Dunque. Stamattina è successa una cosa piccola piccola ma con un significato grande grande. Avrei voluto dire grandissimo, ma non esageriamo. Sarà grandissimo quando cambieranno certaltre cose, ma per adesso accontentiamoci.
Su Disney+ hanno caricato la “Collezione Walt Disney Animation Studios”.
Altro non è che una semplice schermata a cui accedere dal pulsante “cerca” (come succede con tutte le altre “collezioni”) che riconduce ad una sezione in cui tutto il Canone WDAS al momento presente in piattaforma è stato finalmente messo in vetrina. Ci sono i lungometraggi – i classici Disney – ordinati cronologicamente, anche se manca ancora l’ottavo (“Musica Maestro”). E ci sono anche i corti e i mediometraggi, perlomeno quelli ad oggi disponibili in piattaforma (ma si sono scordati di inserirne tre, speriamo correggano a breve).
Chi mi segue sa quanto questa cosa sia importante e perché, ma provo a riassumerlo lo stesso. I WDAS sono il “nocciolo artistico” della multinazionale, lo studio d’animazione fondato come prima cosa e che ha dato al marchio Disney la sua ragion d’essere. Amare Disney significa in primis farsi cultori di quella scuola artistica là, capirne l’importanza, i perché, la filosofia creativa, gli ideali estetici e via dicendo.
Disney oggi è un marchio grosso, che ingloba molta roba. E, se si guarda alla schermata principale di Disney+, lo strumento con cui ad oggi l’azienda “narra” sé stessa, si noterà che tutta questa roba mantiene una sua autonomia, una sua riconoscibilità. Guai a dire che un film Pixar è della Marvel o che uno di Star Wars è prodotto dalla National Geographics. Sono tutti filoni chiari, distinti, ben narrati e messi in fila attraverso dei bei pulsantoni inequivocabili.
WDAS no. La realtà più importante fra queste è anche quella peggio narrata in assoluto. Questo anche per ragioni storiche. Prima che Disney iniziasse ad acquisire materiale esterno, prima che iniziasse a creare mille divisioni televisive, WDAS non aveva nemmeno un nome. Non serviva. Era “solo” il reparto animazione di Disney, perché avrebbero dovuto dargli un nome? E’ servito dopo. E porca miseria, se è servito. La mia stessa “mission” internettiana nasce da quella necessità. Perché se sei bimbo e ti fanno uscire “Dumbo 3” senza spiegarti niente, quando lo vedi ti accorgi che qualcosa non va. E che vanno ridefiniti criteri, nomenclature, marchi. Bisogna capire, fare distinguo. Insomma, il piccolo filologo ti tocca diventarlo se non vuoi annegare in una brutta confusione.
Negli anni sono stati fatti passi avanti per dare riconoscibilità e dignità artistica ai WDAS. Si sono dati un nome, un marchio, un canone ufficiale, una presenza social. E sono stati fatti anche clamorosi passi indietro. Ad oggi le edizioni dvd italiane dei Classici riportano una numerazione sbagliata. Ma soprattutto, all’alba di Disney+ è stato un po’ come tornare nel medioevo, quando si è deciso di riunire sotto un unico generico pulsantone Disney qualsiasi cosa sia stata prodotta da filiali interne. Per mesi i classici Disney sono stati buttati nel calderone insieme alla roba televisiva, al live action in un tripudio di pessimo storytelling.
Fino ad oggi.
Non che questo risolva le cose più di tanto. E’ pur sempre una sezione che ti devi andarti a cercare, non sostituisce il pulsantone calderone, né sembra lo si voglia far spiccare come marchio a sé. Ad oggi la Company ha già un bel da fare per trovare il modo di razionalizzare l’oceano di disomogenee etichette acquisite e non ha tempo/voglia di lavorare su una ulteriore suddivisione del marchio Disney, che potrebbe confondere le idee al pubblico che sta cercando di accattivarsi.
Eppure un timido passo avanti è stato fatto.