Dunkirk

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Acqua, aria, terra. E il fuoco a dominarli tutti. Sui quattro elementi Christopher Nolan costruisce la sua nuova opera in tre atti, un’epopea militare solo in apparenza semplice e ricca di sfumature. La tragedia di Dunkerque del 1940 si presta facilmente a letture retoriche e nazionalistiche, ma Nolan opta invece di usare l’evento come sfondo per rappresentare la follia della guerra: momenti di dolore e sofferenza indicibili si susseguono sullo schermo, raccontati con una delicatezza e un garbo unici. Non si troverà il classico “sangue e sporco” in Dunkirk, solo un plotone di uomini persi e sconfitti, isolati dal resto del mondo in una logorante lotta per la sopravvivenza che spesso li metterà l’uno contro l’altro. I pochi sussulti retorici sono solo un modo per alleviare ed ingannare lo spettatore, che di nuovo viene travolto dal dolore della vita. 

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Nolan costruisce una storia fatta di tre episodi tutto sommato semplici, presentati e costruiti con sapienza e precisione in un meccanismo implacabile, un’accurata e complessa costruzione temporale che gioca con il tempo e lo spazio per confondere lo spettatore e presentare le storie da diversi punti di vista. Una dichiarazione d’amore per il cinema, certo – per Nolan l’unico medium capace di comunicare per davvero – ma anche un gioco raffinato e l’affetto per i suoi personaggi. Ed anche loro rispettano una precisa scansione, unitaria, di piccolo gruppo e di massa. Infatti, come in un altro capolavoro bellico Il giorno più lungo, anche qui sono tre i punti di vista della fuga da Dunkerque. Ma i soldati impauriti ed abbandonati, i civili coraggiosi e il pilota aereo temerario sono sicuramente più disincantati e fragili rispetto al manifesto del film del 1962. In quella pellicola inoltre il nemico era chiaro e preciso, mentre qui quasi non compare: i nazisti non si vedono, sono una costante minaccia nell’ombra, una mitragliata improvvisa, un missile nell’acqua, ma in faccia non li vedremo mai. Come in un gioco di bambini, sembra quasi che le truppe inglesi, francesi e belga debbano sfuggire prima di tutto da se stesse, impelagate in un gioco più grande di loro dove il nemico è l’umanità stessa.

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In quest’opera corale, spiccano tre personaggi agli antipodi, tutti valorizzati alla perfezione da attori noti agli appassionati nolaniani. Cillian Murphy è un disperato soldato perso in un burrone di solitudine e dolore.  A Tom Hardy, coperto quasi sempre da un caschetto da aviatore, un po’ come in the dark knight rises, bastano gli occhi per esprimere un icastico eroismo. Infine Kennet Branagh, il magnifico attore shakesperiano, rappresenta una pietas struggente, generale che cerca di eseguire gli ordini ma che sa bene di condannare migliaia di soldati ad una scientifica strage. E poi ci sono i giovani, che si barcamenano come possono, cercando di trovare le scappatoie giuste per sopravvivere, quasi una metafora della generazione perduta post 2008. E non mancano, nelle navi colme di soldati e di acque pullulano di uomini a rischio annegamento, richiami alla concreta e quotidiana tragedia dei migranti nel Mediterraneo.

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Dicevamo che per Nolan il cinema è tutto. Lo si vede in una ricostruzione scrupolosa e attenta del conflitto, e specialmente nelle scene di massa, magnifiche, sulla costa francese, grandi panoramiche suggestive. Il tutto è esaltato dalla tecnologia IMAX, di cui Nolan è grande sostenitore. Abbiamo avuto la fortuna di vederlo a Praga in uno schermo adatto in pellicola a 70mm, e l’esperienza è stata incredibile. Le colossali dimensioni hanno garantito un’esperienza immersiva assoluta, senza la possibilità di perdere l’attenzione. Infine, le musiche. Hans Zimmer, sulla scia dell’adagio for strings di Barber usato per Platoon, realizza momenti intensi e struggenti, archi tirati al massimo che esplodono in struggenti picchi, mentre oggetti come le lancette dell’orologio vengono usati con inedito lirismo. L’angoscia della musica e la tensione lirica rendono plastica e concreta la rappresentazione della guerra, in una simbiosi perfetta tra note e immagini: Zimmer è stato indubbiamente capace di sintonizzarsi con il dramma e l’anima della pellicola.

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Nolan realizza con Dunkirk (il nome all’ americana) una delle sue opere più sentite, e innova il genere bellico con grande asciuttezza e incisività. Sta certamente nella sceneggiatura, tutta di pugno del regista, la forza della pellicola: la tripartizione e la strutturazione temporale avvengono e stupiscono lo spettatore, alleggerendo la plumbea atmosfera generale. L’assenza di retorica, e una certa crudezza elegante sigillano tutta la storia, e ci permettono di abbracciare e soffrire insieme ai soldati sulla costa francese. Un dramma militare e storico, certo, ma di fatto un dramma sulla solitudine dell’uomo e sulla lotta per la sopravvivenza, in qualsiasi tempo. 

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