Partiamo dal finale. Raccoglie i pezzi di quanto visto e tira le fila, non attua stravolgimenti, non cerca sconvolgimenti e qualcuno infatti si è lamentato. Forse qualche dettaglio differente l’avrei voluto pure io, ma nel complesso direi che c’è stata onestà e zero voglia di strafare. E Lindelof poteva permetterselo, visto che i suoi assi li ha calati prima, con una tripletta di episodi che hanno fatto piazza pulita di ogni dubbio, scetticismo e resistenza da parte dei puristi.
Sono fra quelli che si dichiarano entusiasti di questo seguito di Watchmen. Lindelof ha settato un nuovo standard qualitativo nella rincorsa all’emulazione dei mostri sacri che caratterizza questa nostra epoca. Si è scelto uno dei più sacri, uno dei più mostri, e con classe, finezza e rara intelligenza ha dimostrato al sistema come è possibile fare il seguito di Watchmen e uscirne bene.
Tanto per cominciare, ha finto di star raccontando tutt’altro, celando in ogni modo la natura del suo progetto. E nel frattempo dimostrava al pubblico di aver capito Moore, smontandone lo stile pezzo per pezzo e rimontando il giocattolo al servizio di un nuovo scenario. Lindelof si è letteramente trasformato in un moderno Alan Moore: non l’ha sterilmente scimmiottato, ma ha imparato a ragionare come lui, ha applicato la sua lente e la sua cifra stilistica ai nuovi USA, quelli che fanno parte del suo vissuto e ce li ha raccontati alla maniera di Moore, dopo averla resa la sua.
Poi, quando ormai ci ha convinti di aver assorbito il DNA stilistico di Moore e di essersi limitato ad una sorta di seguito “morale” di Watchmen, ha sganciato una serie di siluri in sequenza che l’hanno reso il sequel effettivo, l’unico possibile. Senza risparmiarsi, senza aver paura di sfidare mostri sacri, di contraddire, retconizzare o prendersi gioco dello stesso Moore. Facendolo a pezzi con una certa spavalderia, ma senza mai dimenticarsi di giustificare ogni sua provocazione. Dopotutto stiamo parlando di Alan Moore, uno che si dissocia per partito preso da qualsiasi forma di adattamento delle sue opere, ma che nell’effettivo ha campato per anni sulla decostruzione dei personaggi altrui: La Lega degli Straordinari Gentlemen, Providence, lo stesso Watchmen sono sempre stati sue risposte a pantheon preesistenti. E Lindelof questo l’ha capito fin troppo bene, e ha compreso che l’unico modo per rispettare l’eredità di Alan Moore era mandarlo a fare in culo.
Il risultato è superbo, denso di contenuto e stilisticamente eccentrico. Tanti sono gli elementi in grado di imprimersi nella memoria, tanti i momenti surreali, i dialoghi stranianti, tantissime le simbologie, mordace l’umorismo. Ma soprattutto Lindelof eredita da Moore quell’idea di scrittura a strati, in cui ogni elemento è portatore di più di un significato, a seconda di quanto lo spettatore sia disposto a scavare. E la porta su schermo sfruttando pienamente le potenzialità del nuovo medium. Un esempio? La musica. Ogni episodio di Watchmen è un florilegio di brani preesistenti ma collocati strategicamente per lanciare indizi e segnali allo spettatore. Ecco quindi il Clair De Lune di Debussy a suggerire la reale collocazione dell’Eden di Veidt, le primissime note del Life on Mars di Bowie che anticipano il ritorno di Doc Manhattan e la Rapsodia in Blu di Gerswhin quando finalmente entra in scena.
E il paradosso più grosso di tutti è che questo modo di fare le cose, questo approccio narrativo, questa eleganza ce l’avevamo avuta davanti per anni. Lindelof scrive così da sempre. Si notava già nell’ormai dimenticatissimo Tomorrowland di Brad Bird e soprattutto in Lost, quello stesso Lost caduto vittima dell’hype e diventato il bersaglio della prima grande shitstorm mediatica del nostro tempo (seguirono SW 8 e GoT). In Lost c’era già tutto: frasi a effetto, situazioni stranianti, personaggi di spessore, colonna sonora preziosa, umorismo arguto, narrazione non lineare che in alcuni casi diventava addirittura diegetica (Desmond come Doc), finezze ed eleganza. Se Watchmen vi è piaciuto fatevi un favore, ignorate questa vergognosa pagina della storia di internet che ha condannato Lost alla damnatio memoriae e andate a riscoprire una vera gemma.