
Thunderbolt* è venuto fuori molto bene, e se ne sono accorti tutti.
E in effetti parte da una base sana. Si ricorda cosa davvero piacque del MCU e dunque lo riproduce per bene, senza troppe sofisticazioni. La Fase 1 lo rese palese: era come il giochino del piccolo chimico. Si preparavano sostanze e reagenti a parte, poi le si mescolava insieme e ci si godeva lo spettacolo. Era tutta questione di interazioni: era bello conoscere Tony, Hulk, Thor, Cap uno alla volta e poi vederli interagire di colpo tra loro, contro Loki e via dicendo. In questi anni il progetto si è però sfilacciato, qualcuno ha pensato che il punto di tutto fosse costruire un universo narrativo enorme, ricco di eroi e sottoeroi, generi e sottogeneri per venire incontro ad ogni target, genere, età, etnia possibile, con la scusa di star attingendo a un secolo di diversificata tradizione fumettistica. Si è pensato che il punto fosse riuscire a trasferire in una Hollywood sempre più crossmediale le stesse dinamiche dispersive del cartaceo, espandendosi il più possibile e rimandando sempre più il momento di tirare le somme. Ci hanno guadagnato un pubblico stanco e per nulla disposto a fare i compiti, specie se i compiti includevano progetti strani, collegamenti ad altre timeline, cartoni animati e via dicendo.
Ma Thunderbolts* ci riporta all’illusione iniziale di star seguendo un percorso. Prende i personaggi di Black Widow, FATWS e costruisce un anti-Avengers ispirato e pieno di simpatia e personalità. Riannoda fili lasciati sospesi dall’inizio della Fase 4 e ci proietta verso un futuro organico. Nel far questo si gode il suo cast e lo fa godere anche a noi, ricordandoci di avere in mano figure paradossali e di spessore. Red Guardian e Yelena sono due pezzi da novanta, personaggi proprio belli e ben sviluppati: lei a metà strada tra assassina nichilista e bambinetta ingenua, lui un bambinone egotico con una luce dentro che lo rende a suo modo genuino. Entrambi incastrati in quel residuo di familiarità farlocca che inconsciamente portano avanti anche decenni dopo la fine della loro copertura. Bellissimi. E non è da meno John Walker, detestato da chiunque compreso sé stesso.
E poi c’è un’altra cosa da dire. Questo è un film sulla depressione. E’ proprio il tema portante, che regala alla pellicola una sua identità specifica. Non la racconta in modo didascalico o verbale, ce la fa vedere, usando effetti speciali, trovate visive e “schiette metafore”. Fa quello che dovrebbe fare un buon film MCU, anzi fa quello che deve fare un buon film. Anzi la sparo: fa quello che dovrebbe fare un buon film DISNEY.
Pare che la Fase 5 finisca qui, sempre che abbia senso ancora parlare di Fasi. E considerato tutto quello che vediamo alla fine, le due post credits, il senso dell’asterisco nel titolo, e i numerosi easter egg presenti nei titoli di coda è tra i migliori finali di fase di sempre.
