Il Ritorno di Mary Poppins?

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Siamo nell’epoca in cui una company famosa per i suoi film animati si ritrova a farne dei vuoti rifacimenti con attori in carne ed ossa pur di inseguire le nostalgie di un pubblico di trentenni rincoglioniti. Dei trentenni rincoglioniti che rinunciano ben volentieri a ciò che rendeva grandi questi film, ovvero l’animazione, ritenendola un retaggio della loro infanzia, ma allo stesso tempo si infuriano se il Genio di Aladdin interpretato da Will Smith non sarà blu come se lo ricordavano loro. In questa epoca di grandi incassi e di regresso culturale, di sfacciate mungiture e di pericolosa nostalgia, ecco che la Disney tenta l’atto estremo, decidendo di creare il sequel di Mary Poppins. Una scelta così sfacciata, arrogante e eretica si paga a caro prezzo, e il timor reverenziale che sopraggiunge una volta presa questa decisione ti obbliga a procedere coi piedi di piombo, a stanziare un certo budget e a non reclutare gente a caso, ma artisti. Artisti che, a differenza dei capoccia del consiglio d’amministrazione, Mary Poppins l’hanno visto, capito e amato e sono quindi in grado di affrontarlo.

Poteva essere un disastro di proporzioni epiche, e non lo è stato. Tutto grazie a una colonna sonora ispirata e perfettamente in linea con la sensibilità degli Sherman (ma la si ascolti in inglese!!), delle bellissime coreografie, una fotografia suggestiva e un ottimo casting. Lin Manuel Miranda e Emily Blunt si rivelano azzeccatissimi, e le particine di Angela Lansbury e Dick Van Dyke rappresentano una deliziosa chicca per appassionati. L’inserimento di una riuscitissima sequenza di venti minuti in animazione tradizionale, fornisce inoltre una “scusa” perfetta per far rivivere una forma d’arte che l’industria cinematografica aveva ormai accantonato da tempo, e il lavoro degli animatori attuali ha molto poco da invidiare a quello dei loro antenati del 1964. Tanta, tantissima arte, insomma.

Peccato che tutto questo bel materiale sia “ospite” di un’impalcatura narrativa poco incisiva e di certo non all’altezza dell’originale. Al di là della facciata festosa e zuccherina, il primo Mary Poppins era un film sagace, arguto e a tratti pungente, laddove questo seguito si rivela meno brillante e un po’ ingenuo nel suo cercare a tutti i costi di replicare la scansione narrativa del predecessore. Ma era prevedibile. Ci sono cose che si possono riprodurre fedelmente (look, estetica, performance attoriale, sensibilità musicale), ma ce ne sono altre che non si possono ricreare a comando: la spontaneità, la freschezza, la novità e… il genio. Il Ritorno di Mary Poppins non ha niente di geniale, ma rimane un buon film e ha dato occasione ad Hollywood di sfoderare valori produttivi che è stato bello siano stati sfoderati, ci ha ricordato che persone in grado di incanalare la legacy disneyana da quelle parti ce ne sono parecchie, e probabilmente non vedono l’ora di mettere a frutto i loro talenti… andando avanti, esattamente come diceva lo stesso Disney. Dopotutto, Biancaneve, Fantasia e lo stesso Mary Poppins furono tutte folgorazioni avvenute strada facendo. Ma perché possano avvenire è necessario percorrerla questa strada. Dopotutto, un fulmine non cade mai due volte nello stesso posto.

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