L’Ickabog

The Ickabog: J.K. Rowling presenta il suo nuovo libro

Con Il Seggio Vacante e poi con la saga di Cormoran Strike abbiamo visto il talento di J. K. Rowling declinato in salsa realistica. Dunque la pubblicazione dell’Ickabog suona un po’ come un ritorno alle origini, dato che sin dall’inizio mette le cose ben in chiaro: si tratta di una favola per piccini. A dire il vero, non si può realmente parlare di ritorno alle origini, dato che nemmeno il primo volume di Harry Potter, quello in assoluto più “acerbo”, sceglieva di usare un registro così spiccatamente infantile. 


Dietro la storia c’è a sua volta una storia. The Ickabog non è altro che la messa in bella copia di una storia che J. K. aveva scritto all’epoca per i suoi bambini, e che era rimasta in soffitta per svariati anni, fino a che non si è presentata l’occasione giusta. Un’origine comune a un’altra nota favola inglese, come ben sanno gli amanti dello Hobbit tolkieniano (ma verrebbe da citare anche il misconosciuto Roverandom). Solo che in questo caso l’occasione è arrivata grazie alla pandemia di Covid-19, che ha dato alla scrittrice l’idea di serializzare la favola online, in modo che potesse far compagnia ai bambini in pieno lockdown. Poi, una volta terminata, è stato indetto un concorso, invitando i lettori a realizzarne le illustrazioni, selezionando le migliori per l’uscita in volume. La cosa curiosa è che ogni paese ne ha creato una versione “locale”: nella nostra edizione, pubblicata elegantemente da Salani, ci sono infatti i disegni dei piccoli concorrenti italiani e così via. Per chiudere il cerchio, i proventi dell’operazione sono finiti in beneficenza per aiutare le vittime della pandemia.


Ma passiamo ai contenuti. L’Ickabog è una storia nefanda. L’arguzia della scrittrice si vede fin troppo bene nel suo inscenare un desolante teatrino di umanità bacata, in cui ipocrisia, disonestà, inettitudine e cattiveria incontrollata la fanno da padroni. Giochi di potere, miseria morale, mistificazione della realtà e quant’altro finiscono per turbare l’armonia di un regno felice, che viene letteralmente aizzato contro un fittizio capro espiatorio al solo scopo di mascherare un golpe. Succedono cose cattivissime, i personaggi si rivelano feroci e spietati e le persone buone soffrono e muoiono. E il fatto stesso che tutto questo avvenga mentre la narrazione mantiene un tono giocoso e fintamente innocuo non fa che aumentare ancora più il contrasto e lo straniamento del lettore, con un effetto vagamente disturbante.


Se si vede la fiaba come un modo per preparare i giovani ad affrontare la vita attraverso ammonizioni e allegorie, allora si può dire che L’Ickabog sia la fiaba per eccellenza, adattissima ai tempi in cui stiamo vivendo. In tempi di fake news e manipolazione mediatica condotta a mezzo social, la storia di questa gigantesca allucinazione collettiva e delle sue nefaste conseguenze risulta divertente, brillante e – considerando quando è stata scritta – addirittura profetica. Ma c’è di più, ed è il ritorno di quel gusto per il bizzarro/macabro che l’autrice aveva dimostrato negli anni passati a costruire il suo wizarding world: la creatura del titolo, con la sua forma e il suo presunto ciclo di vita, non sfigurerebbe assolutamente tra i vari Animali Fantastici, anzi in quest’ottica è forse una delle sue creazioni più geniali.


Il recente annuncio di una seconda fiaba in arrivo in libreria per la fine dell’anno (The Christmas Pig) tradisce un forte desiderio da parte della Rowling di tornare a bazzicare questo genere, anche solo per tirare il fiato tra un libro di Cormoran e l’altro. Se così fosse potrebbe aspettarci una nuova interessantissima stagione creativa, fermo restando che da un punto di vista comunicativo sarebbe davvero molto strano continuare a firmarsi Robert Galbraith per portare avanti il filone adulto, legando invece il proprio nome alla sola narrativa di genere fiabesco.