In queste settimane benedette, in cui pare che a darsi appuntamento in un giorno sempre diverso siano praticamente tutte le grandi saghe e i franchise di successo, è importante non dimenticarsi di questa gemma che ormai già da qualche mese sta facendo un gran figurone su Netflix. The Sandman, ispirato al capolavoro fumettistico di Neil Gaiman, si compone di 10 episodi (+1) da un’ora, che adattano con grande intelligenza i primi tre volumi della serie originale. E per adattano intendo adattano fedelmente (nei limiti del possibile).
Negli anni ho letto diverse opinioni sul concetto di adattamento. Secondo alcuni la fedeltà non rappresenta per forza un valore aggiunto, anzi, è un modo quasi ottuso di gestire una trasposizione. C’è a chi basta il succo, lo spirito, lo spunto di partenza, e vede qualsiasi tentativo di seguire pedissequamente la fonte come deludente, un tradimento per il medium. Io stesso, da disneyano incallito, dovrei forse sposare questa teoria e preferire stravolgimenti imprevedibili e approcci originali alla materia.
E invece no, tendo ad essere fra quelli che preferiscono l’adattamento fedele. Questo perché penso che il senso basilare di queste produzioni, la ragione per cui vengono messe in cantiere è semplicemente perché si vuole veder determinate storie prendere vita. Quelle storie nello specifico e non altre, non versioni soltanto simili o reinterpretazioni. Ci sono belle storie che aspettano solo di esser raccontate su schermo, così come sono. Se poi si tratta delle storie di Neil Gaiman, che di medium non ne padroneggia solo uno, allora si parte avvantaggiati. Perché è come se il lavoro di adattamento audiovisivo fosse già pronto da decenni, dato che il piglio cinematografico c’era già tutto in quelle pagine: la regia, i movimenti di telecamera, i dialoghi. Era già tutto pronto e non serviva davvero alterare granché per portare a casa il risultato.
O quasi, perché qualcosa è stato alterato. I collegamenti con l’universo DC di quegli anni sono stati ovviamente rimossi, sostituendo alcuni personaggi con altri creati ex novo. Non si poteva fare altrimenti, ed è stato fatto in modo chirurgico e puntuale. E poi vabbè c’è la solita cosa legata ai cambi di sesso/etnia di alcuni personaggi, argomento di cui pare piaccia tanto parlare in questi tempi di baruffe social. La mia idea in merito è che se un’opera vuole dare letteralmente vita ai disegni di un fumetto, non è bello prescindere troppo dall’aspetto che quei personaggi avevano nel fumetto. Cambiarli infrange un po’ le regole del gioco e diminuisce il senso di molti altri casting che invece sono stati fatti in piena fedeltà. Ma dobbiamo considerare che nel frattempo si sta giocando anche un altro gioco sul pianeta Terra, un gioco più ampio che ha dettato nuove regole con le quali bisognerà misurarsi. E bisogna accettarlo, tanto più che le nuovissime Lucienne o Death sono incredibili e offrono performance a mio parere davvero indimenticabili.
La serie Netflix di Sandman è davvero un’altra degnissima versione del Sandman di Gaiman, e la ferma mano dell’autore sul timone si sente tutta. E’ un’operazione fatta con rispetto, buona fede e una sintonia completa e totale con l’opera originale, di cui tutto è stato compreso, pure le virgole. Vedere che si è cercato di dare spazio persino agli adattamenti delle storie autoconclusive (l’episodio animato sul Sogno dei Mille Gatti e Calliope sono materiale davvero incredibile) dimostra che la direzione presa è quella giusta. Ma per quanto sia stato fatto un lavoro certosino, non c’è da fidarsi di Netflix, in quanto a rinnovi e cancellazioni. Il fatto che stiano ancora temporeggiando per annunciare la seconda stagione un po’ spaventa, dato che non parliamo certo di una piattaforma amante del concetto di lungo termine. Interromperla qui, per quanto narrativamente accettabile, sarebbe però un delitto. Questa è un’impresa che deve essere assolutamente portata a termine.