L’arrivo alla fine del 2021 nelle librerie di The Christmas Pig ha confermato la volontà da parte di J. K. Rowling di portare avanti la sua carriera letteraria firmando direttamente soltanto le opere indirizzate ad un pubblico giovane, e riservando invece la saga di Cormoran Strike al suo pseudonimo Robert Galbraith. Una scelta singolare, che potrebbe in futuro generare un po’ di confusione sul suo percorso come autrice ma che oggi ci mostra semplicemente quanto JKR preferisca legare il suo “marchio” alla letteratura d’infanzia, genere che l’ha tenuta a battesimo. A differenza del precedente The Ickabog, deliziosa fiaba di denuncia sociale uscita in versione definitiva solo nel 2020, dopo molti anni di incubazione, Il Maialino è invece una storia nuova di zecca, che si presenta al pubblico in un’elegante edizione impreziosita dalle illustrazioni di Jim Field, che scandiscono i capitoli con delle splendide immagini colorate in toni di grigio.
Il libro racconta del viaggio di un bambino che la notte di Natale si ritrova nel magico mondo degli oggetti perduti, alla ricerca del suo amato maialino di pezza. Ad accompagnarlo c’è un maialino nuovo, un rimpiazzo non voluto, con tutto ciò che di antipatico questo comporta. E già qui individuiamo il nodo centrale, l’argomento di cui davvero il libro vuole parlare, ovvero la difficoltà di abituarsi alle cose nuove e il disagio che può darci il mondo che ci circonda, in costante mutazione.
Prima dell’innesco vero e proprio dell’avventura, la Rowling si prende il suo tempo – una bella porzione di libro – per descrivere l’antefatto, e raccontarci la vita del piccolo protagonista prima di quel fatale Natale. Sono paradossalmente le pagine più belle e intense: con pochi colpi ben assestati, JKR prende il punto di vista del lettore e lo porta “ad altezza bambino” per fargli sperimentare quel senso di impotenza, di costante incertezza che si prova da piccoli, quando tutto intorno a noi cambia senza che qualcuno si degni di spiegarci per bene cosa stia accadendo. E allora tocca abbozzare, ignorare traumi e ingoiare rospi, perché c’è ben poco che si possa fare. Non manca niente: genitori che si separano, traslochi, difficoltà scolastiche e improvvisi cambi di atteggiamento da parte di amicizie che in un primo momento sembravano rassicuranti. Così, quando avviene il vero e proprio fattaccio, il lettore vien preso alla sprovvista nel bel mezzo della sua “ipnosi regressiva” e quindi al massimo della sua vulnerabilità.
Poi inizia il viaggio e il tono cambia leggermente, facendosi più bizzarro e giocoso. Il mondo delle cose perdute è popolato di oggetti parlanti, metafore personificate e altre stranezze che JKR riesce in qualche modo a tenere insieme dando loro un senso preciso. Come accaduto con il suo Wizarding World, l’autrice costruisce questa dimensione ponendosi le domande “giuste” e spiegando nel modo più realistico possibile le leggi che la governano. C’è quindi il sapore dei sottomondi pixariani alla Toy Story, con in più il gusto per quelle atmosfere un po’ cupe stile Silly Symphony (una su tutte, Lullaby Land), ma soprattutto l’impressione è quella di trovarsi in quella stessa corrente favolistica urbana e grottesca tanto bazzicata da artisti come Neil Gaiman.
Un risultato eccellente e per i più sensibili addirittura devastante. Ritrovarsi nello stesso anno di fronte a due opere così diverse come Troubled Blood e The Christmas Pig dice molto sulla versatilità della scrittrice. Ma rende chiaro anche ciò che le accumuna, ovvero la capacità di J. K. Rowling, rimasta intatta anche dopo molti anni, di “violare” il lettore, penetrando a fondo la sua sfera emotiva per portarlo a provare quello che ha deciso lei. Narrazione nella sua essenza più pura.