Scrivere un fumetto Disney può sembrare una cosa facile.
Può anche essere una cosa facile, in realtà: basta farlo senza metterci l’anima e la testa, in fondo, e i personaggi sono così forti e archetipici che con un minimo di capacità linguistica e narrativa si può imbastire una storia di media lunghezza pronta per la pubblicazione.
Ma se quello dello sceneggiatore di fumetti Disney non viene visto dal professionista solo come un mero impiego, ma anche come un obiettivo e un privilegio, allora la questione è tutt’altro che semplice.
C’è modo e modo, infatti, di utilizzare questi personaggi, e decenni di storie “cattive” (mi si passi il termine) hanno dimostrato come un utilizzo “leggero” degli standard characters possa uccidere l’immagine stessa di questi “attori”. Da Topolino a Gastone, da Paperoga a Pippo, sono molti i personaggi a cui è capitato di venir schiacciati da sceneggiature che non ne sapevano valorizzare la portata e le possibilità narrative, limitandosi ad offrire ai lettori le solite dinamiche trite e ritrite, pensando che l’ennesima riproposta di cliché ormai abusati e svuotati del loro significato potesse bastare.
Per seguire e comprendere questo discorso bisogna tenere conto di un concetto ben preciso: i personaggi Disney, chi più chi meno, possiedono personalità sfaccettate e particolari che, se rispettate, offrono un ottimo materiale di partenza per le avventure di cui son protagonisti. Certo, sono al tempo stesso anche archetipi di varie inclinazioni umane, ma se queste caratteristiche vengono appiattite rendendole logori stereotipi, allora si sta procedendo nella direzione sbagliata. Questi personaggi sono vivi e vitali: hanno caratteristiche credibili, in cui ci si può immedesimare, sono specchio della società in cui viviamo e come tali non possono e non devono limitarsi a vivere avventure in cui ogni volta mettono in campo sempre e solo la loro peculiarità principale. Così facendo avremmo solo delle vuote maschere che recitano un copione insapore. Approfondimenti e variazioni sul tema sono più che benvenute quindi, ma bisogna stare attenti a non cadere nell’errore opposto, puntando su inversioni di ruolo, e stravolgimenti vari, che finiscono per essere ancor più deleteri per la credibilità dei personaggi.
Uno dei terreni di gioco più rischiosi è senza dubbio quello delle storie brevi, che troppo spesso vengono considerate “riempitive”. È bene ricordare che nello scorso decennio si è abusato di una formula ibrida per le storie del settimanale: sono state molte le storie di media lunghezza che, cercando di unire le caratteristiche delle due tipologie, si sono trovate ad essere né carne né pesce. La gestione degli ultimi anni sta dimostrando invece che concepire in modo radicalmente diverso le lunghe e le brevi, polarizzandone la durata e dando alle seconde il respiro di un cortometraggio umoristico, può essere la strada giusta per fornire al lettore un menù bilanciato e diversificato. Umoristico però può significare tante cose, dal frizzante slapstick muto di Enrico Faccini alla commedia di stampo quotidiano più in stile Lupo Alberto. È in questa seconda casistica che si ha l’occasione di delineare al meglio i caratteri dei personaggi, immergendoli in situazioni di tutti i giorni e mostrando come si comportano in questo contesto, analizzandone la psicologia da un nuovo punto di vista. Per questo le brevi richiedono un’abilità e una sensibilità particolari, nell’ambito della produzione disneyana a fumetti, o il rischio di sbagliare il personaggio è dietro l’angolo. Non bisogna mai dimenticare poi cheil fine ultimo di una breve è quello di strappare davvero una risata al lettore, ma, per ottenere questo risultato, la storia in questione deve rifuggire quelle situazioni trite e ritrite, che si rifanno ad una comicità poco attuale, e puntare piuttosto sulle situazioni tipiche dell’uomo comune nella sua normalità, andando ad analizzare con sguardo ironico la realtà che ci circonda, filtrata dai characters disneyani.
Una maggiore attenzione alle storie brevi, e all’uso dei personaggi che ben si può osservare in questo tipo di avventure, potrebbe portare probabilmente al completamento più pieno della rinascita del fumetto Disney italiano che dalla seconda metà dello scorso decennio ha già avuto modo di dare i suoi frutti e che ha trovato un risultato invidiabile nel recente n. 3000. Risultato che però deve essere uno stimolo a continuare sulla giusta strada, magari focalizzandosi proprio su quanto fin qui espresso. La nuova stagione che si apre oggi con l’avvento di Panini Comics come licenziataria dei diritti per le testate da edicola è una nuova, importante occasione per riflettere su questo approccio.