in tutto il mondo: Nintendo 64. Rilasciato in Giappone nel giugno del 1996 (in considerevole ritardo, un anno e mezzo dopo le console della concorrenza), il Nintendo 64 era un vero e proprio mostro di potenza, con un processore a 64bit sviluppato dalla nipponica NEC (ricordate il PC-Engine?) e il co-processore Reality della Silicon Graphics, realizzato sotto le direttive dell’ingegnere taiwanese-americano Wei Yen. Reality era il vero fiore all’occhiello del Nintendo 64, permettendo alla console di riprodurre svariati formati audio non compressi e occupandosi dello z-buffering: una tecnica che permette di stabilire in tempo reale quali oggetti visualizzare in primo piano, impossibile invece nelle console della concorrenza, i cui giochi risultarono caratterizzati da una grafica 3D sporca e tremolante.

La prima console diretta da Genyo Takeda di IRD, tuttavia, aveva due difetti chiave. In primo luogo, Nintendo si ostinò a utilizzare su Nintendo 64 le cartucce come supporto d’archiviazione – il formato che aveva caratterizzato le due console Famicom appariva ormai come obsoleto e costoso rispetto ai CD-ROM utilizzati da Sega e Sony. Le cartucce, dal canto loro, erano un ottimo deterrente alla pirateria e offrivano rapidi tempi di caricamento, ma per la maggior parte degli sviluppatori terze parti i “pro” non superavano i “contro”. Lo scarso spazio d’archiviazione delle cartucce limitò inoltre i vantaggi di Reality: teoricamente il coprocessore poteva riprodurre MP3 non compressi, ma nella pratica le cartucce del Nintendo 64 non avevano abbastanza spazio per archiviare musiche in alta qualità.

Il secondo difetto della console colpì anche Nintendo e i suoi partner più stretti: il Nintendo 64 era una macchina molto difficile da programmare. L’ex Presidente Iwata, ricorda che io stesso ho avuto problemi ai tempi del N64. Allora ero presidente della HAL Laboratory Inc. Il Nintendo 64 uscì nel 1996, ma fino al 1999, quando furono rilasciati Smash Bros. e Pokémon Snap, la HAL Laboratory non era riuscita a contribuire granché allo sviluppo di nuovi prodotti. Questo perché il Nintendo 64 ha cambiato radicalmente il modo nel quale le cose venivano create rispetto [al Super Famicom]. Dovevamo trovare il modo per sfruttare al massimo la grafica 3D e per la squadra non è stato facile. […] Con il Nintendo 64 la dimensione delle texture era molto limitata. Se non riuscivi a trovare soluzioni creative [come quella di Mario 64 nd] durante la costruzione dei dati, i tempi di elaborazione aumentavano drasticamente. Al problema delle texture ricordato dal Presidente Iwata, si aggiungeva una scarsa quantità di RAM, esacerbata dal fatto che lo z-buffering faceva ampio uso di memoria. Reality, inoltre, poteva essere programmato tramite microcode ma per molto tempo Nintendo si rifiutò di condividere con i vari sviluppatori le informazioni per sfruttare al massimo la microprogrammazione e la documentazione che fu eventualmente fornita era molto povera.

Col senno di poi, Genyo Takeda parla del Nintendo 64 come un hansei, un rimpianto che dà adito a una riflessione. Quando abbiamo progettato il Nintendo 64, abbiamo pensato fosse logico che realizzare giochi più avanzati risultasse tecnicamente più difficile. Ci sbagliavamo. Shigeru Miyamoto, che aveva fortemente spinto il progetto, è di un parere simile, ma leggermente più positivo: parlando dal punto di vista di uno sviluppatore software, considera il Nintendo 64 “un rito di passaggio”. Durante lo sviluppo del successore dichiarò: Era difficile sviluppare per Nintendo 64, soprattutto perché la distribuzione delle librerie software è stata ritardata [il riferimento è probabilmente al microcode nd]. Tuttavia, il Nintendo 64 ha portato gli sviluppatori nell’era del 3D ed era inevitabile che ci sarebbero stati problemi. Penso che gli sviluppatori che hanno lavorato con lo “pseudo-3D” sulla PlayStation [si riferisce alla mancanza di z-buffering nd] adesso si trovino a doversi rimettere in pari lavorando con il vero 3D sulla PlayStation 2. In questo senso, penso che [per quegli sviluppatori] sia ancora più difficile sviluppare su PlayStation 2 che su Nintendo 64. Insomma, il Nintendo 64 ha eliminato i nostri sviluppatori più deboli a uno stadio iniziale. Sul lungo termine, penso sia stata una necessità. Quasi un rito di passaggio.

La console fu venduta con un caratteristico controller, sviluppato da Miyamoto in prima persona. La progettazione del controller iniziò all’inizio del processo di ideazione del Nintendo 64. Sapevano che volevamo poter muovere i personaggi in un mondo 3D in un certo modo ed eravamo determinati che il controller lo permettesse. SegaSaturn e PlayStation, oltre a non possedere l’hardware necessario per gestire veri mondi 3D, non avevano neppure il controller necessario per permettere ai personaggi di muoversi in tre dimensioni in modo fluido: grande innovazione del controller Nintendo 64 fu l’introduzione di uno stick analogico. Tuttavia, l’implementazione fu molto discutibile. Il controller del Nintendo 64 poteva essere impugnato in tre diversi modi, forse pensando all’eventualità di rilasciare giochi 2D controllati con la croce direzionale. Benché la maggior parte dei giochi sfruttasse l’impugnatura di Mario 64, il risultato fu comunque un pessimo biglietto da visita: un controller poco immediato per i giocatori. Un altro rimpianto, questa volta per Miyamoto in prima persona.

