
Con la fine della seconda stagione salutiamo l’esperimento Andor/Rogue One e tiriamo un po’ le somme.
Premessa impopolare: non sono fra quelli che osannano l’opera di Tony Gilroy, né lo salutano come il salvatore che mostra la via “giusta” per fare Star Wars. Alcune cose di Rogue One mi stonarono già ai tempi, e sono poche le scene che posso dire di aver davvero amato della prima stagione di Andor (ma quelle poche erano belle davvero). Non penso che il problema stia nel tono maturo, dopotutto chi davvero conosce lo Star Wars multimediale sa anche che c’è chi ha saputo elevarne il linguaggio nel tempo. Prendiamo i romanzi di Luceno, ad esempio: profondi, realistici e incredibilmente tecnici (e tacciamo di Zahn). Forse è più una questione di grammatica audiovisiva, che nello SW di Gilroy a volte rasenta l’anti-lucas: dialoghi un po’ criptici, una certa freddezza di fondo, un casting non sempre felice e un vago senso di autocompiacimento. Più difficile invece è arricchire la baracca operando dall’interno della cifra stilistica lucasiana, come facevano con alterne fortune le altre serie live action uscite fin qua. Penso infine che diversificare così tanto, dando ad una stessa IP una dimensione adulta, una prescolare, una adolescenziale e via dicendo possa essere una buona idea solo sulla carta. Sulle lunghe distanze il franchise si indebolisce, si crea confusione e infine… campanili.
Ma al di là di questo, è innegabile che Gilroy un risultato se lo sia portato a casa: Rogue One è amatissimo, la prima stagione di Andor è assai piaciuta e questa seconda migliora così tanto da aver toccato pure me. Certo, ho sofferto ancora molto certe cose. Un protagonista poco incisivo, alcune lungagnate action di troppo che avrebbero avuto bisogno di una bella asciugata, ma il fatto di starci avvicinando a larghe falcate all’anno della battaglia di Yavin ha aiutato tantissimo a far sentire aria di casa.
Due cose davvero mi sono dispiaciute. Il recasting di Bail Organa, che crea una macchia difficilmente lavabile in una successione di eventi che vede il precedente attore interpretarlo in momenti precedenti E successivi. Brutto. E ovviamente la rinarrazione delle origini di K2, che difatto scanonizza un precedente fumetto. Non un gran fumetto, ma non è il punto. Non si tratta di una piccola retcon come già accaduto in passato, ma del ritorno di quel canone a livelli che va a sconfessare l’attuale modello crossmediale. Il fatto non è grave in sé, ma ha implicazioni pesanti.

Tuttavia, alcuni elementi di Andor 2 risultano così pregevoli che ogni discorso teorico cade, e bisogna augurarsi che facciano scuola.
La coppia fascia: Stranianti, satirici, quasi lynchani: Cyril e Dedra sono personaggi meravigliosi. Si portano dietro un’ironia di fondo, mista a tragicità, satira e un pizzico di paradosso, il che non fa che aumentarne lo spessore. La sequenza della cena con la suocera, i loro vezzi ossessivi-compulsivi legati all’ordine e al controllo, ogni scena con loro è così intensa da suscitare emozioni potenti. La loro dimensione privata penso abbia arricchito Star Wars di qualcosa che mancava e di cui ora sentiremo per sempre il bisogno.
Mon Mothma: L’altra grande colonna della serie. Attrice enorme, trasuda carisma e intensità in ogni scena. Il matrimonio su Chandrilla ci offre uno spaccato culturale e uno slice of life meraviglioso. La sua sottotrama ci riporta nelle aule del Senato, restituendoci la dimensione cerimoniosa e politica dei prequel che troppo spesso viene ignorata. E assistere in prima persona al giorno delle sue dimissioni è stato forse il più bel regalo che questa serie potesse fare agli amanti del canone. Abbiamo visto un momento storico della mitologia di Star Wars, portato in live action da un’attrice incredibile.
Luthen Rael: Altra bomba. Un personaggio nato per raccontarci una verità scomoda sulle rivoluzioni. Perché funzionino c’è sempre bisogno di qualcuno che sacrifichi la propria piacevolezza per mettere al primo posto la Causa, facendosi detestare dai suoi stessi commiltoni. Figura complessa, problematica e incredibilmente tragica, un vero e proprio incrementatore di contenuto.
Personaggi di Rogue One: Saw Guerrera c’era già nella prima stagione e ha fatto un figurone espandendo la riflessione sulle rivoluzioni alla base della serie. E già che c’era ha risolto un piccolo mistero legato alla sua figura (i problemi respiratori). Orson Krennic invece è stato una sorpresa ma col senno di poi fornisce l’aggancio perfetto per compattare lo Star Wars di Gilroy regalando coesione al tutto. Istrionici entrambi, capaci di recitare con ogni singolo muscolo della faccia, e altro grande punto a favore.
Composizione e colore: Mi sono sempre lamentato di un certo “grigiore” nell’azione da guerriglia dello SW di Gilroy. Parlavo di un grigiore puramente operativo, però: un tipo di azione molto tecnica e terra terra. Se ci riferiamo all’estetica pura, invece il discorso è diverso. Andor, come Rogue One, presta un’attenzione quasi anomala all’aspetto dei suoi frame. Dalla composizione geometrica dell’immagine negli asettici saloni dell’ISB, alla pulizia di Coruscant, passando per quei piani sequenza artistici su Chandrilla. La “shaky-cam” e la fotografia granulosa di Obi Wan sono solo un ricordo. Ma c’è inoltre un utilizzo del colore, dei contrasti che risulta davvero elegante, dettagli apparentemente marginali che il cervello a fatica registra, ma che in realtà fanno moltissimo: la camicetta azzurra di Brasso su Mina-Rau, ad esempio. Sebbene si tratti di live action, si sente che dietro ci sono ragionamenti cromatici degni di un film animato.
Monologhi politici. La serie è un florilegio di monologhi impattanti, pronunciati da personaggi carismatici: il manifesto del giovane Nemik, l’invito all’evasione di Kino Loy, l’apologia di Luthien e il discorso funerario di Maarva nella prima stagione. E ora nella seconda ne abbiamo avuti ancora, dall’ode al Rhydonium di Saw alla concione di Mon in senato. Sono momenti davvero alti, ben scritti e… utili da riciclare anche per i tempi in cui stiamo vivendo. Ah, anche la stoccata alla suocera di Deedra probabilmente rientra nel novero 😛
Worldbuilding. Lo SW di Gilroy dialoga attivamente con il canone, citando elementi provenienti da altri media, espandendo e costruendoci sopra e (con un’eccezione) rispettando tantissimo la saga da un punto di vista storiografico. Inoltre inserisce elementi a noi familiari, ma senza mai scordarsi di applicare loro il filtro “galattico”: cose della nostra realtà ma con un piccolo elemento “sbagliato” (strutturale, cromatico, di design) che ci ricorda che siamo altrove: un paparazzo robotico con la forma di una ruota, una sfera da discoteca che però svolazza a bassa quota. Dettagli del genere espandono le suggestioni alla base di Star Wars senza copiare pedissequamente estetiche già prestabilite.
In definitiva, penso che alla fine pur con tutte le mani avanti del caso, offro la mia benedizione a Tony Gilroy. Non sarà mai la mia tazza di tè ma nell’arco di questa operazione Star Wars ha guadagnato molto più di quel che ha perso: prestigio, contenuti, orizzonti, affetto.
