Si è chiuso Mando 3. E, a occhio, non è stato solo un finale di stagione. Certo, si è già vociferato di una quarta serie. Si dà poi per certo che molti personaggi rifluiranno nel resto del “Mandoverse”. Inoltre, è di questi giorni la notizia di un futuro film di Filoni, che dovrebbe chiudere tutto il blocco narrativo legato alla Nuova Repubblica. Insomma, in tempi di universi condivisi “finire” è una parola grossa, ma se ci basiamo su quello che la serie stava raccontando si può serenamente dire che la storia è arrivata a un punto.
Bella serie, nel globale. E, no, non parlo solo delle prime due stagioni, quando era il fenomeno che seguivano tutti. Mi riferisco anche e soprattutto a questa qui, graziata da una varietà da situazioni e una direzione narrativa che nei precedenti cicli, più episodici, non c’era. E’ stata la stagione di Bo Katan e della riconquista del pianeta perduto. Ed è stata anche la stagione in cui sono emerse prepotentemente le contraddizioni e le ombre della Nuova Repubblica.
Tanti gli elementi che hanno fatto gridare al miracolo gli appassionati, agganciandosi qua e là alla lore profonda della saga. Gli anzellani, il sistema Kalevala, il teatro dell’opera di Coruscant, il picco dell’Umate, il Kelleran di Ahmed Best, la perfetta versione live action di Zeb, un Christopher Lloyd che quando c’era Dooku i trasporti arrivavano in orario, il Consiglio Ombra con Brendol Hux e altro ancora. Ogni episodio ha avuto le sue chicche, ed è riuscito a coniugare insieme cose diverse.
Purtroppo tutto ciò non ha avuto la stessa risonanza che in passato. C’è stato di recente un forte disamore del pubblico per Star Wars, Marvel e quant’altro stesse producendo la Company. Errori di gestione delle proprie proprietà intellettuali, una cattiva comunicazione col pubblico, insieme a un innegabile imbruttimento generale degli stessi spettatori, mai così cinici e disincantati. Le colpe di questa frattura stanno da ambo le parti, il male è ovunque (cit.). Eppure, se lo chiedete a me, penso che il lavoro di Favreu e Filoni sia solo da ammirare, per come riesca a tenere trionfalmente in equilibrio ogni ingrediente che ha fatto grande Star Wars.
In The Mandalorian ho visto la saga al gran completo. Lore e mitologia a pacchi, con una volontà di attingere a praticamente ogni epoca o medium esistente, senza preferenze e mettendo tutto al servizio della meravigliosa grande bugia che è la storiografia galattica. Non è facile, la trilogia sequel non l’aveva mica fatto. Poi, un piglio narrativo moderno e incredibilmente intrigante, tipico di chi sa padroneggiare il cinema d’avventura contemporaneo. Praticamente ciò su cui le serie animate come The Bad Batch peccano ancora alla grandissima. Infine, mettiamoci una messinscena elegante, chiara, universale e perfettamente rispondente al codice stilistico della saga filmica così come l’aveva confezionata Lucas, un codice che quindi viene fatto evolvere lavorandoci “dall’interno”. Una premura che l’acclamato Andor non ha avuto, ansioso di distaccarsi quanto possibile dal concetto di kolossal familiare.
E se tutto questo non bastasse, ho trovato in Mandalorian una certa attenzione, oltre che per la forma, anche per il contenuto. Lucas aveva, forse in modo un po’ ingenuo, provato a fare un discorso politico, tanto banale nella trilogia originale, quanto contorto in quella prequel. Nei sequel di Abrams la politica era assente e lo scenario era estremamente reticente e povero. Qui il discorso politico torna, serpeggiante e intelligente e getta una luce diversa sull’epoca dei sequel. Il terzo episodio è un gioiello in tal senso, e ci mostra finalmente la nuova Coruscant, iniziando a farci capire come il tempo generi ciclicamente quel tarli che lentamente erodono dall’interno la democrazia. Una deviazione dalla trama principale che ho trovato violenta, spiazzante e geniale. Il meglio dell’approccio Andor, ma assimilato e rigurgitato in salsa Star Wars.
Ho aspettative per le prossime serie, e sento che i trent’anni di vuoto della Nuova Repubblica stanno finalmente per essere riempiti con cose interessanti. Spero che Disney e Lucasfilm diano il giusto assist e imparino a confezionare meglio questo ben di dio, lavorando meglio in fase di promozione. Vedere un episodio come questo e non sapere se si sta giungendo a un qualcosa di compiuto, a un cliffhanger o a ottenere un tassello di qualcos’altro non è mai troppo piacevole perché falsa le aspettative. Dall’annuncite selvaggia dei tempi dell’investor day sembra che si sia guariti, ora è il momento di trovare il giusto equilibrio per porre lo spettatore di fronte al futuro. Non una massa opprimente di titoli, ma nemmeno un vuoto informativo. Basterebbe un dolce perimetrare, quel tanto che basta a dipingere una prospettiva.