Il termine “classico” si ritrova in una moltitudine di contesti e ha diversi significati. In certi ambiti culturali si è affermato il suo utilizzo in riferimento a qualcosa che non è soltanto tradizionale o tipico, ma che è sempre valido: i “grandi classici” della letteratura o del cinema sono quelle pietre miliari immancabili nella bacheca di ciascun appassionato e sono tali non soltanto per l’importanza che hanno nella storia, ma perchè sono in grado ancora oggi di trasmetterci lezioni, insegnamenti, emozioni. Un classico è, nella visione di chi scrive, qualcosa che, inattaccato dall’età, è valido tanto ieri quanto oggi.
Ecco perchè, in quest’ottica, possiamo ritenere uno sbaglio chiamare la serie originale di Doctor Who, trasmessa dal 1963 al 1989, “classica”. Star Trek si riferisce alla sua prima serie con il più onesto appellativo di Original, ma per le prime 26 stagioni del Dottore l’aggettivo più calzante sarebbe Old. The Old Series.
Nel 1963 e nei successivi vent’anni la televisione offrì prodotti di indubbio valore e la fantascienza sfornò idee che resistono fino a oggi: si trattava di un clima fertile per la realizzazione di una serie tv sci-fi. Lo status di culto della serie Old di Doctor Who potrebbe senza dubbio indurre l’ingenuo e impreparato telespettatore moderno a credere che le prime avventure del Dottore rappresentino una buona opzione per intrattenersi in maniera intelligente. È per verificare questa teoria che indomiti volontari della Tana del Sollazzo si sono dunque sottoposti con la più sfrontata fiducia alla visione delle circa 280 ore di girato che costituiscono la serie originale… e ciò che hanno scoperto non gli è piaciuto, e non vi piacerà. La triste verità di cui sono stati testimoni è che ogni tormentone, ogni companion, ogni villain, dai Dalek a Sarah Jane, omaggiato nella serie moderna o citato dai fan, persino le celebri catchphrase di ciascun Dottore altro non è che una grande montatura: una montatura realizzata ad arte, ma a posteriori, da fan innamorati ma forse non troppo obiettivi, con lo scopo di mitizzare un prodotto che, purtroppo, non si rivela all’altezza della propria fama.
La triste verità è che Doctor Who è una serie vecchia. Nelle trame, nell’impostazione, nella recitazione, nelle idee, Doctor Who è una serie che non supera la prova del tempo e propone per la quasi totalità del suo corso lo stesso canovaccio ripetuto ad nauseam, che tipicamente prevede uno o più tra i seguenti elementi:
- uno scontro tra un gruppo di ribelli malassortiti e l’Impero/l’Azienda che ne sfrutta il pianeta;
- un visir malintenzionato o ingannato al servizio di un misterioso falso dio;
- uno o più personaggi posseduti da un potere extraterrestre;
- un traditore che avrà quel che si merita;
- la soggettiva del mostro che visita la base e uccide il malcapitato di turno;
- il Dottore e/o i suoi compagni imprigionati nella base nemica – cosa che capita in un buon 90% dei cicli;
- come immancabile ciliegina finale il cliffhanger con il primo piano del Dottore (o più raramente del companion) in pericolo di vita o “morto”
In buona sostanza, dunque, visto un ciclo visti tutti. Naturalmente, una storia è davvero buona solo nella misura in cui è ben narrata: la serie moderna di Doctor Who non ha trame sempre originali, ma il ritmo sincopato, i capovolgimenti, i colpi di scena, i cliffhanger e le battute sempre brillanti tengono lo spettatore costantemente sul filo del rasoio. Nella serie Old invece trame che non reggerebbero i 20 minuti sono state spalmate in media in due ore di ciclo, due ore in cui, esaurita la spinta dell’idea iniziale (non sempre presente, per inciso), ci si ritrova sempre in gabbia, a scappare per i corridoi o a complottare con i ribelli. Di questo si possono forse incolpare le limitazioni imposte dal budget o le condizioni in cui la serie veniva girata, ma sono giustificazioni valide fino a un certo punto, e comunque non dovrebbero pesare sul giudizio finale.