Palestre Tridimensionali

Il Nintendo 64 fu accompagnato al lancio da due giochi: Super Mario 64 e Pilotwings 64. Pilotwings sarebbe stato l’ultimo grande gioco sviluppato da IRD, assistendo l’azienda texana Paradigm con la supervisione di EAD. Una super-produzione internazionale, “spia” dei problemi che i designer di Kyoto stavano avendo con il nuovo hardware: Nintendo collaborò con Paradigm, che non era uno sviluppatore di videogiochi, prevalentemente per la loro esperienza con la grafica 3D. Ricorda Dave Gatchel, Project Manager per Pilotwings: Nel 1994 siamo stati contattati da Nintendo per sviluppare sulla loro nuova console a 64 bit. All’epoca, Paradigm sviluppava prodotti basati sulle workstation della Silicon Graphics. […] Era ovvio che l’interesse di Nintendo per noi fosse dovuto alla nostra esperienza nella grafica 3D. Più che un (comunque discreto) gioco, Pilotwings 64 era sostanzialmente una demo tecnica per Nintendo, una “palestra” per i suoi sviluppatori.

L’inesperienza dei programmatori di EAD con la grafica 3D portò anche il giovane Shinya Takahashi ad emergere. Takahashi aveva studiato grafica e su Super Famicom aveva già lavorato a dei giochi semi-tridimensionali: Super Mario RPG, sviluppato da Squaresoft, e Special Tee Shot di EAD, pubblicato poi come Kirby Bowl (Kirby’s Dream Course) con i personaggi della serie Kirby. Su Nintendo 64 Takahashi fu director, insieme a Katsuya Eguchi (già autore di Star Fox), di Wave Race 64, uscito solo qualche mese dopo la console. Il motivo per cui sono finito a fare Wave Race è per il mio lavoro con la grafica 3D. Tutto è cominciato con noi seduti con questi ingegneri, che avevano esperienza solo con il Famicom e il Super Famicom e la loro grafica 2D. Abbiamo messo davanti a loro una macchina della Silicon Graphics, ci siamo seduti e abbiamo chiesto: come pensiamo di realizzare qualcosa con questa? […] Non importava che fossero nuovi o lì da anni, avevamo ingegneri che lavoravano con i [graphic] designer, tutti allineati allo stesso punto di inizio con zero esperienza. Con Wave Race Takahashi assunse dentro l’inesperta EAD un ruolo molto importante, divenendo una sorta di “coordinatore generale”. Un’altra personalità che emerse in questa fase, forte dei suoi studi in regia e animazione, fu quella di Yoshiaki Koizumi, assistant director di Mario 64 e braccio destro di Miyamoto nell’ideazione dei primi prototipi 3D di Super Mario e Zelda.

Wave Race si distingue da altri giochi dell’epoca per l’incredibile realisticità e fisicità dell’acqua: non un semplice orpello estetico, le onde di Wave Race mutano con il clima e l’intero gioco – più arcade che simulativo, a scapito dello stile grafico – ruota attorno all’interazione fra le onde e il giocatore. Sulla scia di Wave Race, nel 1998 EAD rilasciò 1080° Snowboarding. Pilotwings, Wave Race e 1080° non sarebbero stati possibili su Super Famicom, e neppure su SegaSaturn o PlayStation: al di là della grafica avanzata, erano giochi incentrati sulla precisione dei movimenti concessa dallo stick analogico del Nintendo 64. Una ragione per sviluppare 1080° all’origine era mostrare lo stick analogico del Nintendo 64. Fino a quel momento i giochi Nintendo erano destra, sinistra, su e giù. Tutti i giochi che sono usciti con il Nintendo 64 erano focalizzati sul controller e questo ci ha spinti verso questo feeling analogico, ricorda il programmatore Giles Goddard. Pur con molti rimpianti e con le difficoltà intrinseche a un “rito di passaggio”, nel Nintendo 64 ancora scorreva quella Super Sinergy che aveva fatto la fortuna della precedente console, grande punto di forza di Nintendo.

L’Occhio della Telecamera

Fatta pratica con il mondo 3D, Super Mario 64 fu il vero primo gioco di EAD a tre dimensioni e, in un certo senso, il primo videogioco moderno in tre dimensioni. Mario 64 non si limitò a portare in 3D il gameplay tipico del platform 2D (approccio seguito, ad esempio, dal coevo Crash Bandicoot) ma ripensò profondamente quello che il medium videoludico può e non può fare con l’introduzione dell’asse Z.

