Asterix e il Grifone

Inevitabilmente, ogni due anni nelle edicole e nelle librerie francesi d’autunno esce un nuovo albo di Asterix. A pochi giorni di distanza escono prontamente edizioni in tutte le lingue del mondo e altrettanto inevitabilmente si inizia a parlare di “5 milioni di copie vendute nelle prime settimane”.

Asterix è ormai da molto tempo il simbolo della bande dessinée, forse addirittura il più popolare personaggio dei fumetti del mondo, uno dei pochi a sopravvivere ai suoi creatori, anzi a diventare sempre più famoso. Come è stato possibile? Come hanno fatto due onesti fumettisti come Jean-Yves Ferri e Didier Conrad a raccogliere l’eredità di due colossi come Uderzo e Goscinny?

Ritorniamo all’albo in questione, il trentanovesimo della serie. Come da tradizione, dopo un albo domestico (Asterix e la figlia di Vercingetorige), Asterix e il grifone vede i nostri irriducibili galli “in trasferta” nel lontano est, nelle steppe dell’Europa centrale presso il popolo dei sarmati. Lo sciamano locale ha infatti convocato il “collega” Panoramix in seguito a dei brutti presagi: una folta delegazione di romani ha infatti sconfinato nell’infido e inesplorato barbaricum, a caccia del mitologico grifone, animale sacro dei sarmati,  che Giulio Cesare vuole portare a Roma per esporlo alla plebe. Un incipit classico, che conduce la storia nei binari prestabiliti verso l’inevitabile sconfitta dei romani dopo una buona dose di scazzottate.

Una semplicità ostentatamente ricercata dagli autori, che sembrano voler rassicurare i lettori che il loro Asterix è quello di sempre, non c’è nessuna sorpresa, possono cambiare sì gli ingredienti per la pozione magica ma alla fine il risultato per il lettore è lo stesso. Un’affidabilità in netto contrasto con gli albi sperimentali dell’ultimo Uderzo, decisamente respinti (a ragione) dai lettori.

Si nota però a questo punto l’intelligenza dei due autori, consci da una parte di non avere il genio dei loro predecessori ma anche di non potersi limitare ad essere dei semplici imitatori. Ecco che, mancando del genio comico di Goscinny, Ferri prova sempre a inserire qualche strato di lettura aggiuntivo, temi attuali ma trattati con estrema leggerezza e quasi nascosti (parità di genere, fake news), oltre ai soliti divertenti giochi di parole. Apporta poi qualche piccolo cambiamento alla struttura regolare: la pozione magica è congelata e inutilizzabile, il villaggio dei sarmati è speculare a quello dei galli, con gli uomini a casa e le donne a combattere. Conrad per conto suo, pur restando assolutamente fedele a Uderzo, aggiorna il suo tratto, ritagliandosi una certa autonomia soprattutto nei volti femminili, nei cavalli e anche in scelte di inquadrature più moderne (ovviamente senza esagerare).

Alla fine il risultato è più che buono, anche se manca quel qualcosa in più, quelle intuizioni geniali dei primi albi. Come Panoramix, i due autori sono bravissimi nel rimestare nel pentolone della storia dosando con attenzione tutti gli ingredienti: una solida base di tradizione, qualche pizzico di innovazione qua e là, il solito tormentone ed ecco che il bestseller è cucinato e il villaggio può banchettare con il solito cinghiale. E ci vediamo tra due anni con un altro trionfo!