Ho Visto Wish.

La grande vittoria di Wish non è narrativa. Sì, c’è una storia caruccia, ma leggera. Funziona il giusto, e sa di già visto perché palesemente vuole proprio questo. Fa sfilare uno dopo l’altro gli ingredienti dei Classici già realizzati in questi 100 anni e un paio di citazioni mi hanno pure sorpreso per quanto erano esplicite. Di originale, su questo piano, ha solo una cosa: il villain. Che sembra essere una risposta a chi chiedeva incessantemente il ritorno di questa figura, anziché continuare con la deriva psicanalitica secondo cui il nostro nemico siamo noi. Ed è una risposta che secondo me è molto furba: è un cattivo pericoloso e gigione stile vecchi tempi, ma ha un atteggiamento assolutamente realistico, tipico di certe realtà che ho avuto il dispiacere di toccare con mano nella mia vita e quindi rimane attuale.

La grande vittoria di Wish però è altrove, e sta nel visivo. No, non parlo di freddi dati tecnici, che possono essere banalizzati dall’onnipresente argomentazione “si, vabbè i soldi li hanno”. Parlo proprio dell’idea visiva che c’è dietro, che ribolle da almeno un decennio e che finalmente erutta. Con la tecnica ibrida di Wish i WDAS recuperano la linea ma soprattutto recuperano il colore. Ovvero, il coraggio e la capacità di uscire da quella logica assurda e infernale che negli ultimi 20 anni ha ancorato il medium animazione all’emulazione del reale. Con il pretesto di omaggiare Biancaneve e Pinocchio con i loro acquerelli si torna a quel tipo di arte che offre un proprio punto di vista sull’immagine. Si torna così a decidere la resa delle cose, a volere che un frame appaia in un certo modo, con uno specifico contrasto o una specifica gradazione cromatica. E non c’è effettistica, fisica, rifrazione o trasparenza che tengano, ci si sgancia da tutto questo. Qui la filosofia è ottenere un cielo di un preciso blu e nient’altro. Questo è di importanza capitale, perché cambia completamente il modo in cui il fotogramma “dialoga” con la nostra percezione. Si può dire che le tecniche ibride ormai sono state sdoganate da molti competitor, ma qui tali elementi sono applicati alla character animation disneyana, che per qualità della recitazione e del movimento non aveva pari e non ne ha tuttora. Quindi il risultato è a tutti gli effetti nuovo.

Poi ci sarebbe altro da dire. La colonna sonora, ad esempio. Inferiore ai vari Menken, Lopez e Miranda, ma infila un paio di momenti che rimarranno nei cuori a lungo. Purtroppo in Italiano non rende, e questo spiace. Non dico nemmeno più che sia una colpa di chi adatta, dato che so a quali direttive sono sottoposti. Ma l’impronta musicale di questi film sta andando sempre più in una direzione “rappata” e quindi la mancanza di spontaneità si sente sempre più. Quando il testo non è banalizzato suona contorto e questo è sempre più un guaio, per chi vuole che la cultura del musical in Italia venga preservata.

Wish è una pellicola dovuta, che ci restituisce qualcosa che da troppi anni era stato tolto. Andatelo a vedere, perché dopo una stagione di brutti flop, se c’è un film il cui incasso può dare un input “sano” ai vertici di una Disney arrancante è sicuramente questo.

WISH