La più grande idea di Mario 64, che qualsiasi gioco 3D al giorno d’oggi ha fatto sua, fu l’introduzione di una telecamera dinamica. In due dimensioni i videogiochi avevano sempre una visuale fissa, che fosse “a volo d’uccello” o laterale. In 3D questa sarebbe risultata una limitazione: a seconda dell’azione del giocatore può essere necessaria un’angolazione diversa dalla telecamera o il giocatore stesso potrebbe sentire l’esigenza di spostare la visuale. A queste necessità risponde il personaggio di Lakitu. Ad accompagnare Mario nella sua prima avventura 3D troviamo un Lakitu buono, che riprende con una (letterale) telecamera l’idraulico in tutta la sua avventura. Lakitu non è “bloccato” su Mario: se la visuale del giocatore dovesse risultare “oscurata” da un oggetto, ad esempio un muro o un albero, Lakitu dinamicamente si sposta, permettendo di vedere l’ambiente attorno a Mario. Inoltre, il giocatore stesso può muovere Lakitu: l’idea (astratta) di “spostare la telecamera in un ambiente tridimensionale” è traslata nel gioco come effettivamente un secondo personaggio che il giocatore controlla, attraverso i tasti C (da – appunto – Camera) del controller Nintendo 64. In un memorabile momento del gioco, Mario si trova di fronte a uno specchio che riflette sia lui, sia il Lakitu sempre alle sue spalle, a ricordare che la visuale del giocatore è la visuale di Lakitu. In questo senso – quasi “fenomenologico” – il vero protagonista di Mario 64, l’Io-che-vede-il-mondo (di cui Mario fa parte) è Lakitu.

L’esistenza di un personaggio intrinsecamente fuori dalla visuale del giocatore (in quanto coincidente con l’occhio del giocatore) implica inoltre l’esistenza di un mondo al di là di quello rappresentato sullo schermo. I giochi 2D erano spesso divisi in schermate e avanzando oltre un certo punto i nemici indietro cessavano di esistere, oppure a volte, tornando indietro, riapparivano i nemici precedentemente sconfitti: il mondo rappresentato su schermo e il mondo (ludicamente) esistente tendevano a coincidere. In un ambiente 3D così non è. Mario può prendere un oggetto e lanciarlo lontano, magari fuori dalla zona ripresa da Lakitu. Quell’oggetto, pur non ripreso da Lakitu, continuerà ad esistere e potrà aver portato ripercussioni nel mondo di gioco (ad esempio potrà aver ucciso un nemico e Mario troverà quindi una monetina).

Sono elementi che oggi diamo per scontati, ma che nel 1996 non erano tali. Crash Bandicoot al confronto appare ingenuo. L’approccio 3D di un gioco come Bug! – ritenuto da SEGA un possibile sostituto di Sonic the Hedgehog – assolutamente impietoso. Il pur ottimo NiGHTS, un gioco sempre di SEGA e sviluppato dal Sonic Team, rilasciato contemporaneamente a Mario 64, sembra aver paura di affrontare le tre dimensioni e offre un gameplay sostanzialmente bidimensionale. Nel primo Nintendo Historia parlavamo di Super Mario Bros. come “anno 0” dei videogiochi Nintendo: Super Mario 64 è “l’anno 0” dei videogiochi 3D.

Tradurre in 3D. Tradire il 2D

Mario 64 come primo videogioco 3D è indubbiamente un esperimento riuscito. Ma Mario 64 in quanto controparte 3D di Super Mario Bros.?

La risposta è complicata. A metà dello sviluppo Miyamoto e i suoi si resero conto che in tre dimensioni è più difficile calibrare i salti: Nei primi giochi di Mario potevamo misurare il numero di pixel che Mario poteva saltare e sapere esattamente cosa era possibile. Ma questa volta abbiamo dovuto progettare i livelli in modo tale che il giocatore ce l’avrebbe fatta comunque, a patto che il salto fosse “abbastanza buono”: era troppo difficile per il giocatore giudicare [l’ampiezza del salto].  Mario, inoltre, viene dotato della possibilità di sconfiggere i nemici con i pugni e ogni oggetto proietta perpendicolarmente al suolo un’ombra: un’idea irrealistica, ma che aiuta il giocatore a muovere il personaggio in 3D.

I livelli cessano inoltre di avere una “fine”. Mario World, come abbiamo visto, era ricco di segreti, ma fondamentalmente ogni livello aveva un’uscita e, al più, un’uscita segreta. Yoshi’s Island già è una sorta di “episodio ponte” fra World e 64, con i livelli pieni zeppi di oggetti da collezionare per il 100%. Tuttavia, anche i livelli di Yoshi avevano un punto d’arrivo ben definito ed era sempre chiara la strada che il giocatore doveva fare per raggiungerlo. In Mario 64 alla bandierina di fine livello si sostituiscono delle stelle (più di una), sparse per tutto il livello e ottenibili in qualsiasi ordine. Consequenzialmente, il livello non “accompagna” più silenziosamente il giocatore verso la fine, che in effetti cessa di esistere. Non per questo i mondi di Mario 64 hanno un level design dozzinale: la maggior parte ruota attorno a una struttura centrale (ad esempio la piramide nel livello desertico), offrendo così al giocatore un costante punto di riferimento per orientarsi.

