[J. K. Rowling] Un Cuore Nero Inchiostro (Strike #6)

Cormoran Strike e Robin Ellacott nella storia della narrativa gialla ci sono innegabilmente entrati in punta di piedi, senza fare troppo chiasso e come protagonisti di un ciclo senza titolo e scritto sotto pseudonimo. Eppure oggi dopo oltre un decennio di romanzi (e una serie tv) troneggiano spavaldi fra le migliori invenzioni di quel genere.

I primi tre libri erano buoni, ma ad attirare l’attenzione non erano tanto i casi in sé, quanto il magnifico lavoro di caratterizzazione sui protagonisti fatto dall’affilata penna della Rowling, reduce dalla fine di Harry Potter e dal Seggio Vacante. Il quarto e il quinto aumentavano notevolmente foliazione e ambizioni, proponendo casi complessi, intricati e interessanti quasi quanto la gustosa trama orizzontale sulla vita di Cormoran e Robin. Poi a partire dal sesto quel quasi è andato via, e la parte investigativa ha assunto un’importanza fondamentale. Non più semplici casi, ma veri e propri trattati sociologici: cinici, spietati e dal retrogusto satirico.

La lunghezza in tutto questo gioca un ruolo fondamentale. Non sono casi asciutti, ma romanzi volutamente dispersivi, pieni di cose di ogni tipo, e non tutte davvero utili all’indagine. Ragionando in termini gialli li potremmo considerare depistaggi, red herring, sviamenti, utili a creare quella pittoresca confusione da cui poi emergerà ordine. La verità è che questi romanzi sono in realtà occasioni per l’autrice per aprire una finestra sull’intera realtà sociale inerente al caso di turno, una realtà sociale che si vuole mettere al centro dell’attenzione quasi più dell’enigma stesso.

Prendiamo il sesto libro, Un Cuore Nero Inchiostro, una bomba di 1.176 pagine, una più destabilizzante dell’altra. L’indagine verte sull’omicidio di un’animatrice in procinto di lanciare la propria serie su Netflix, e sulla scoperta della vera identità del suo presunto aggressore, che si cela sotto il nickname Anomia e gestisce una community online incentrata su un gioco fatto dai fan e ispirato alla serie. Cormoran e Robin si infiltrano all’interno della comunità e cercano di scoprire l’identità di ogni membro, finendo invischiati in una vicenda che ha echi di Misery e che forse per questo motivo ha ricevuto il plauso di Stephen King stesso.

Ciò che lascia sconvolti del libro è l’estremo livello di verosimiglianza. E’ un libro che racconta Internet, così com’era nel 2015, anno in cui sono ambientate le vicende. E sembra a tutti gli effetti una cartolina attendibile di quei tempi. E questo è vero tanto nella sostanza quanto nella forma: una buona percentuale del romanzo viene infatti narrato attraverso finte schermate di chat, in quello che in teoria dovrebbe rappresentare il log del sistema di messaggistica istantanea del sito: join, chat private, quit, ban e quant’altro facesse parte della vecchia grammatica internettiana dei tempi di Irc, con una precisione che quasi sfocia nel morboso. Devono esser state fatte ricerche molto approfondite per non sbagliare il tono e non far suonare artefatta la “voce” di ogni singolo chatter, ma il risultato non potrà non far suonare un campanello bello grosso in chiunque abbia vissuto quell’epoca. Io ci sono passato, e posso dire di aver ritrovato il profilo psicologico (e stilistico!) di qualcuno che ho conosciuto in ognuno dei moderatori oggetto dell’indagine.

Il rischio boomerata era dietro l’angolo, come spesso accade quando uno scrittore di tutt’altra generazione cerca di parlare di un fenomeno che non ha potuto direttamente vivere. Ma è stato ampiamente scongiurato: Un Cuore Nero Inchiostro è un capolavoro, per questo e tanti altri motivi.