Quindici anni fa usciva Come D’Incanto e la cosa aveva un significato.
Era il ritorno della scrittura mista, dell’animazione tradizionale, del musical menkeniano e in generale un grande omaggio alla fiaba Disney, all’epoca ancora bisognosa di riscatto.
Non solo. Era anche un gran bel film di Kevin Lima. Elegante, arguto e pungente, con interpreti in stato di grazia. Lo guardavi e ci trovavi la commedia, quella vera, quella fresca e brillante. Il prodotto intelligente di una Disney intelligente, consapevole di sé e rispettosa del suo pubblico.
Il sequel invece non funziona.
Pretestuoso nelle premesse, puerile, ritmicamente sballato e totalmente privo di quel mordente che aveva reso il predecessore un cult. Ci sono cose buone qua e là: la colonna sonora di Alan Menken e le relative coreografie, le brevi sequenze animate, affidate a uno studio esterno che però annovera tra le sue maestranze alcuni disneyani doc come Sandro Cleuzo, Tony Bancroft e John Pomeroy, l’interpretazione degli attori protagonisti e qualche occasionale trovata.
Ma non è sufficiente, e alla fine ci si ritrova tra le mani un prodotto che non si sa bene come classificare. Non è davvero un cheapquel o un film televisivo, i suoi valori produttivi sono alti e garantiscono continuità col predecessore. Ma la scrittura è debolissima e il tutto risulta così kitch da far riemergere le cattive sensazioni dell’epoca dei sequel a basso costo. E questo è preoccupante, perché significa che chi ha mandato avanti quel progetto ne aveva una considerazione bassa, che il prodotto di partenza non è stato capito appieno e che l’epoca dello streaming ha confuso i confini della qualità.
Un campanello d’allarme di cui tenere conto.
A margine: oggi è stato il compleanno di Topolino e il documentario su di lui che trovate su Disney+ è altamente consigliabile, anche solo per il brevissimo corto celebrativo da un minuto ivi contenuto. L’hanno animato Goldberg, Henn e Haycock, e dovrebbe essere sufficiente come consolazione.