
Primo Giorno: Io Credo che Lassù

Vent’anni fa esatti andai a Lucca e mi ci trovai molto male. Almeno all’inizio. Di anni ne avevo ventuno, e nella community in cui stavo volarono coltelli (metaforici) e schizzi di vomito (reali). Così, in un certo senso mi misi in proprio. Io e un certo mio amico iniziammo a gironzolare tra gli stand, stringere rapporti, costruire prospettive e così, prima del termine della fiera, qualcosa era finito e qualcos’altro era nato. Qualcosa che chiamai Sollazzo.
Prima della fine di quel fatidico 2005 era già sbocciata una chat, poi un forum, e da lì in poi fu un crescendo di progetti: un sito, una rete social, il Compendium, il Fumettazzo, e mille altre cosine. Nei due decenni che seguirono successe di tutto: la community crebbe, poi si ridusse, poi ricrebbe, nacquero e morirono progetti, amicizie, amori e lavori, in uno splendido corto circuito emotivamente pregno.
Non amo portare avanti quelle narrazioni un po’ adolescenziali che vedono nella propria compagnia il centro di chissà cosa, ma è un fatto che durante tutto questo tempo il Sollazzo abbia fatto il suo. Ha divulgato cultura, affinato umorismi, fatto nascere consapevolezze, formato artisti. Ma soprattutto, ha costruito ideologie che hanno avuto impatto ovunque: online, nel mondo reale, sulla carta e nelle aule universitarie. Il tutto senza nemmeno allargarsi più di tanto, o diventare strumento di profitto. E’ rimasto una nicchia, in grado però di mettere lo zampino dove necessario. Miao.

Eppure quest’anno c’è stato il rischio che il ventennale del Sollazzo non venisse festeggiato. Perché pure la vita ci mette lo zampino, e organizzare un evento come Lucca più invecchi, più diventa difficoltoso da coordinare. E’ qui un bel grazie a Massimo Sestili ci sta tutto. Il cosiddetto Sommo Zotnam, utente fumantino ma gentiluomo, ha saputo ben ricevere l’appalto organizzativo, e ha tirato fuori dal cappello una villa meravigliosa, poco fuori dalle mura, ad un costo accettabile e con tutte le comodità del caso.

E’ la villa di Nonna Sollazza, che ti viene a prendere alla stazione, ti rifornisce di bottiglie d’acqua sul comodino, ti fa trovare le merendine per colazione, una bella selezione di libri antichi in biblioteca e pure la Firestick con Netflix. E dopo tutto questo chi ha voglia di andare pure in fiera?

Ma bisogna, e così mi avventuro, che ho da fare la spesa.
Ritiro il mio pass stampa e poi al Napoleone becco Tito Faraci in Feltrinelli che mi vende Tapum di Ortolani. Alla Bao invece metto le mani su Avila, il nuovo Radice-Turconi. Anzi, lo comprerò due giorni dopo, ma lo dico qui, per maggior ordine e pulizia. Mi si perdoni il falso storico.

Faccio anche un giretto ai privati, perché sto ricostruendo la mia collezione di W.I.T.C.H. che un allagamento anni fa mi ha riempito di muffa, e mi imbatto in due cartonati Mondadori – Paperin Meschino e Paperino Don Chisciotte – appartenenti ad una collezione che decenni fa la mia defunta zia aveva iniziato e mi aveva ceduto incompiuta. Così metto mano al portafoglio, chiudo il discorso e la avunculogratulo con affetto.

