La Tana del Sollazzo @ Lucca Comics and Games 2025

Primo Giorno: Io Credo che Lassù

Vent’anni fa esatti andai a Lucca e mi ci trovai molto male. Almeno all’inizio. Di anni ne avevo ventuno, e nella community in cui stavo volarono coltelli (metaforici) e schizzi di vomito (reali). Così, in un certo senso mi misi in proprio. Io e un certo mio amico iniziammo a gironzolare tra gli stand, stringere rapporti, costruire prospettive e così, prima del termine della fiera, qualcosa era finito e qualcos’altro era nato. Qualcosa che chiamai Sollazzo.

Prima della fine di quel fatidico 2005 era già sbocciata una chat, poi un forum, e da lì in poi fu un crescendo di progetti: un sito, una rete social, il Compendium, il Fumettazzo, e mille altre cosine. Nei due decenni che seguirono successe di tutto: la community crebbe, poi si ridusse, poi ricrebbe, nacquero e morirono progetti, amicizie, amori e lavori, in uno splendido corto circuito emotivamente pregno.

Non amo portare avanti quelle narrazioni un po’ adolescenziali che vedono nella propria compagnia il centro di chissà cosa, ma è un fatto che durante tutto questo tempo il Sollazzo abbia fatto il suo. Ha divulgato cultura, affinato umorismi, fatto nascere consapevolezze, formato artisti. Ma soprattutto, ha costruito ideologie che hanno avuto impatto ovunque: online, nel mondo reale, sulla carta e nelle aule universitarie. Il tutto senza nemmeno allargarsi più di tanto, o diventare strumento di profitto. E’ rimasto una nicchia, in grado però di mettere lo zampino dove necessario. Miao.

Eppure quest’anno c’è stato il rischio che il ventennale del Sollazzo non venisse festeggiato. Perché pure la vita ci mette lo zampino, e organizzare un evento come Lucca più invecchi, più diventa difficoltoso da coordinare. E’ qui un bel grazie a Massimo Sestili ci sta tutto. Il cosiddetto Sommo Zotnam, utente fumantino ma gentiluomo, ha saputo ben ricevere l’appalto organizzativo, e ha tirato fuori dal cappello una villa meravigliosa, poco fuori dalle mura, ad un costo accettabile e con tutte le comodità del caso.

E’ la villa di Nonna Sollazza, che ti viene a prendere alla stazione, ti rifornisce di bottiglie d’acqua sul comodino, ti fa trovare le merendine per colazione, una bella selezione di libri antichi in biblioteca e pure la Firestick con Netflix. E dopo tutto questo chi ha voglia di andare pure in fiera?

Ma bisogna, e così mi avventuro, che ho da fare la spesa.

Ritiro il mio pass stampa e poi al Napoleone becco Tito Faraci in Feltrinelli che mi vende Tapum di Ortolani. Alla Bao invece metto le mani su Avila, il nuovo Radice-Turconi. Anzi, lo comprerò due giorni dopo, ma lo dico qui, per maggior ordine e pulizia. Mi si perdoni il falso storico.

Faccio anche un giretto ai privati, perché sto ricostruendo la mia collezione di W.I.T.C.H. che un allagamento anni fa mi ha riempito di muffa, e mi imbatto in due cartonati Mondadori – Paperin Meschino e Paperino Don Chisciotte – appartenenti ad una collezione che decenni fa la mia defunta zia aveva iniziato e mi aveva ceduto incompiuta. Così metto mano al portafoglio, chiudo il discorso e la avunculogratulo con affetto.

Allo stand Panini c’è un po’ di roba mia, noto. L’artbook di Disney Anthology, ad esempio, con tutto il materiale che ho preparato per la collezione di Moccia. Poi c’è la Deluxe dei Galaxy Gate, e soprattutto il quinto volume di Pk Omnibus, impresa che porto avanti ormai da tre anni. Allo stand mi confermano che si prosegue dopo il settimo, dunque nel mio orizzonte si staglierà presto Pk2. A quanto pare, i lettori hanno apprezzato. E poi vengo a sapere anche altre cosette sull’anno prossimo, che segnerà il trentennale di Pk. Mi sento molto vecchio.

