Ahsoka è stato il compiersi di una visione. Nello specifico la visione di Dave Filoni, che aveva iniziato con dei cartoni animati non bellissimi e a forza di crederci li ha resi belli, importanti e veri. In un’epoca in cui la Disney attraverso il live action sminuisce i suoi film d’animazione, questa operazione sembra quasi il suo contraltare positivo. Vedere i personaggi di The Clone Wars e Rebels prendere vita in modo così convincente e proseguire la propria storia come se niente fosse, tanto da farti dimenticare che un tempo erano stati pupazzi, ha dell’incredibile. Filoni crede in questo universo senza far distinzioni tra medium, trilogie e altre faziosità e così facendo ce lo narra come se fosse verità. Il suo è un crederci contagioso, e dunque il compimento massimo di ciò che la macchina dei sogni hollywoodiana dovrebbe fare: sospendere la nostra incredulità.
Ahsoka ha allargato i confini della mitologia di Star Wars. Con buona pace di chi ha sempre pensato che bastasse portare avanti il franchise a suon di pew pew, supply line e missioni della settimana, qui abbiamo visto finalmente il vero potenziale della saga esprimersi. Dave Filoni ha preso ogni briciola di Star Wars metafisico e gli ha dato uno sviluppo e una direzione. Le streghe di Dathomir, i Purrgil, Peridia e la nuova galassia, lo spettro del Prescelto, il Mondo tra i Mondi, l’incipit del crawl utilizzato nelle leggende in universe, e infine gli dei di Mortis e il Principio di Tutto. E’ stato spalancato il portone alla fantasticheria più pura, proiettando la nostra immaginazione verso un “oltre” come non succedeva dalla creazione di Valinor da parte di Tolkien. Infine, ci abbiamo guadagnato un Anakin post-Vader con un ruolo attivo da svolgere, e questo ha delle implicazioni enormi nell’economia della saga. Una vera rivoluzione.
Ahsoka ha restituito a Star Wars un’estetica contemplativa. Filoni si è ispirato al cinema orientale, presente da tempo immemore nel dna della saga. Ashoka si prende i suoi tempi e non lesina scene lente, lentissime se c’è bisogno di rendere più incisivi i suoi passaggi narrativi. All’inizio la cosa quasi spiazza, ma poi ci si ritrova agganciati ai personaggi come non mai. Baylan, Thrawn, Mon Mothma, sono tutti scritti in modo da trasmettere calma e riflessione: uno Star Wars di rara dignità. Molti gli scenari che restano impressi, come il boschetto rossastro di Seatos (così simile a Frozen II), le inquadrature orizzontali di Sabine e il suo lupo, il viaggio intergalattico nelle fauci di una balena spaziale. E poi c’è la scena più bella di tutte: quella in cui lo sciabordio delle onde sulla scogliera si trasforma lentamente nel suono di una battaglia di spade laser, suggerendo a Hera quello che sta accadendo oltre il velo della realtà.
Una perplessità. A stagione finita non è ovvio dove questa vicenda continuerà. Ahsoka 2? Mando 4? Boba 2? Skeleton Crew? E’ chiaro che stiamo assistendo alla costruzione di un’epoca, e che queste serie compongono un’unica grande storia sulla Nuova Repubblica. Ma allora forse sarebbe meglio aiutare il pubblico con delle istruzioni che gli facciano capire come questo materiale vada inteso e fruito. Filoni si è dimostrato un grande affabulatore nel gestire la lore e il canone di Star Wars, ma lui e la Lucasfilm non hanno fatto molto per prevenire la confusione. L’ossatura della Skywalker Saga è stata ormai arricchita con film extra e serie tv e sta diventando difficile capire come fruirne: limitarsi ai nove film (+ 2) è ormai troppo poco, dato che le serie live action sono ad oggi la vera sugna. Ma ora queste dipendono dalle animate, che non sono davvero fruibili allo stesso modo e soprattutto non sono davvero tutte belle (The Bad Batch e Resistance pesano, come anche mezza TCW). Tutto è comprensibile ad un livello molto basico, ovviamente, ma allo stesso tempo non lo è. The Mandalorian non è davvero fruibile senza Book of Boba Fett. E non c’è ragione per cui quanto narrato in Obi-Wan Kenobi non faccia parte della Skywalker Saga, dati i protagonisti. Ci sono storyline che nascono in un formato e proseguono in un altro e persino l’arrivo di un film del Mandoverse diretto da Filoni potrebbe creare un paradosso, se non ci si sta attenti. Perché non dovrebbe essere quello l’Episodio 7? George Lucas col suo cesellare di continuo la sua esalogia, modificando qua e rinumerando di là, ha praticamente dedicato la sua vita a costruire un percorso per il pubblico. Gli interessava raccontare, ma anche dare forma alla sua opera, fornendole una metrica, delle rime, delle simmetrie nonché una ragione simbolica per spiccare sul resto delle storie del franchise. Che ci sia riuscito o meno è da vedere, ma di certo al giorno d’oggi questo equilibrio formale sta venendo compromesso e quindi c’è bisogno che si cominci a mettere un po’ d’ordine andando oltre i buoni contenuti, e inserendo l’insieme di queste opere in un’architettura complessiva che possa sembrarci vagamente armonica.