Nel ’96 Miyamoto affermò che l’essenza di ciò che rende un videogioco 2D divertente è totalmente differente […] dal dinamismo che i giocatori amano in 3D. Il game design di Mario 64 è sintetizzato in questa dichiarazione del ’93: [Con il 3D] dovremmo creare qualcosa possibile solo nel medium videoludico. Non si tratta di grafica o di raccontare storie, ma l’esplorazione di spazi virtuali. Forse è troppo presto per dirlo, ma penso che i futuri videogiochi saranno meno incentrati sulla grafica e più su divertirsi in spazi virtuali.

Parlando di Super Mario Bros., abbiamo rimarcato che “controllare Mario è incredibilmente divertente” e questo aspetto è mantenuto in Mario 64: Mario corre, salta, fa tripli salti, salta lateralmente, a parete e in lungo, si accovaccia, nuota, vola, fa surf su un guscio Koopa (queste ultime due caratteristiche ereditate forse da Pilotwings e Wave Race), si arrampica e tira pugni: anche grazie allo stick analogico, che permette un movimento fluido a 360°, è un personaggio super-dinamico e reattivo. Semplicemente muoversi in Mario 64 è divertente e i livelli, “gli spazi virtuali”, sono costruiti di conseguenza. Le 120 stelle del gioco sono così un mero McGuffin: il vero divertimento non è collezionarle, ma esibirsi nelle acrobazie più spericolate possibile per farlo. I livelli sono dei percorsi a ostacoli densi di cose da fare: il focus del platform 3D non è più, allora, non cadere saltando da una piattaforma all’altra, ma lo stesso saltare da una piattaforma all’altra, magari in modalità (apparentemente) neppure previste dagli sviluppatori. Parlando di A Link to the Past nello scorso capitolo di Historia, e poco sopra di Wave Race, abbiamo intravisto la filosofia di EAD dietro i videogiochi: il coinvolgimento diretto del giocatore e il rapporto fra il suo avatar e il mondo di gioco. Mario 64 è la sublimazione di questa filosofia.

Eppure, pur essendo uno dei giochi più divertenti mai realizzati da Nintendo, Mario 64 non si può dissociare dal suo “peccato originale”: aver “tradito” Super Mario Bros., almeno per tutti quei milioni di giocatori che non fecero il salto in 3D. World vendette 20 milioni. Mario 64 poco più della metà, dando vita a – affermò il Presidente Iwata nel 2011 – un gruppo di giocatori che pensano che i giochi 3D siano troppo difficili per loro. […] Vagare in giro dà una grande liberta, ma porta con sé il problema di non sapere dove andare e perdersi. E Miyamoto, così entusiasta negli anni ’90 della libertà offerta da Mario 64, già nel 2003 dichiarò che portare [i giochi di Mario] in 3D ha ridotto il numero di utenti. Diventando 3D, i giochi sono diventati molto più complicati. Prima, i giochi di Mario erano il tipo di gioco che tutti potevano prendere e giocare facilmente. Andando nei mondi 3D abbiamo limitato le persone a cui il gioco è accessibile.

Un rimpianto, anche Mario 64? Di sicuro, in futuro, cercare di trovare un compromesso fra Super Mario 64 e Super Mario Bros. sarà una delle missioni di Nintendo.

Il Miglior Videogioco di Tutti i Tempi

Mentre Mario 64 era in sviluppo, un team EAD iniziò a lavorare anche a Zelda 64, sotto la guida di… Toru Osawa. A sorpresa, Miyamoto affidò il progetto al director di Kid Icarus e uno dei due genitori di Famicom Tantei. La motivazione non è nota: possiamo azzardare che Miyamoto considerasse necessaria una maggior attenzione all’aspetto più strettamente narrativo con un videogioco 3D (presentando il gioco in America, Miyamoto si vantò parecchio della bellezza dei filmati del gioco). Kaeru no Tame aveva anche mostrato che Osawa era abbastanza a proprio agio all’interno di una narrativa cappa e spada.

Osawa non è l’unico membro “extra EAD” di Zelda 64. Si unì al team anche Aonuma, che si dedicò ai labirinti del gioco forte della sua esperienza con Marvelous (altri sviluppatori di quel gioco fra l’altro lo accompagnarono) e del suo passato come realizzatore di marionette karakuri: fondamentalmente, per Aonuma realizzare pupazzi meccanici e labirinti tridimensionali non sono attività così distanti.

Aonuma ricorda: Miyamoto-san aveva giocato un gioco Super Famicom che avevo realizzato, Marvelous: Mohitotsu no Takarajima, e disse che mi sarei dovuto unire al suo gruppo se avessi voluto fare un gioco come quello. In quel periodo, solo le persone che ottenevano buoni risultati venivano chiamate e la posizione era solitamente quella di director. Per cui avevo un grande senso di responsabilità per il lavoro che mi veniva assegnato. Una dichiarazione molto eloquente: il resto di Nintendo appare come una sorta di “palestra” per scegliere i designer più talentuosi. Nel momento in cui questi si uniscono ad EAD, però, inevitabilmente R&D1 e R&D2 accelerano il proprio declino. Lo sviluppo di Zelda 64 è emblema dell’approccio totalizzante di Miyamoto: l’intera Nintendo, in un certo senso, ruota attorno alle ambizioni di Shigeru.