Mi porto a casa un po’ di Cavazzani telati (Casablanca, Topo Maltese e più avanti anche Novecento) e il Pippo Holmes di Enna. Aggiungo al bottino lo spillatino nuovo con Occhi di Ratto, Fantomius 5 e soprattutto il primo dei due volumi con le sunday di Floyd Gottfredson, che ritengo qualcosa che andrebbe messo tra gli acquisti obbligatori di ogni vero disneyano. Sì, per ste cose elargisco patentini, e con severa antipatia.

Detto questo, mi accingo a tornare in Villa, dove mi aspetta la bestia vera. Si chiama Solitudine. Ebbene sì, è successo che per la prima volta in vent’anni il primo giorno me lo faccio da solo, mentre i sollazzieri inizieranno ad arrivare da domani. E quindi eccomi là, in quell’enorme villa a ruminare ricordi, mentre addento un panino. Mi tornano in mente spettri di Lucche passate, come quella volta del barattolo di ragù apertosi in valigia (2007), il mio cosplay maldestro di Link (2008-2009), Panariello (2006-2007, 2009-2014), Icnarf (2007-2011), la febbre a Viareggio (2022), Max (2023), tanta vita insomma. Poi decido di andarmene in centro, e farmi un bel birrone… con la morosa in videochiamata. E usiamola questa tecnologia, insomma!

La giornata si chiude bene, quindi. Bottino raccolto, spettri andati via (grazie, Elena), e tanta energia per l’indomani. Cosa manca? Una bella letturina prima di dormire, dai.

Prendo in mano il fascicolo celebrativo su Massimo Marconi, curato dal collega Brambilla che ho preso per il viaggio in treno. E leggo i titoli in sommario. Il primo è una storiellina umoristica semplice semplice intitolata “Paperino e le disavventure della Grat Super” (Marconi/Bordini, 1974). E lì mi esplode il cervello.

Flashback.

Ho pochi anni, devo ancora imparare a leggere. Becco questa storia sfogliando i fumetti di mio padre e decido di farmela leggere da mia madre. Poi non contento, decido che dovrà rinarrarmela a voce ad ogni pasto, sennò cazzi. Lei lo fa, ma io chiedo aggiunte. Nella storia originale c’è Paperino che lavora come inscatolatore di baccalà per potersi permettere una super auto che gli viene poi rubata svariate volte, ma dopo qualche pappa la trama reale si perde e spuntano sequenze del tutto nuove che portano la storia in direzioni sconfinate. Alla fine ci faccio mettere una festa di compleanno per Paperino, poi lo spacchettamento dei regali, poi una vacanza in campeggio. Piano piano, “la grat super” diventa un’epopea senza fine, una tradizione orale che sovrascrive ogni ricordo dell’originale. E che poi col tempo rimuovo in toto.

Ma quella sera a Lucca tutto riemerge, la storia infinita, le mille aggiunte, mia madre che passivamente mi asseconda. Non resta che andare a riscoprire come fosse davvero quello che praticamente fu il primo fumetto della mia vita. E grazie a Brambilla finalmente lo scopro. Una storiellina buffa, niente più, ma in cui ogni singola vignetta è stata immagazzinata nei miei ricordi base e genera suggestioni a catena. Fa un certo effetto confrontarsi coi propri imprinting, c’è chi la chiama nostalgia e ne fa bandiera, io preferisco giocare alla psicanalisi e riscoprire il me stesso originale.

Ero venuto a Lucca per celebrare vent’anni di passione, e finisco per raddoppiare il totale, ricongiungendomi con quel bambinetto di quarant’anni fa.

Grazie Brambilla… e buona notte, valeri8.

Secondo Giorno: C’era un Sorriso Anche per Me

Sincero, se ti svegli al caldo in un villone, con una pila di fumetti nuovi, un oceano di snack per colazione e senza molto da fare in fiera, un po’ te la prendi comoda. Non così comoda da non andarci, certo, ma diciamolo, la pioggia non invoglia.

Un blitz lo faccio, però. Passo dalle parti di Panini, che laggiù ci sono alte probabilità di fare incontri interessanti. In realtà non mi capita, e questo chiaramente porta la mia mente a rimpiangere le prime Lucche, quando lo stand Disney era un porto di mare in cui potevi beccare artisti, colleghi e appassionati pronti alla chiacchiera. Due decenni dopo le cose sono diverse, e con l’avvento del nuovo editore ora qui c’è gente che lavora, sta vendendo fumetti e spiace quasi andarla a disturbare. Così timidamente me ne vo, e decido di aspettare in villa l’avvento di Massimo, il primo sollazziere di questa edizione.

