Da qualche parte in questo mondo c’è una persona che siamo destinati a incontrare. Potrebbe accadere domani, tra un mese, tra un anno, ma è inevitabile che prima o poi accada. È la leggenda giapponese del filo rosso del destino, secondo la quale ogni individuo fin dalla nascita porta legato al mignolo della mano sinistra un filo indistruttibile. All’altro capo, la sua anima gemella.
Ma per Taki e Mitsuha, protagonisti di Your Name, questa non è solo una leggenda. Da quando hanno assistito al passaggio di una cometa, ogni mattina i due ragazzi si ritrovano inspiegabilmente l’uno nel corpo dell’altra quando si risvegliano. Sembra un sogno terribilmente realistico, eppure a poco a poco, grazie alle reazioni degli amici e della famiglia, i due capiscono che questi scambi avvengono davvero. Non solo: curiosamente, Mitsuha è molto più apprezzata dai compagni di classe quando mostra il lato maschile di Taki, mentre la sensibilità femminile di lei permette al ragazzo di conquistare l’affascinante capocameriera del ristorante dove lavora. Inevitabilmente i due finiranno per innamorarsi l’uno dell’altra, ed è nel momento in cui decideranno finalmente di incontrarsi che Shinkai prenderà le redini della sceneggiatura portandola su binari ben diversi da quelli della commedia adolescenziale. (Da qui in avanti la recensione contiene SPOILER)
C’è un argomento che è particolarmente rischioso per qualsiasi tipo di racconto, e sono i viaggi nel tempo. Il pericolo di strafare, pasticciare e confondere lo spettatore è dietro l’angolo ed è necessario essere un grande storyteller per aggirarlo. Your Name di questo non ha paura: è un tripudio di linee temporali che si intrecciano, si fanno e si disfanno, ci sono salti avanti e indietro nel tempo, paradossi e tutti gli schemi classici del fantascientifico. E nonostante il pensiero, almeno a tratti, che il regista sia lì lì per fare un passo falso, il tutto si risolve in modo pulitissimo, chiudendo un cerchio perfetto in maniera elegante, incisiva ed emozionante.
L’argomento è rischioso, ma Shinkai sa benissimo dove sta andando e soprattutto è in grado di condurci lo spettatore con grande maestria. Una premessa può essere ribaltata completamente, un colpo di scena può sconvolgere tutte le carte in regola: il regista gioca con l’imprevedibile, incastrando i tasselli del puzzle scena dopo scena, in uno schema che è possibile apprezzare solo quando le luci si spengono dopo il finale. È sempre un passo avanti, Shinkai, è inafferrabile. E questo è qualcosa di raro, di intelligente, di esaltante, di visionario.
Your Name è anche una struggente storia d’amore il cui esito è fino all’ultimo incerto. Si incontreranno mai, questi due ragazzi che non si sono mai visti ma condividono l’anima, la vita e persino il corpo? E soprattutto, se anche dovessero prima o poi trovarsi, riusciranno a riconoscersi? Proprio come succede nella realtà, dopo ogni sogno il ricordo inizia a sbiadire e non è più chiaro cosa sia reale e cosa no. Quella per ritrovarsi diventa allora una lotta contro il tempo con il costante terrore di dimenticarsi dell’altro. Chi sei? Qual è il tuo nome? Mille e mille volte ancora i due si ripetono di essere Mitsuha e Taki, si chiamano, urlano i loro nomi al cielo, salvo poi svegliarsi e scoprire di ricordare le emozioni, le sensazioni, le esperienze, ma non quella piccola, minuscola parte di identità che più ci contraddistingue: il nome.
Come se non bastasse una trama che tiene incollati alla poltrona del cinema, Your Name è interessante anche dal punto di vista visivo e specialmente nei curatissimi sfondi, che fanno del fotorealismo il loro punto di forza, e nello studiato uso di luci e colori. La colonna sonora è invece composta da accattivanti brani in stile J-pop della band giapponese Radwimps, che in alcuni segmenti diventano una sorta di videoclip musicali all’interno dello stesso film.
Spiace, tuttavia, che film del genere, diventati veri e propri fenomeni in oriente, debbano arrivare nel nostro paese come eventi speciali di pochi giorni e a prezzo maggiorato, fattori che forse potrebbero scoraggiare alcuni spettatori. Se si desidera proteggere l’animazione tradizionale e l’arte intelligente che non si piega al mercato, il primo passo è rischiare, il secondo è alzare la voce e renderla nota.