Un altro ingrediente per la buona riuscita di una storia sono i personaggi. Il Dottore, naturalmente, tiene banco: nel 1963 o nel 2015il Dottore è sempre il Dottore e regge la scena da solo… quando è in scena. Fa piuttosto impressione in effetti constatare una così valida scrittura del personaggio principale affiancata alla pochezza delle avventure in cui è coinvolto. Malauguratamente o forse maliziosamente i produttori della serie Old non hanno realizzato che per intrattenere lo spettatore sarebbe stato sufficiente mettere Pertwee o McCoy da soli in una stanza bianca con una sedia e farli recitare a braccio: hanno invece infarcito ogni ciclo di personaggi dimenticabili quali il coraggioso leader ribelle, il vicerè che brama il potere, il collaborazionista che sarà ucciso da coloro che credeva alleati e da un vasto serraglio di clichè nei quali non spicca nessuna caratterizzazione davvero ricordabile al di là del Brigadiere e del Maestro. Per fare un paragone con una serie dalle premesse non troppo dissimili, Star Trek è una serie che a sua volta può risultare un po’ indigesta per lo spettatore moderno, ma perlomeno ci permette di conoscere gradualmente un cast molto variegato di personaggi, che con The Next Generation iniziano persino ad averestory arc propri. In Doctor Who The Old Series, invece, nemmeno le companion del Dottore sfuggono all’oblio, risultando per la (quasi) totalità personaggi intercambiabili senza una caratterizzazione solida, figure usa e getta prive di una storia propria che, non a caso, vengono scaricate dal Dottore e dagli sceneggiatori senza particolari cerimonie (o con una particolare cerimonia: spesso infatti diverranno spose del coraggioso leader ribelle di turno), pronte per essere sostituite dal successivo manichino privo di personalità.
Se si tratta di dare a Cesare quel che è di Cesare, è innegabile che la TOS non sia proprio tutta da buttare. In media ogni due stagioni c’è un ciclo che mostra un barlume di inventiva, ai tempi di Hartnell e Throughton l’alternanza tra storie sci-fi e storiche garantiva una certa varietà nell’azione ed è innegabile come l’introduzione del Maestro ai tempi di Pertwee sia stata una gran bella trovata; purtroppo però le tenute di Baker e Davison mostrarono una totale mancanza di idee e un deciso rifiuto di maturare e migliorarsi. Qualche tentativo, molto timido, di innovazione è possibile individuarlo con il Sesto e il Settimo Dottore, quando ormai la pazienza dello spettatore è finita da un bel pezzo. Val invece la pena di ricordare invece ilbistrattato film con protagonista Ottavo che è, a tutti gli effetti, il precursore degli speciali di Natale odierni ed è un prodotto del tutto a sé stante, esattamente come la serie vecchia lo è rispetto alla serie moderna.
Temiamo che le nostre osservazioni siano destinate a cadere nel vuoto, un po’ perl’aura di mito che ammanta la serie, un po’ per la tendenza, senz’altro sbagliata, a mitigare le critiche sulla base dell’età, argomentazione che come abbiamo visto perde di efficacia confrontando Doctor Who con altre serie coeve come il già citatoStar Trek, il divertentissimo Zorro di disneyane origini, l’assurdo Batman di Adam West e ovviamente l’immortale Twilight Zone. E, chiaramente, per il fatto che nonostante per 26 stagioni sia rimasto invischiato in avventure che avrebbero messo a dura prova la resistenza di un minotauro in amore, il Dottore è sempre il Dottore. Fatto sta che queste considerazioni ci hanno portato a quello che chiamiamo Il Paradosso del Dottore: Doctor Who the Old Series è un prodottoinvecchiato davvero molto male, ma è un prodotto che, indubbiamente grazie al personaggio titolare, ha regalato tantissimi bei ricordi ai bambini che lo seguivano all’epoca. Quei bambini poi sono cresciuti e i più fortunati di loro hanno realizzato un sogno: sono diventati autori e attori di Doctor Who, ma della serie moderna, una serie che non ha davvero nulla a che spartire con il suo “originale”. Quei bambini però avevano in mente non il vero Doctor Who, quello che lo spettatore moderno e smaliziato può vedere oggi, ma il Doctor Who fantastico e incredibile dei loro ricordi, ed è sulla base di quei ricordi falsati che hanno realizzato una serie fresca e innovativa, che rispecchia non la realtà delle cose ma la loro, certamente più rosea, visione.
È questo il bello e il brutto del Paradosso del Dottore: dal letame è nato un fior, ma un fior che con ogni suo petalo si rifà, richiama e glorifica ciò da cui è nato, mettendolo sullo stesso piano, invogliando l’ingenuo e impreparato spettatore moderno ad una improbabile maratona nella convinzione di trovare una linea di continuità tra due prodotti che non potrebbero essere più diversi e qualitativamente disomogenei.
È un gran peccato, questo, perché ciascuna incarnazione del Dottore meriterebbe di essere conosciuta e apprezzata dal pubblico moderno, però, è proprio il caso di dirlo, non ne vale davvero la pena.