Ed eccolo, nel primo pomeriggio. Scortato da Nonna Sollazza, il caro vecchio Sommo Zotnam. Che si arrabbia e poi è buono, poi si arrabbia ancora, poi è buono di nuovo perché, si sa, dopo quell’indigestione di Raggi Gamma non è più stato lo stesso. Oggi però è buono, come il tramezzino che mi offre. Memore del suo gran russare, gli riservo un posto letto in un’altra camera, ma spoiler: non servirà.

Poi torniamo in fiera, e con lui presente torno sociale. Un saluto a Bertani e alle ragazze della reda, un’occhiataccia a Zerocalcare che lui lo sa il perché (e per sicurezza mette le mani avanti). Un po’ di padiglioni, un po’ di privati, la solita minestra lucchese.

Anzi, no, la minestra c’è dopo, perché alla fine ci facciamo una bella cenetta in osteria, seguita dalla prima vera uscita sociale di questa mia Lucca 2025. Si continua con un birrone… questa volta con Vito, che a Lucca non è mica venuto, ma io ormai ho padroneggiato l’arte della videochiamata che rende presenti gli assenti, come ai bei tempi della pandemia. Poi ci raggiunge un collega, tale Cavazzuccheri, dietologo nella vita, ora anche curatore di volumi a fumetti, che ci ospita nel suo appartamento offrendoci birre e spazi altrui, che accettiamo volentieri. Poi tocca a lui farsi ospitare da noi, e insomma a letto ci si va sì, ma poi, molto poi.

Ecco, inizio a sentirla finalmente questa Lucca.

Terzo Giorno: La Stessa Luce Che

Molte ragazze da queste parti. La prima spunta una mattina, tenerella e vestita di paille. Si chiama Pigiamina, o meglio decido io unilateralmente di chiamarla così, mentre la vedo aggirarsi per i corridoi della villa. Nonna Sollazza ha popolato la sua villa di abitanti e d’un colpo sembra di essere tornati ad essere studenti fuorisede, che si trovano a fare amicizia con gli inquilini. Poi ne arriva pure un’altra, tale Ginevra, a cui non dò alcun soprannome, ma che è l’opposto di Pigiamina: sfrontata e romanesca dentro. Le due sono amiche e risultano perfettamente complementari, in quella che è la necessaria stereotipizzazione dei caratteri che questo tipo di resoconti richiede. Magari poi in realtà la loro personalità è capovolta, ma per adesso ecco due nuovi personaggi a dare una scossa a questo ventennale.

Tuttavia colui che ci raggiunge in questa terza giornata è Diego Bordessa, che attualmente ricopre il ruolo di chiave inglese del Sollazzo. Tradotto: tutte le volte che c’è bisogno di ricordare a me che non è vero che internet è una strana magia che sta dentro il mio telefono chiamo lui. Un tipo sobrio, sto Diego. Silenzioso e imperscrutabile, apre bocca solo per ridere. Viene da chiedersi se non sia semplicemente il dialetto specifico della sua zona, o che per tradurlo serva traslare tutto ad un grado di ilarità inferiore e scoprire che tipo quando è serio sta in realtà piangendo e cose del genere. In ogni caso ahr ahr che spasso.

Arrivati in fiera ci dividiamo. Massimo va all’evento Stranger Things, noi che siamo fedeloni andiamo a quello di Topolino, presieduto da Bertani. Là succedono cose magiche: Cavazzano cambia nome a Freccero, Gervasio provoca un blackout di giorno, Elisa Braglia mi allunga un panino appartenuto a Maccarini, qualcun’altro ancora inizia a concedere a chiunque il rango di Maestro (e Mace Windu disapprova). Becco anche Travaglini con qualche papersero, e forse nella massa pure il collega Cavazzuccheri. Poi, soddisfatto da quella che mi è parsa una mini-Reggio dei tempi andati (ho il palato settato così dal 2006), faccio una cosa molto nostalgica: propongo a Diego e Massimo di pranzare al Bar Astra, lo storicissimo Solitobar.