Completato lo sviluppo di Mario 64, anche Yoshiaki Koizumi entrò a far parte del team di Zelda. Forte dell’esperienza di Mario 64 e delle difficoltà incontrate (e non del tutto risolte) da quel gioco con i mondi 3D,  Koizumi ebbe l’idea di introdurre in Zelda lo Z-Targeting: con la pressione del tasto Z, la visuale di Link “mira” un personaggio o un nemico, permettendo facilmente al giocatore di interagirvi. Se la telecamera di Mario 64 venne “personificata” in Lakitu, il cursore dello Z-Targeting divenne la fatina Navi, compagna di Link per tutta l’avventura.

Per i combattimenti, Koizumi si ispirò a uno spettacolo di chambara: Ciò che provavo a immaginare riguardo lo Z-Targeting, era come combattere contro più nemici contemporaneamente. Se avessi fatto come nella realtà, i nemici avrebbero circondato il giocatore tutti insieme creando molta confusione. […] Guardare quello spettacolo allo Studio Park mi ha dato un indizio su come risolvere il problema. Lo Z-Targeting evidenzia un particolare avversario, dicendo agli altri di attendere. […] All’inizio, gli altri nemici attendono la fine del combattimento con il primo e, quando questi viene sconfitto, si può agganciare il successivo avversario. Solo un nemico alla volta, quindi, attacca Link. Ocarina è un gioco molto più facile dei predecessori, continuando a spostare il focus della serie dall’azione alla risoluzione di enigmi.

Introdotto lo Z-Targeting, traslare il gameplay di Zelda in 3D fu relativamente semplice. A livello concettuale la serie già aveva sperimentato, su Super Famicom e Game Boy, con spazi tridimensionali, labirinti che si sviluppavano in altezza, larghezza e lunghezza. Ma il team non si fermò qui; l’ingegnosità di Aonuma con gli enigmi, l’esperienza di Osawa nel raccontare storie intricate, la volontà di Koizumi di sperimentare quanto possibile con mondi tridimensionali e la vigile supervisione di Miyamoto diedero vita a un gioco mastodontico: le tante subquest, gli innumerevoli personaggi strambi ben caratterizzati (ereditati da Awakening), una Hyrule sdoppiata in passato e futuro e popolata da tante razze diverse, il ciclo giorno-notte (una vera rivoluzione per l’epoca), le ampie pianure da attraversare a cavallo… Alla sua uscita Ocarina of Time stupì il mondo e fu acclamato tanto in patria quanto in Occidente come miglior videogioco di tutti i tempi, il primo ad ottenere un “Perfect Score” dalla rivista nipponica Famitsu.

Corse contro il Tempo

Eppure, anche Ocarina in una certa misura è motivo di rimpianti. L’ambizione del gioco portò EAD a ritardarlo più e più volte, lasciando il 1997 “sguarnito” di un titolo di forte richiamo: fu Rareware a salvare l’anno per Nintendo, con Goldeneye 007 e Diddy Kong Racing.

In questo, ebbe colpa, ovviamente, anche la difficoltà intrinseca a sviluppare su Nintendo 64, che coinvolse anche gli altri progetti EAD. Un gioco minore come Yoshi’s Story fu completato in ritardo, Mario Kart 64 per uscire in tempo mostrò gravi deficienze tecniche, mentre altri progetti vennero annullati, come il sequel di Mario 64 o un gioco ispirato a Janguru Taitei (alias Kimba, il leone bianco). L’output di EAD su Nintendo 64 è complessivamente inferiore alle aspettative: ai giochi che abbiamo citato si aggiungono Star Fox 64 e F-Zero X, che portarono a maturità le serie ambiziosamente nate su Super Famicom. Poi, il nulla.

Solo a console morente EAD sembrò essere riuscita a stabilire una buona pipeline produttiva, rilasciando fra 2000 e 2001 Mujura no Kamen (Majora’s Mask), sequel di Ocarina, e in Giappone Dōbutsu no Mori (Animal Crossing). Di Animal Crossing parleremo nel prossimo capitolo di Nintendo Historia, ma la sua uscita così ravvicinata a Majora è interessante: pur in modo molto diverso, entrambi i giochi sperimentano infatti con il tempo.

Majora’s Mask fu l’ultimo grande gioco del Nintendo 64 e il primo diretto da Aonuma. Non stupisce allora che la serie abbandoni quasi totalmente l’ambizione di essere un gioco d’azione; i combattimenti sono ovviamente sempre presenti, ma il vero fulcro del gioco è Termina: una città sull’orlo di un’apocalisse con strambi e melanconici personaggi, che il giocatore deve aiutare. Majora è un gioco spaesante: sia Link che gli abitanti sono imprigionati in un ciclo di 72 ore, che il giocatore di volta in volta riavvolge, resettando i suoi stessi progressi e la sua relazione con i vari personaggi. Un connubio fra gameplay e storytelling fra i migliori mai raggiunti dall’intero medium videoludico, il cui merito va principalmente a Koizumi: a tutti gli effetti co-director del gioco, sua fu l’idea del loop temporale dei tre giorni.

Una chiusura tanto bella quanto melanconica per la console a 64bit, un po’ come la sua intera storia: rimpianti per quello che sarebbe potuto essere, orgoglio per quello che è stato.

