Si è fatto un gran parlare della Rowling ultimamente. Sempre in relazione ad Harry Potter, o meglio, a quello che oggi conosciamo come il Wizarding World. Ci sono state le polemiche sulla rappresentazione teatrale, quelle sulla sceneggiatura de I Crimini di Grindelwald, e molte altre ce ne saranno. Sembra proprio che il suo peccato “originale”, quello di aver creato un universo narrativo in grado di penetrarci così tanto, la esponga adesso alle stesse critiche e agli stessi scetticismi che all’epoca investirono l’altro grande worldbuilder del nostro tempo, ovvero George Lucas.
J. K. tutto questo l’aveva previsto, e tempo fa si è scavata il suo personale tunnel per sfuggire alla pressione e allo stress, inaugurando una nuova serie di romanzi incentrati sul detective Cormoran Strike, scritti sotto lo pseudonimo di Robert Galbraith. Una specie di test per mettersi nuovamente alla prova, senza condizionamenti dovuti al suo nome. La verità venne a galla praticamente subito, ma il nome di Robert Galbraith è stato comunque mantenuto anche nei libri successivi, diventando quasi un’etichetta a parte, per contrassegnare la produzione poliziesca dell’autrice. Da allora Cormoran e la sua partner Robin Ellacott hanno vissuto quattro avventure, e sono stati addirittura trasposti su schermo nella bella serie televisiva Strike. I personaggi si sono evoluti, e la serie ha acquisito una certa stabilità, né sembra avere l’intenzione di esaurirsi tanto presto.
Per quanto paradossale, è come se l’incantesimo dello pseudonimo stesse funzionando ancora. Malgrado il pubblico sappia da tempo che Galbraith non è altri che la Rowling, questi romanzi vengono difatto trattati come se non avessero alcuna attinenza con la scrittrice che anni fa conquistò il mondo. Quella di Cormoran è una serie che, malgrado tutto, continua a mantenere oggi quel basso profilo che Joanne aveva tanto desiderato.
Bianco Letale è il più recente romanzo del ciclo, ed è il quarto della serie. Si tratta di un lingottone di quasi ottocento pagine, assolutamente il più lungo fra quelli scritti finora. Si tratta anche di un tomo decisamente ambizioso, quello in cui la Rowling osa di più, esplorando, dopo il mondo della moda e dell’editoria (il terzo libro non aveva un tema preciso), quello della politica. Il parlamento, la sinistra contestataria, l’ideologia conservativa dei Tory, sono solo alcuni degli elementi dell’indagine condotta da Cormoran e Robin. Bianco Letale però va oltre e decide di non limitarsi ad un unico sapore, spostando l’azione nelle campagne e nei boschi di Uffington. Villini rurali abbandonati e fatiscenti, cupe conche immerse in selve oscure che celano angoscianti segreti, e qua e là un’atmosfera vagamente irreale, che sembra voler prendere in prestito qualcosa dagli scenari potteriani, e compensare così l’aridità del “solito” setting urbano.
Anche la struttura è più ricca e intricata del solito. Non si tratta di un semplice delitto su cui indagare per trovare il colpevole, ma di una disgraziata catena di eventi tra loro collegati. Cormoran e Robin indagano su queste connessioni, trovandosi ad essere spettatori protagonisti del loro evolvere. Un “multicaso” con almeno un paio di svolte impreviste che ribaltano da cima a fondo i presupposti di partenza, creando una struttura narrativa via via più raffinata. Eppure, qua e là si ha l’impressione che l’impalcatura soffra di “troppismo”. Questo avviene specialmente durante le emozionanti rivelazioni finali, che la Rowling serve al lettore in una forma un po’ diversa dal solito, inserendole in un contesto carico di tensione. Malgrado l’atmosfera concitata, i personaggi snocciolano i loro spiegoni, non risparmiando tecnicismi e ragionamenti cervellotici. Tocca crederci. Non è la prima volta che accade: era già successo su carta durante la battaglia di Hogwarts o al cinema durante l’ormai leggendaria dissertazione genealogica sulla famiglia Lestrange ne I Crimini di Grindelwald. Debolezze espositive che, a dispetto della fittizia dicotomia Rowling/Galbraith, ci restituiscono un ritratto assolutamente omogeneo delle evoluzioni e involuzioni di una grande scrittrice, giunta nella sua fase matura. Quella fase in cui ogni autore si trova a dover fare i conti con l’inasprirsi dei propri tratti stilistici e a dover limitare le esagerazioni e il proprio autocompiacimento.
Non ci sono ombre però nella capacità di J. K. di tratteggiare con delicatezza la psicologia dei suoi due protagonisti, il loro rapporto, le loro emozioni. Con buona pace dell’indagine di turno, è sempre questa la componente che ogni volta spicca di più. Cormoran e Robin sono ormai diventati dei personaggioni, delle figure a tutto tondo, e ad ogni libro migliorano. Il modo in cui l’autrice riesce a trovare il perfetto equilibrio narrativo per mescolare la trama investigativa con quella della loro vita privata è ammirevole. C’è molta arte negli arzigogoli procedurali della serie, ma sono le pagine che parlano dei disappori amorosi di Robin quelle che tutti aspettano, quelle che sgorgano più fluidamente. E non (solo) per la componente shipper che sta in ognuno di noi, ma perché è qui che J. K. dimostra maggior arguzia, mescolandola a quel suo dissacrante cinismo nei confronti della mediocrità umana, quella splendida ferocia che abbiamo già avuto modo di conoscere nel Seggio Vacante e nei capitoli potteriani dedicati ai Dursley.
Prendiamo Matthew, ad esempio. Palesemente un coglione, un medioman del tutto indegno di Robin. Eppure non è mai la narratrice a dare giudizi di merito o a farlo passare apertamente per quello che è. Matthew fa e dice cose cattive, però la Rowling ormai da quattro libri continua a fornirgli giustificazioni volutamente deboli, pallidi alibi e momentanee scusanti, lasciando che sia il lettore a fare il resto, sentendosi crescere dentro un’antipatia sempre più forte. Malgrado i suoi sbagli, non è un mostro Matthew, ma è solo una persona altamente insufficiente e ovviamente inadatto alla protagonista che la Rowling vuol tratteggiarci. Ma il modo in cui è scritto rappresenta un sottilissimo gioco di manipolazione perversa che la scrittrice attua nei confronti del suo personaggio e del lettore. E che ci dà la misura di quanto la Rowling sia una testa fina, una delle autrici più intelligenti della nostra epoca.
Non ha molto senso continuare a ritenere il materiale Galbraith una produzione minore, rispetto a ciò che Joanne sta facendo al cinema con il Wizarding World. Tengo il punto e continuo a sottolineare la tesi che ho sostenuto nel terzo episodio del Fumettazzo, a lei dedicato: l’evoluzione autoriale di J. K. Rowling passa necessariamente attraverso Cormoran Strike, personaggio che potrebbe molto presto diventare addirittura più longevo di Harry Potter.