Ecco, il Bar Astra vicino a Napoleone durante i primissimi anni lucchesi è sempre stato un po’ il luogo dei ritrovi. Ci si mangiava un bel panino con la porchetta in compagnia del Fausto o del Casty di turno e ci si punzecchiava amabilmente. Poi con tutta la gentrificazione degli anni successivi lo si era perso di vista, ma io sono un sentimentale e in occasione del ventennale ritiro fuori la tradizione dalla naftalina, faccio una foto e la mando a Breda che da lassù me la commenta con lo smile di un hot dog. Ok.

Il pomeriggio trascorre quieto, con vaghi giretti. Un ciao Tito e Silvia, uno al soldato Sciarrone, poi un po’ di riposo a casa e infine la cena nell’osteria dei cazzi.

Ecco, io non so mica come ci siamo finiti nell’osteria dei cazzi. Di certo era ormai tardi e bisognava decidere in fretta dove andare, poi boh forse abbiamo controllato male. Sta di fatto che ad un certo punto entriamo in un posto, ci sediamo e notiamo i cazzi. Ma dappertutto eh, cazzi di gesso poggiati sui tavoli, cazzi di gomma appesi alle pareti, cazzi nei nomi delle portate, cazzi, cazzi, cazzi. Sulle prime mi faccio una risata, sarà una cosa tipo La Parolaccia, con i camerieri che ti fanno battute. Poi dopo un po’ inizio a provare oppressione, non tanto per i cazzi ma per il numero spropositato di oggettini scemotti di cui è zeppo il luogo, una cosa percettivamente pesante. Ad una certa, avvertiamo oppressione, mangiamo in fretta e ciao, che di star tra i cazzi non avevamo cazzi.

Poi le cose migliorano. Un ragazzino biondo mi ferma e mi chiede una foto, perché mi ha visto da Moccia e sono troppo un grande quando parlo di Disney. Grazie ragazzino, ovunque tu sia. Poi ci raggiunge Cavazzuccheri con cui ci facciamo un peschino, salvo poi rintanarci in villa. E sul più bello vediamo entrare Pigiamina e Ginevra, di ritorno dalla loro serata. Arrivano con alcool e caramelle gommose, dato che sarebbe Halloween, e immediatamente il collega Cavazzuccheri decide di posticipare il suo andarsene. Che strano. In men che non si dica eccoci tutti tornati ai tempi del liceo, quando c’era la gita scolastica e c’era quello (io) che dichiarava “STASERA NON SI DORME”. E non dormiamo infatti, perché quando l’adolescenza chiama non importa se hai 41 anni, bisogna rispondere. E magari già che ci sei parlare di Disney alle ragazze, dato che quando lo faccio sono troppo un grande, no? Ehm.

Poi, giunte le quattro del mattino scopriamo che c’è un altro inquilino di cui nessuno era a conoscenza, che si affaccia e ci chiede per favore di fare piano, che sta cercando di dormire. Qualcuno sussurra un mortificato “ok scus”, qualcun’altro pensa “lasciaci stare, non sei nostro padre!!1”, alla fine tutti decidiamo di andare a proseguire il bagordo al piano superiore.

Il risultato è che facciamo le cinque.

Io le sei.

Quarto Giorno: Si Accende Quando Nasce un Re

E’ sabato, il giorno della bambina. E’ così ormai da tre anni, ormai: al penultimo giorno mi raggiunge Elena, e io sospendo alcune attività per andarla ad accogliere. Quest’anno non c’è il nostro comune amico Davide ad accompagnarla, dato che impegni stringenti lo trattengono a Padova, e quindi tocca raccattarla dopo un viaggio in treno.

Il dubbio è: verrà da sola o col bambino? Perché quest’estate Elena ha partorito un peluche. Anzi, l’abbiamo adottato dopo averlo visto abbandonato in un robivecchi: si tratta di uno splendido pupazzo di Pimpi, tenero, espressivo e di dimensioni analoghe a quelle di un piccolo essere umano. In breve a casa è scattata la Pimpimania: lo facciamo sedere a tavola con noi, lo portiamo a spasso, lo facciamo parlare, lo imponiamo agli ospiti, io a volte lo bullizzo un po’ così cresce e si fa uomo. Ci siamo accorti che Pimpi è un surrogato perfetto: mangia aria, non rompe mai le scatole, ha paura di tutto, non chiede niente. A volte lo vediamo là che pare in trance, e invece noi sappiamo benissimo che in quel momento è nel Bosco dei Cento Acri che offre del miele a quel suo amico invadente e più noto. Il Porcattivo lo ritiene un pusillanime, ma gli si è visibilmente affezionato e tende a fargli da zio e a spiegargli come si sta al mondo. Inoltre cacasotto com’è, è perfetto per i transfert: la vita colpisce duro? Ne soffre Pimpi. Ci manca il coraggio per fare qualcosa? Pimpi ne ha ancora meno. Dobbiamo spiegarci qualcosa l’un l’altro? Usiamo il pupazzo come esempio. Le potenzialità di Pimpi sono infinite e dobbiamo ancora scoprirle tutte.