Prodigi Tecnici

Majora’s Mask ricicla gran parte di personaggi e asset da Ocarina of Time… ma non è il solo. Anche l’engine di Animal Crossing deriva da quello di Zelda, a sua volta basato su quello di Mario 64. Inizia a istituzionalizzarsi dentro EAD l’utilizzo di engine e tool di sviluppo comuni a più giochi: il merito è del Technology Development Department, il “ramo programmatore” di EAD (aiutato dai ragazzi di SRD), che si occupa del “dietro le quinte” dei giochi di Miyamoto.

Al dipartimento tecnico dobbiamo anche la serie Mario Artist, rilasciata a fine 1999 sulla periferica Disk Drive del Nintendo 64 (un tentativo, fallito, di dare al Nintendo 64 una controparte del Famicom Disk System). I giochi di Mario Artist mettevano nelle mani degli utenti dei potenti programmi di sviluppo per disegnare su Nintendo 64, creare degli avatar virtuali o addirittura renderizzare delle figure poligonali. Sulla stessa linea si muoveva l’Expansion Kit per F-Zero X. Degna di nota, all’interno di Mario Artist: Polygon Studio, la modalità Sound Bomber, in cui al videogiocatore erano proposti uno dopo l’altro, sempre più velocemente, dei semplici minigiochi. Questa modalità fu pensata e programmata dal giovane Kouichi Kawamoto.

Una ricca Produzione Esterna

In questo ciclo di articoli non abbiamo trattato i giochi sviluppati dai partner di Nintendo, serie come Kirby, Fire Emblem, MOTHER o Donkey Kong Country che hanno notevolmente arricchito la ludoteca del Super Famicom. La scelta è stata consapevole: trattare la storia di aziende esterne in contemporanea alle già complesse vicende dei team interni avrebbe portato ad articoli lunghi e confusi. Come già detto ci promettiamo, in futuro, di dedicare alla storia di queste aziende degli articoli ad hoc. Con EAD in grande difficoltà con il Nintendo 64 viene tuttavia da chiedersi come i vari partner abbiano approcciato la nuova console.

La risposta è: male. Abbiamo già riportato le parole di Iwata su HAL Laboratory: l’azienda di Kirby solo nel 1999 riuscì a rilasciare i suoi primi giochi su Nintendo 64, Pokémon Snap e Smash Bros.. Kirby 64, un gioco sottotono rispetto ai capitoli Super Famicom, arrivò invece nel 2000, mentre MOTHER3 e Kirby Air Ride, diretto dall’ideatore della serie Masahiro Sakurai, furono cancellati. Intelligent Systems non se la passò meglio, rilasciando solo Mario Story (Paper Mario in Occidente) a console ormai morente. Fire Emblem è invece al centro di una storia complessa: in breve, nel 1999 inoltrato venne rilasciato Fire Emblem: Thracia 776… su Super Famicom. Subito dopo, l’ideatore della serie Shouzou Kaga lasciò l’azienda e sviluppò su PlayStation quello che era in tutto e per tutto un episodio di Fire Emblem: Tear Ring Saga, che fu al centro di una battaglia legale con Nintendo.

Con i partner di sempre in crisi e le terze parti su PlayStation, in questo periodo Nintendo inizia attivamente a corteggiare piccole aziende nipponiche con co-produzioni particolari. Sulla scia di Mario Kart e Smash Bros., vengono sviluppati Mario Tennis 64 e Mario Golf 64 da Camelot, già autrice di Minna no Golf su PlayStation, e un team di Hudson noto come Monegi dà vita alla serie Mario Party. Un importante lascito del Nintendo 64 sono questi giochi incentrati sul multiplayer locale: la console permetteva di collegare fino a quattro controller senza l’uso di periferiche esterne.

Oltre ai vari spin-off di Mario, il Presidente Yamauchi decise di finanziare le idee di piccoli sviluppatori giapponesi. In questo contesto Nintendo produce giochi come Kyojin no Doshin (Doshin the Giant, arrivato in Occidente solo sul successore), Dōbutsu Banchō (Cubivore, sviluppato su Nintendo 64 ma rilasciato solo sul successore) o Custom Robot, che ottenne un buon successo in Giappone. Nel complesso, la mossa di Yamauchi appare nata senza una vision di fondo a lungo termine e questi giochi sono rimasti per lo più un unicum.

Come già accennato, fu invece fondamentale l’apporto che diede al Nintendo 64 l’azienda britannica Rareware, entrata nel 1994 nella sfera di influenza di Nintendo con la serie di Donkey Kong Country per Super Nintendo, sviluppando in autonomia o in partnership con Kyoto un alto numero di giochi di qualità, spesso “declinando” in modo particolare concept nati in EAD: ad esempio, Banjo-Kazooiee Banjo-Tooie offrono una formula simile a quella di Mario 64, ma abbandonano le origini platform focalizzandosi maggiormente sull’interazione con carismatici personaggi e l’esplorazione di mondi ben caratterizzati. Su tutti i giochi Nintendo/Rare emerge Goldeneye 007: fortemente voluto da Miyamoto, è un gioco che ha fatto la storia al pari di Mario 64 e Ocarina of Time, traslando su console il genere degli sparatutto in prima persona nato su PC, con successo di critica e di pubblico.

