L’Azzardo di Frozen 2

Film ambizioso, Frozen 2. Il 58° Classico Disney, primo dell’era post-Lasseter, spiazza tutti con la sua piena autoconsapevolezza. L’impressione è che gli autori al momento di sedersi al tavolo abbiano prima di tutto ragionato su come superare le obiezioni che inevitabilmente il concetto di “Frozen 2” si porta dietro. Perché se sei il fottuto sequel del fottuto Frozen, il ghigno degli scettici te lo becchi ancor prima di iniziare, e tocca fare un gran lavoro compensativo per guadagnarti rispetto e attenzione.


E il gran lavoro è stato fatto, cosa che si era capita sin dai primi epici trailer. Il fiabesco dramedy del 2013 si è trasformato in un kolossal fantasy a tinte noir e dal retrogusto metafisico. Bene, benissimo che si sia preteso così tanto da un progetto che avrebbe invece potuto adagiarsi, andando sul sicuro. Un lavoro del genere costituisce sicuramente un giro di boa per gli studios in termini di immagine e percezione del pubblico. Al timone della baracca ora c’è la brava Jennifer Lee e sembra star godendo di tutto lo slancio e la libertà che questo particolare momento della storia della Company sembra star concedendo (potere ai creativi e parità dei sessi). Questo non fa di Frozen 2 un film perfetto e qualche sbavatura c’è: i personaggi tendono un po’ troppo ad anticipare lo spettatore nella comprensione delle cose e man mano che la trama si dipana qualche punto oscuro qua e là rimane. Dettagli comunque, figli di un eccesso di sostanza che non ritengo un grave peccato.


Ma il vero motivo per cui Frozen 2 è una perla sta tutto nel suo approccio art-driven. Non è una novità che i Classici Disney scelgano di narrare attraverso l’animazione, la recitazione, la musica e il colore, anziché intessere plot complicati. Stupisce vedere adattata questa loro grammatica visiva al genere fantasy e sorprende l’eleganza del risultato. Uno dei dodici principi dell’animazione codificati da Frank & Ollie era lo staging, ovvero la capacità di disporre gli elementi sulla scena per creare immagini attraenti e intuitive. Frozen 2 è il trionfo di tutto ciò: ogni inquadratura, posa, luce, colore o movimento di camera crea una precisa risposta emotiva. Le sequenze in grado di impattare, di rimanere nella memoria sono tantissime e il film le propone a getto continuo, con una densità davvero senza precedenti. Lo spettatore viene così bombardato con raffinatezze di ogni tipo, senza mai un momento di tregua. Probabilmente non coglierà direttamente tutto questo, ma a livello inconscio queste sono pennellate che rimangono.


Difficilmente ho visto una tale padronanza della propria tavolozza, e soprattutto una tale maestria nel trasformare “il piatto della casa” in un linguaggio versatile. Lungi dall’essere un semplice favore all’ufficio marketing, Frozen 2 rappresenta una rivendicazione e l’affermazione di un’identità artistica ben precisa. Lo promuovo, dunque. E corro a riascoltarmi quella meraviglia di Lost in the Woods.