Sì, insomma, due dementi.

Il ricongiungimento è felice e tenerello, ma Pimpi manca. E’ rimasto a casa perché aveva avuto la dissenteria, ed era meglio non fargli prendere freddo. O forse non c’era spazio in valig… sssst. Ad ogni modo abbiamo gli ultimi due giorni lucchesi tutti per noi, senza dover far da balie a un pupazzo lamentoso.

Durante la giornata cerco di far esperire ad Elena un mix di cose: la villa, gli amici, un po’ di Panini, il giretto sulle mura tra i cosplayer, le contrattazioni ai privati per reperire gli W.i.t.c.h., un po’ di pioggia che dai ci vuole e soprattutto… la folla. Ecco, è sabato e c’è gente. Ma quel che è notevole… è che è l’unico giorno davvero affollato. Tutti gli altri sono stati decisamente lievi. E questo ci dice una cosa: una bolla è forse scoppiata, ma ci ha restituito in cambio una Lucca vivibile, per il secondo anno consecutivo.

Ma è di sera che ci giochiamo tutto. Con una bella cenetta di gruppo alla Corte dei Limoni, un peschino in piazza, poi un carico di birre e rotta verso casa dove troviamo Ginevra e Pigiamina ancora in mood etilico. Così tra una birra, uno shottino di liquore al caramello salato gentilmente offerto dalle inquiline, trascorre in allegria l’ultima sera di questa Lucca 2025, in assoluto una delle più sociali della storia del Sollazzo.

Poi le tre bimbe vanno a letto, e rimangono alzati gli uomini. E cosa fanno i veri uomini? Ridono e deridono, brutali e crassi. I cheapquel, ad esempio, spauracchio qualitativo della Disney di venticinque anni fa. “Capolavori” come Il Mondo Incantato di Belle, La Sirenetta 3 o Cenerentola 2, che tanti genitori sprovveduti indussero in errore, grazie a Disney+ sono tutti reperibili e perfettamente confondibili con gli originali. E così tra una palette ottenuta a pennarello e un personaggio fuori modello, io, Massimo, Diego e il collega Cavazzuccheri (che ci ha tardivamente raggiunti), ci spariamo interamente nientemeno che il Gobbo 2, temerari come non mai.

Almeno fino a che veniamo sorpresi da qualcuno che esclama “uhm, ma quelli sono i credits finali del Gobbo 2, li riconosco. Perché guardate i film Disney brutti invece dei veri classici?”.

Ci giriamo ed è l’inquilino misterioso, lo stesso che la sera prima avevamo disturbato. E che si rivela di colpo un arguto intenditore. Avrebbe potuto essere il sollazziere definitivo, e invece in tutto questo tempo l’abbiamo snobbato per far bagordi con le donne. L’ultima notte si chiude così, con un po’ di euforia e un po’ di rimpianto, in attesa dell’ultimo giorno, quello degli addii.

E nel frattempo a casa un maialino di pezza sta ancora aspettando…

Quinto Giorno: Amore dei Vent’Anni Miei

Giunti al ventesimo resoconto lucchese, non serve ricordare che l’ultimo giorno è quello triste. Sistemi per alleviare la malinconia ormai ne ho, e anche parecchi, ma un filo di lutto rimane. E forse è un bene, perché significa che l’evento è ancora nel cuore, e che provo qualcosa per i miei compagni di viaggio. Quindi dai, facciamo un capitolo finale meno triste, e più melenso.

Quella mattina iniziano gli addii.