Allo stand Panini c’è un po’ di roba mia, noto. L’artbook di Disney Anthology, ad esempio, con tutto il materiale che ho preparato per la collezione di Moccia. Poi c’è la Deluxe dei Galaxy Gate, e soprattutto il quinto volume di Pk Omnibus, impresa che porto avanti ormai da tre anni. Allo stand mi confermano che si prosegue dopo il settimo, dunque nel mio orizzonte si staglierà presto Pk2. A quanto pare, i lettori hanno apprezzato. E poi vengo a sapere anche altre cosette sull’anno prossimo, che segnerà il trentennale di Pk. Mi sento molto vecchio.
Mi porto a casa un po’ di Cavazzani telati (Casablanca, Topo Maltese e più avanti anche Novecento) e il Pippo Holmes di Enna. Aggiungo al bottino lo spillatino nuovo con Occhi di Ratto, Fantomius 5 e soprattutto il primo dei due volumi con le sunday di Floyd Gottfredson, che ritengo qualcosa che andrebbe messo tra gli acquisti obbligatori di ogni vero disneyano. Sì, per ste cose elargisco patentini, e con severa antipatia.

Detto questo, mi accingo a tornare in Villa, dove mi aspetta la bestia vera. Si chiama Solitudine. Ebbene sì, è successo che per la prima volta in vent’anni il primo giorno me lo faccio da solo, mentre i sollazzieri inizieranno ad arrivare da domani. E quindi eccomi là, in quell’enorme villa a ruminare ricordi, mentre addento un panino. Mi tornano in mente spettri di Lucche passate, come quella volta del barattolo di ragù apertosi in valigia (2007), il mio cosplay maldestro di Link (2008-2009), Panariello (2006-2007, 2009-2014), Icnarf (2007-2011), la febbre a Viareggio (2022), Max (2023), tanta vita insomma. Poi decido di andarmene in centro, e farmi un bel birrone… con la morosa in videochiamata. E usiamola questa tecnologia, insomma!
La giornata si chiude bene, quindi. Bottino raccolto, spettri andati via (grazie, Elena), e tanta energia per l’indomani. Cosa manca? Una bella letturina prima di dormire, dai.
Prendo in mano il fascicolo celebrativo su Massimo Marconi, curato dal collega Brambilla che ho preso per il viaggio in treno. E leggo i titoli in sommario. Il primo è una storiellina umoristica semplice semplice intitolata “Paperino e le disavventure della Grat Super” (Marconi/Bordini, 1974). E lì mi esplode il cervello.
Flashback.

Ho pochi anni, devo ancora imparare a leggere. Becco questa storia sfogliando i fumetti di mio padre e decido di farmela leggere da mia madre. Poi non contento, decido che dovrà rinarrarmela a voce ad ogni pasto, sennò cazzi. Lei lo fa, ma io chiedo aggiunte. Nella storia originale c’è Paperino che lavora come inscatolatore di baccalà per potersi permettere una super auto che gli viene poi rubata svariate volte, ma dopo qualche pappa la trama reale si perde e spuntano sequenze del tutto nuove che portano la storia in direzioni sconfinate. Alla fine ci faccio mettere una festa di compleanno per Paperino, poi lo spacchettamento dei regali, poi una vacanza in campeggio. Piano piano, “la grat super” diventa un’epopea senza fine, una tradizione orale che sovrascrive ogni ricordo dell’originale. E che poi col tempo rimuovo in toto.
Ma quella sera a Lucca tutto riemerge, la storia infinita, le mille aggiunte, mia madre che passivamente mi asseconda. Non resta che andare a riscoprire come fosse davvero quello che praticamente fu il primo fumetto della mia vita. E grazie a Brambilla finalmente lo scopro. Una storiellina buffa, niente più, ma in cui ogni singola vignetta è stata immagazzinata nei miei ricordi base e genera suggestioni a catena. Fa un certo effetto confrontarsi coi propri imprinting, c’è chi la chiama nostalgia e ne fa bandiera, io preferisco giocare alla psicanalisi e riscoprire il me stesso originale.
Ero venuto a Lucca per celebrare vent’anni di passione, e finisco per raddoppiare il totale, ricongiungendomi con quel bambinetto di quarant’anni fa.
Grazie Brambilla… e buona notte, valeri8.

[CONTINUA…]