Lo Hobbit – La Battaglia delle Cinque Armate

La Battaglia delle Cinque Armate è sicuramente un film meno vario dei due capitoli precedenti della trasposizione cinematografica di Lo Hobbit, ma è probabilmente fra i più onesti della nuova trilogia. Quello che promette mantiene, e in questo caso è stata promessa una battaglia. Una battaglia che nel libro avviene quasi fuori scena, ma che era chiaramente ciò che era giusto proporre, arrivati a questo punto. Non c’è molto spazio per Martin Freeman, per quanto il suo Bilbo continui a giganteggiare su tutti, mentre ad altre cose se n’è dato in abbondanza, come la follia di Thorin. Ma nel complesso è la battaglia il centro di ogni cosa. Non una battaglia caotica, estenuante, monotona e insipida, ma una lunga, meravigliosa, dimostrazione di cosa sia possibile fare quando dietro alla macchina da presa c’è qualcuno capace di proporre azione realmente emozionante e significativa.

Non si tratta solo di una guerra “bella” esteticamente, ma di una guerra narrativamente “giusta”. A differenza dei due precedenti film, in cui si vedeva a occhio nudo che molte scene d’azione erano state inserite per forza, vuoi per allungare il brodo, vuoi per dare spazio a questo o quel personaggio, vuoi per rendere commercialmente più appetibile il film, qui tutto ha un sapore diverso. È vero che nel libro viene descritta solo a grandi linee, ma quanto arriva sullo schermo rimane comunque qualcosa di realmente avvenuto nella realtà della Terra di Mezzo. Sono eventi importanti, a cui viene dato il giusto peso, insomma.

Eppure, per quanto possa sembrare impossibile, il film risulta troppo breve. Chi ricorda con affetto il lunghissimo epilogo della precedente trilogia, che aiutava lo spettatore a distaccarsi gradualmente dalla potente storia raccontata, prendendolo per mano e portandolo fuori dalla Terra di Mezzo, non potrà fare a meno di trovare troppo veloce il pur bellissimo finale. Bilbo si congeda di colpo dai nani, non viene data allo spettatore alcuna informazione sul nuovo assetto geopolitico della Terra di Mezzo dopo la guerra, e nel montaggio finale si notano palesemente dei salti bruschi, come quando appare improvvisamente sotto il braccio di Bilbo il suo bauletto/souvenir. Chiaramente mancano dei pezzi molto importanti, che verranno reintegrati nell’edizione estesa di prossima uscita, che dovrebbe aggiungere al film la sua mezz’ora (!) mancante. Spiace però che l’edizione cinematografica questa volta non funzioni di per sé, e fatichi a reggersi sulle sue gambe, lasciando lo spettatore più attento a bocca asciutta. Le parti mancanti questa volta sono necessarie e la loro assenza si nota, e questo penalizza leggermente la visione, come mai era successo prima.

Quando arriverà l’edizione estesa, che andrebbe ridefinita COMPLETA, si potrà dare un giudizio più completo al film, ma per ora è possibile senza dubbio valutare questa nuova controversa tripletta, che va a fondersi idealmente con i tre film precedenti in una sorta di Esalogia della Terra di Mezzo. Lo Hobbit è innegabilmente inferiore alSignore degli Anelli, perché è una trilogia di compromesso. Da un lato è stato necessario realizzare non un semplice adattamento del libro originale, ma proiettarne i contenuti su un piano diverso, per mantenere omogeneità col resto dell’opera. Dall’altro lato non si è voluta tradire la natura giocosa del testo di Tolkien, inserendo numerose concessioni alla commedia. Alcune si sono rivelate perfette, come il lavoro fatto su Bilbo, Gandalf e i nani, altre invece piuttosto puerili: i Troll, Alfrid e il Governatore. Con un DNA così schizofrenico, non era possibile uscirne totalmente vincitori e realizzare un’opera spontanea quanto LOTR. Ma è anche questa sua imperfezione la grande forza dello Hobbit, perché laddove molti altri registi si sarebbero arresi, Peter Jackson ha lavorato di fino per condurre la barca in porto, un’imbarcazione un po’ scricchiolante ma con un carico di primizie non da poco. Ritengo che non fosse possibile fare meglio di così, a meno di non cambiare totalmente i presupposti produttivi.

E adesso il Silmarillion? Io penso di sì. Jackson lo nega, tirando in ballo la questione dei diritti, in mano alla Tolkien Estate del purista e irremovibile Christoper Tolkien. Ma ormai Christopher ha 90 anni. E sotto la sua gestione l’ente ha “munto” Tolkien in modi alquanto dubbi, pur nascondendosi sotto lo scudo della filologia estrema. Non dubito che alla sua morte la cosa potrà essere presa nuovamente in considerazione. Per cui io mi sento di dire arrivederci.