Rareware non fu l’unica compagnia occidentale a collaborare con Nintendo: in questi anni Nintendo of America, sotto la guida di Minoru Arakawa (genero del Presidente Yamauchi) e l’ex-avvocato Howard Lincoln, finanziò la produzione di giochi importanti, come Starcraft 64, e una serie di aziende iniziarono a ruotare attorno a Nintendo: Left Field (che realizzò Excitebike 64), Factor 5 (autrice di diversi giochi a marchio Star Wars pubblicati da Nintendo e, soprattutto, delle librerie MusyX, utilizzate per comprimere l’audio dei giochi su cartuccia) e Silicon Knights, al lavoro sull’ambizioso horror Eternal Darkness. Nintendo of America partecipò inoltre alla fondazione di Retro Studios e diede vita a due divisioni interne, una software (NST, Nintendo Software Technology) e una hardware (NTD, Nintendo Technology Development).

Se su Super Famicom gran parte dei giochi Nintendo era prodotta da EAD, con una manciata di stretti partner che si occupavano delle proprie serie (HAL e Kirby, Intelligent Systems e Fire Emblem, Rareware e Donkey Kong, più il caso “autoriale” di Shigesato Itoi e MOTHER), il Nintendo 64 fu invece caratterizzato da una ricchissima produzione esterna che gli donò un ampio numero di esclusive. Con il Nintendo 64 l’identità delle console Nintendo inizia ad essere caratterizzata dalla presenza di giochi Nintendo: conseguentemente, pur vendendo meno hardware rispetto al predecessore (32 milioni contro 49), su Nintendo 64 il software etichettato Nintendo subì un incremento di vendite di oltre il 33% (120 milioni contro 87).

Successi Mondiali su Console Tascabili

Una grande, importante, collaborazione di questi anni è quella che unisce Nintendo con le aziende Creatures e Game Freak, autrici dei giochi a marchio Pokémon. Le prime, storiche, versioni della serie di mostriciattoli, la Rossa e la Verde, uscirono in Giappone agli inizi del 1996, donando nuovamente linfa vitale al Game Boy, una console che – sette anni dopo la sua uscita – sembrava ormai aver detto tutto quello che poteva dire, da un punto di vista sia “creativo” che commerciale. I giochi Pokémon spingevano ciascun utente ad avere una propria cartuccia e una propria console e a comunicare fra loro per catturare tutti i mostri: una soluzione di gameplay possibile (almeno all’epoca) solo su console portatile.

Pokémon divenne rapidamente un fenomeno di massa in Giappone, convincendo Nintendo a non rilasciare nel 1998 un vero successore del Game Boy, ma una sorta di “via di mezzo” fra una nuova console e un restyling: sviluppato in soli 10 mesi, il Game Boy Color condivide gran parte del suo hardware con il predecessore, ma al tempo stesso vanta – oltre allo schermo a colori – una CPU più potente e maggiore memoria RAM. I primi giochi rilasciati su Game Boy Color erano compatibili anche con il vecchio modello, ma a partire dal 2000 i giochi Nintendo (e gran parte dei molti giochi terze parti) furono resi esclusivi per la nuova consolina colorata: de facto la “via di mezzo” si impose come successore. Il successo dei Pokémon e del Game Boy Color rivitalizzò l’intero mercato giapponese delle console portatili: nel 1999 la Bandai rilasciò il Wonderswan, ideato da Gunpei Yokoi poco prima di morire, e la SNK il Neo Geo Pocket Color.

Il Game Boy Color fu prodotto senza il contributo di Gunpei Yokoi. Lo storico designer di giocattoli, infatti, nel 1996 abbandonò l’azienda a seguito del fallimento del Virtual Boy: una console estremamente sperimentale in grado di visualizzare grafica 3D in due colori, rosso e nero. Un esperimento interessante ma troppo in anticipo sui tempi (tanto che il suo 3D bicromatic causava mal di testa ai giocatori con un utilizzo prlungato), il Virtual Boy non riuscì minimamente a bissare il successo del Game Boy (di cui nei piani iniziali, forse, doveva rappresentare una sorta di successore). Senza più Yokoi a guidare R&D1, il Presidente Yamauchi decise di separare i rami hardware e software di R&D1: al vecchio team, che avrebbe continuato a sviluppare software, si affiancò Research & Engineering Department, o RED, che si sarebbe occupato del Color e di tutti i futuri hardware portatili sotto la direzione di Satoru Okada, da noi già incontrato come “vero creatore” del primo Game Boy.

In Occidente il Game Boy Color fu rilasciato poco dopo i giochi della prima generazione di Pokémon e si supportarono a vicenda: la strategia della Super Sinergy confermò ancora la sua bontà, questa volta con un gioco non prodotto internamente da EAD o R&D1. La sinergia Pokémon però travalicava quella tradizionale Nintendo: in supporto del gioco uscirono una serie di carte collezionabili e un cartone animato (con dei film inizialmente supervisionati da Yōichi Kotabe). Nel 2000 il successo fu bissato dai giochi della seconda generazione, questa volta sviluppati tenendo in considerazione le potenzialità del Game Boy Color. Lo stesso anno le tre compagnie detentrici del marchio Pokémon fondarono The Pokémon Company per la gestione di un fenomeno senza precedenti. Fu Satoru Iwata, da poco entrato in Nintendo, a muovere le fila “dietro le quinte”.

