Il Trionfo della Grammatica Disneyana

Encanto: il poster italiano del film: 544737 - Movieplayer.it

Encanto è un film benedetto.

Dopo tanti anni mi è chiaro che ho una speciale affinità con i principi artistici alla base WDAS ed è difficile che un loro film possa deludermi. Chi più, chi meno mi sono sempre piaciuti tutti. Solo che poi ti imbatti in un film come questo e rimani senza fiato, perché ritrovi tutti quei principi lì che ti piacevano, ma li trovi… potenziati, preponderanti, in stato di grazia. Direi quasi dopati.

Encanto è il 60° Disney ed probabilmente il più ispirato da dieci anni a questa parte. Ogni suo frame trasuda gioia, orgoglio, desiderio di farsi ammirare. Una pazza voglia di comunicare allo spettatore quanto cazzo si siano divertiti a farlo gli artisti WDAS. La prima cosa a spiccare è la casa magica. L’elemento che connette tutto, e che con le sue molteplici gag visive scandisce il ritmo di ciò che passa sullo schermo, gioca con lo sguardo dello spettatore, incuriosisce di continuo e omaggia la pantomima disneyana degli oggetti inanimati (castello, tappeto, oceano etc etc). Poi ci sono i Madrigal con i loro poteri e i loro rapporti interpersonali, e quindi la loro recitazione e quindi2 la loro animazione. Che è ricercata, empatica, originale, in grado di rendere ogni personaggio un potenziale mattatore. Era dai tempi di Rapunzel che non si vedeva così tanta fantasia, così tanti guizzi nei movimenti dei personaggi. E non scordiamo il colore, che rinuncia a qualsiasi pretesa di realismo per piegarsi alle regole dell’appeal e della narrazione: l’occhio dello spettatore viene condotto dove deve. Nessuna distrazione. E la telecamera vola dappertutto, giocando con angolazioni improbabili. Infine ecco le canzoni, che sono la trama. Nessun pudore: il film lo racconta la musica, in complicità con l’immagine. Lin Manuel Miranda lavora alla colonna sonora E alla storia, e questa è una cosa che ci aveva insegnato Howard Ashman negli anni 90.

Nessuno degli elementi che ho elencato è davvero “esclusivo” di Encanto. Sono quei principi artistici di cui parlavo prima e fanno parte della grammatica Disney da quasi un secolo. Solo che qui sono tutti amplificati in modo assurdo. E collaborano, creando un tutto che è in grado di valere più della somma delle parti.

Encanto”: trama e trailer del film Disney | TV Sorrisi e Canzoni

Encanto è però anche un film maledetto.

Perché per quanto possa essere efficace e piacere – e io sono sicuro che piacerà – è un film che svela appieno le sue doti solo a chi ha affinato a dovere la papilla. Tutti gli altri se lo godranno sì, le madri saranno felici, I bambini pure, sarà in grado di unire molte famiglie. E probabilmente basterà questo a decretarne il successo, il che è meraviglioso. Ma da quel che vedo, molto difficilmente la critica sarà in grado di decodificarne la potenza.

La grafica che “come al solito” è ottima, i paesaggi che sembrano veri, la narrazione che è matura “quasi quanto la Pixar”, la morale che blabla, il mutamento sociale: questo è quanto passa. Leggo troppi stereotipi, troppe frasi fatte che dimostrano che in questi decenni non si è affermata una critica in grado di comprendere per davvero la portata di ciò che i WDAS stanno facendo, di capirne il programma, di decifrarne la grammatica visiva. Ed Encanto è un film costruito interamente su queste sensibilità. E per giunta è un musical, il genere di film a cui basta un adattamento/localizzazione anche solo un pelo meno efficace dell’originale per disperdere totalmente il suo impeto e mancare il bersaglio. Se il grande pubblico non viene sensibilizzato e la critica guarda da tutt’altra parte, come può un lavoro del genere farsi realmente apprezzare per il valore che davvero ha?

Discorso un po’ snob e parecchio negativo, che centra ben poco con il film in sé, che merita solo festeggiamenti. Ma la paura che una festa del genere possa guastarsi per colpa di una company che continua a narrare male il proprio marchio “di punta” e di un pubblico sempre più imbruttito, un po’ c’è. Ma forse sono discorsi da vecchio brontolone.

Detto questo, non capisco come mai non se ne stia parlando, ma con Encanto c’è anche Lontano dall’Albero, il corto abbinato, che ripesca l’ibridismo che aveva reso importante Paperman. E fa un lavoro simile (e diverso) per rimettere in piedi la cara vecchia linea. Si parli di questo, che ce n’è un gran bisogno.

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