[La Casa Senza Nord] Le Ragazze del Pillar 2

Nel caso in cui qualcuno, due anni fa, avesse inarcato un sopracciglio di fronte alla scelta di proseguire Il Porto Proibito attraverso non un singolo albo ma un’intera serie di spin-off, ecco che Teresa Radice e Stefano Turconi, mettono al bando ogni scetticismo con il secondo volume delle Ragazze del Pillar, confermando che il progetto continua ed è in buona salute. L’anno scorso avevamo avuto la graphic novel one shot La Terra, il Cielo, i Corvi, che aveva giustamente messo in stand by il Pillar, ma adesso la storia può riprendere. E presumibilmente si andrà avanti così, ad anni alterni, almeno fino a che la vicenda non avrà termine.

E uso i termini “storia” e “vicenda” non a caso, perché questo secondo volume rende chiaro che alla base di tutto una trama orizzontale c’è, ed è anche molto accentuata. Nel primo volume l’avevamo intravista nel primo dei due racconti, June, mentre già in Lizzie sembrava essere stata messa da parte, per privilegiare la vicenda della ragazza titolare dell’episodio. Nel volume di quest’anno le cose iniziano a cambiare. Certo, la struttura di base resta la stessa: due capitoli, Tess e Cinnamon, incentrati su altre due prostitute, entrambe con una storia da raccontare. Ma la trama di sfondo… abbandona lo sfondo e riemerge potentemente in primo piano. E così abbiamo Tess, che avevamo visto di sfuggita due anni fa, diventare un personaggio di primo piano e agganciarsi direttamente alla missione di Yasser e della Last Chance. E di contro abbiamo Cinnamon che pur avendo una backstory tutta da scoprire, ce la svela in un minor numero di tavole, lasciando che il suo spazio personale venga colonizzato dalla trama principale, senza soffrirne troppo.

Insomma, lo schema compositivo rispetta quanto già stabilito, ma al suo interno si iniziano a individuare sfumature e variazioni strutturali. E pagina dopo pagina ci si accorge che Teresa Radice non riesce soltanto a incastrare insieme la storia della protagonista di turno con quella della Last Chance, ma ha la premura di tenere ben presente anche il percorso delle altre ragazze che una volta abbandonato il loro capitolo personale non cessano certo di esistere e continuano a influire sugli eventi. E già che c’è non resiste a farci tornare “a casa”, coinvolgendo anche personaggi e scenari legati più profondamente all’opera madre, Il Porto Proibito, come la locanda di Plymouth in cui ora abitano Nathan con le sue figlie adottive.

Colpisce inoltre il grado di autenticità di questo cast, una cosa di cui già mi ero accorto l’anno scorso con La Terra, il Cielo, I Corvi: i personaggi tratteggiati da Teresa risultano via via più reali. Non obbediscono a codici morali preimpostati, né alle regole del politicamente corretto. Non sono degli stinchi di santo, nessuno di loro è del tutto immune da emozioni negative, leggerezze morali, pregiudizi o scelte discutibili. Fanno cazzate, o fanno cose buone, a seconda di quello che dice loro la testa o il cuore, come la gente normale. Non c’è un giudizio morale del narratore che cerchi di guidare quello del lettore più di quanto non possa fare il mettergli sotto il naso gli eventi. E questo è un dettaglio non piccolo, indice di un certo grado di maturità narrativa.

Graficamente parlando, dopo la parentesi dell’anno scorso, troviamo un Turconi un pelo più cartoon, ma giusto un pelo. Il suo stile evolve nel tempo andando ad abbracciare nuove soluzioni e contaminandosi con impronte più realistiche, ma mantenendo tutta la piacevolezza di quel suo tratto di matrice disneyana, fatto di linee dinamiche, volti espressivi e una certa eleganza generale tipica di chi ha fatto della sua arte un monumento alla sintesi. E veder graziato tutto questo bendiddio da una colorazione di questo livello è una cosa che ti rimette al mondo. L’effetto finale – l’ho detto tante volte, lo dico di nuovo e credo lo dirò anche in futuro – è quello di un film d’animazione ad altissimo budget, i cui migliori fotogrammi sono stati fissati su carta da un adattatore sapiente. E per quanto possa sembrar strano lodare un’opera in termini così derivativi, posso assicurare che per i gusti di chi scrive sarebbe molto difficile riuscire a immaginare un complimento più grande.