Subito dopo l’uscita della prima generazione, EAD fu coinvolta nella produzione di Pokémon Stadium per Nintendo 64: il sogno di vedere i Pokémon sullo schermo di casa era però un progetto complicato (si trattava di renderizzare e animare in 3D oltre 150 mostriciattoli!), che fu completato con la collaborazione di HAL Laboratory e svariate aziende esterne. Il ruolo di coordinatore del progetto spettò a Shinya Takahashi: ripenso a Pokémon Stadium non tanto in termini di game design, ma più in termini del ruolo [che ho avuto], è dove ho imparato di più sulla gestione e le operazioni di un team. In futuro, EAD non avrebbe più toccato il mondo Pokémon in modo così intensivo: per i sequel di Stadium nel 2002 fu istituita un’azienda ad hoc, Genius Sonority.

Dov’è Finita Samus Aran?

In questo articolo abbiamolo solo accennato a R&D1. Il motivo è semplice: non c’è molto da dire. Sotto la guida di Takehiro Izushi, succeduto a Gunpei Yokoi, in questi anni R&D1 continuò a sviluppare giochi per Game Boy e Game Boy Color con nuovi episodi di Wario Land, riedizioni di classici per Game & Watch (diretti da Hitoshi Yamagami) o l’originale Card Hero di Yoshio Sakamoto (purtroppo mai arrivato in Occidente), ma non partecipò allo sviluppo del Nintendo 64 e per la console si limitò ad assistere altri studi (EAD per i Mario Artist e Treasure per l’ottimo sparatutto Sin & Punishment). L’unica eccezione è costituita da Dr. Mario 64, ideato da R&D1 sotto la guida di Yamagami ma effettivamente programmato dalle esperte mani di IRD. De facto, R&D1 non sviluppò nessun gioco per Nintendo 64: METROID non ebbe alcun episodio a 64bit, e men che meno Kid Icarus o Famicom Tantei Club. Come abbiamo visto nello scorso articolo di Nintendo Historia, il secondo episodio di Famicom Tantei e Wrecking Crew videro dei sequel/remake su Super Famicom nel 1998: R&D1 abbracciò il Super Famicom con i suoi progetti minori lo stesso anno di Ocarina of Time.

Il Nintendo 64 sembra essere passato inosservato dal team storico. Le tre dimensioni sembrano anzi venire attivamente ripudiate da Sakamoto, che nel 2003 affermò: Quando si tratta di confrontare fra loro giochi 2D e 3D, non posso dire che i giochi 3D siano sempre migliori. Il Super Famicom era una diretta evoluzione del Famicom, ma quando gli sviluppatori si spostarono dal Super Famicom al Nintendo 64, furono costretti a cambiare dimensioni. Quando il 3D si diffuse, il mio dipartimento era in un’area separata dalla divisione 3D, per cui all’epoca mi sentii lontano dalla prima linea di questa nuova ondata di videogiochi. Mi sentii lasciato indietro, pensando che se avessi perso il treno, sarei arrivato troppo tardi. Pensandoci adesso, tuttavia, ritengo che non avessi alcuna idea su come avrei dovuto cambiare il modo di approcciarmi ai videogiochi. Tutto ciò che avevo era la vaga idea che dovessi essere in prima linea nello sviluppo dei videogiochi. Quando ho fatto il passaggio dal Famicom al Super Famicom, in modo spericolato ho cercato la superiorità [tecnologica], ma grazie al fatto che in ritardo mi sono spostato dal Super Famicom al Nintendo 64, ho avuto come grande fortuna l’opportunità di riflettere ulteriormente sulle basi di ciò che rende un gioco divertente e di ciò che voglio sperimentare in un gioco. Sono riuscito a vedere il Game Boy sotto una nuova luce.

Questa dichiarazione conferma che negli anni ’90 R&D1 risulta ormai estromessa dagli esperimenti pioneristici e avanguardisti del resto di Nintendo. Dalle parole di Sakamoto, quella del Game Boy sembra quasi una prigione, di cui solo in un secondo momento, forse rendendosi conto di non avere niente da dire in 3D, ha apprezzato le potenzialità. Un aneddoto: abbiamo parlato sopra della centralità del controller Nintendo 64 nei giochi EAD; Sakamoto, invece, ha eloquentemente affermato che tenendo in mano il controller del Nintendo 64, non riuscivo proprio a immaginare come potesse essere usato per muovere Samus.

I magici anni del Family Computer in cui R&D1 rivaleggiava con EAD producendo giochi molti diversi, ma egualmente validi, sono finiti da tempo e R&D1 non sembra avere un vero ruolo dentro la compagnia. Eppure, fra Game Boy e Nintendo 64 la console più venduta non è quella a cui hanno lavorato i ragazzi di Miyamoto.

In questo articolo abbiamo inserito link a tanti siti, sia per invogliare il lettore ad approfondire, sia per ringraziarli (senza di essi questa panoramica sulla storia di Nintendo non sarebbe stata possibile). Un altrettanto grande ringraziamento va ai database Mobygames e The Kyoto Report, che abbiamo consultato per i credits dei giochi.