Addio Ginevra e Pigiamina. Siete state una bella presenza, a parte la cosa della Dreamworks che gliel’ha fatta vede’ alla Disney co’ Shrek. Ma per il resto, grazie. Per le caramelle, per i liquori, per esservi fatte fare i massaggi da Massimo. Grazie perché mi è sembrato normale che foste giovani, il che significa che non sono vecchio, sono classico. E per uno che ha passato la vita a distinguere WDAS da WDTA, scoprirsi classico non è poco.

Addio Nonna Sollazza. Forse per te è stato normale gestire la villa così, ma nel nostro passato c’è stata pure una Lucca senza coperte, quindi non diamo nulla troppo per scontato. Si tende a tornare dove si è stati bene, e quindi ci sono ottime possibilità che. E grazie per averci permesso di lasciare le valige in atrio, per farci l’ultimo giorno di fiera.

Giunti lì un ciao anche alla Panini, con Bertani e tutto lo staff. Poi, di volata a fare due chiacchiere con il buon Vacca, che ha il merito di averci fatto scoprire il peschino l’anno prima. Per strada però ci perdiamo Massimo, che deve correre al treno.

Addio Massimo Sestili, in arte “Sommo Zotnam”. Hai un carattere pazzesco, e quando sbrocchi si caca anche Gesù. Ma la media rimane alta. Sei il tessuto ideologico connettivo che dà un senso alla maggior parte di quanto costruito in questi due decenni. Il tuo entusiasmo può imbarazzare l’uomo della strada, ma sai cosa c’è? Avercene, e che l’uomo della strada rimanga nella strada. C’è costanza e lealtà in tutto questo, che forse è quello che manca in questo mondo. Spero di farmi ancora molte Lucche con te, ma la continuity di Spiderman la prossima volta la rimuoviamo dalla memoria, con l’aiuto di Mefisto.

Pranzo al ristorantino veggie. Poi un saluto ai privati, un giretto sulle mura, due schizzi di pioggia e siamo pronti a tornare in villa per recuperare le valige. In villa mi scappa la pipì. E mi scappa nel momento in cui Diego deve andarsene, ma proprio in quel momento preciso, preciso, non prima e non dopo. Devo scegliere. Risultato, niente saluto melenso per Diego, scus. Rimedio qui:

Addio Diego. Avevi due strade davanti a te: il nichilismo umoristico e il credere in qualcosa. Sei riuscito a percorrerle entrambe in questi anni, e questo ti ha reso un ottimo compagno di viaggio. La cosa bella è che in questi mesi stiamo facendo roba solida, ma quando ridi è come se fossimo in una striscia di Segar (1894-1938), non di Zaboly, non di Sagendorf. Segar, quello vero. Contento di averti fatto vivere la tua prima Lucca, ti imporrò anche le prossime perché sono un dirtatore.

Le porte della villa si chiudono, e io ed Elena rimaniamo lì dentro da soli per mezz’ora in attesa del BlablaCar che ci porterà a casa. E a evento finito fa un certo effetto salutare quei luoghi ora svuotati. Poi, ecco arrivare il nostro passaggio. Il viaggio durerà poco più di tre ore, prima di portarci a rivedere Padova.

Al ritorno a casa troviamo un maialino offeso. Il poveretto ha sofferto di solitudine, ci ha messo il muso e non vuole parlare. Gli faccio notare che è perfettamente normale non parlare per un pupazzo, così gli induco un comportamento oppositivo e lui riprende a farlo. Pimpi lo truffi con poco. E poi ha poco da brontolare vista la pila di fumetti che gli abbiamo portato.

La famiglia si ricompone, gli amici del Sollazzo tornano al loro status di scrittine dentro il computer e anche per quest’anno ci siamo portati a casa il risultato.

Per me però è diverso. Perché prima di partire ero stanco di tante cose. Deluso da certe persone, apatico su altri fronti, disfattista su altri ancora. Questi venti anni di fatiche in rete li sentivo tutti, e ora li sento meno. E ho voglia di puntare al trentennale, senza troppi fronzoli ma portando avanti quello che il Sollazzo sa fare bene: cultura, prospettiva, teorie, consapevolezza critica, satira. Il mio pane è questo, è finché vivrò non potrò fare a meno di farci la limonata, no asp com’è la metafora, vabbè. In ogni caso buona la limonata, anche se aspra. Anzi, il bello è che è aspra, come la vita.

Grazie ragazzi, grazie bimba mia, grazie Maestro Pimpi (così non tiene il muso).

E venti di questi anni, Tana.

FINE