Lo Strano Caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde

Su Topolino #3070 e #3071 è stata pubblicata la parodia sceneggiata da Bruno Enna e disegnata da Fabio Celoni Lo strano caso del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde, e per l’occasione abbiamo chiesto agli utenti del nostro forum di porre agli autori domande o curiosità sulla realizzazione dell’avventura e sugli sviluppi della trama.

Enna e Celoni si sono infatti resi disponibili a rispondere alle domande che sono state puntualmente poste sul topic dedicato a Topolino. Siamo lieti di presentarvi le loro risposte, e cogliamo l’occasione per ringraziarli nuovamente della disponibilità.

Bramo: Come hai deciso a quali personaggi Disney far interpretare i ruoli dei protagonisti del romanzo di Stevenson?

Bruno: Per Topolino e Paperino è stato facile: solo loro avrebbero potuto incarnare Jekyll (anzi, Ratkyll) e (Donald) Hyde. Va specificato che, almeno dal punto di vista esteriore, per caratterizzare il secondo mi sono dovuto ispirare più a Paperinik che a Paperino. Pipperson non poteva che essere il “magro, lungo, polveroso” Utterson, nonché il motore dell’intera vicenda. Per tutti gli altri ho cercato di calibrare il carattere in base alla natura (topesca o paperesca) di protagonisti e comparse. Solo nel caso di Basetpoole ho deciso di “forzare” un pochino alcuni aspetti caratteriali.

Bramo: L’avvocato Utterson è una figura piuttosto austera e seriosa, nel libro: come hai lavorato su Pippo per calarlo efficacemente nella parte, riuscendo comunque a coniugare la sua filosofia laterale?

Bruno: In realtà, Pippo è rimasto Pippo. Forse è un po’ più serio, preoccupato, consapevole, ma sempre di Pippo si tratta. Resta un tipo distratto, vagamente ingenuo, positivo, pronto a farsi in quattro per il suo miglior amico Topolino. Ma non è stupido (non lo è mai stato), al contrario di Paperoga, che in questa vicenda gli fa da spalla e dimostra di poter convivere tranquillamente con lui.

Bramo: La scena iniziale, raccontata da Richard Duckfield a Pipperson, è lievemente diversa da quella del romanzo: mentre Stevenson non forniva motivazione per il gesto crudele di Hyde che calpesta una bambina, qui inserisci già l’elemento della ricerca degli ingredienti per la pozione. Come mai hai sentito il bisogno di anticipare questo passaggio?

Bruno: Quando leggerete la seconda parte della storia, capirete. Era necessario giustificare i comportamenti di Donald Hyde, in tutto e per tutto. Nel libro, la scena in cui Hyde calpesta la bambina mi ha molto colpito: si tratta di un gesto orribile che definisce all’istante il carattere del personaggio. Donald possiede tutt’altro tipo di carattere, ma è comunque un tipo irascibile. E poi, mi faceva sorridere vederlo (anzi, rivederlo) mentre se la prende con i nipotini (come faceva una volta, magari inseguendoli con il battipanni).

Bramo: Come mai hai scelto di raccontare una storia su bene e sul male, e sulla forza di questa “seconda metà umana”, in una storia Disney? Oltre al piacere di rileggere sotto quest’ottica una grande storia, c’è un messaggio che volevi esporre?

Bruno: Quella scritta da Stevenson è LA storia per eccellenza. Prima o poi, qualsiasi autore deve confrontarsi con essa. In Disney non sono stato certo il primo a farlo e, molto probabilmente, non sarò neanche l’ultimo. D’altro canto, il tentativo di raccontare la “seconda metà umana” è uno dei temi portanti della narrazione in generale. In un certo senso, è come se tutti avessero bisogno di farla emergere, questa benedetta (o maledetta) metà. Visto che mi trovo su un forum, faccio un esempio: alcuni forumisti usano dei nickname per potersi esprimere… diciamo… liberamente. Non si tratta di esprimere il loro lato negativo, quanto quello istintivo, viscerale, nascosto. Il messaggio è: abbiamo tutti un simpatico Hyde dentro di noi. Nel mio caso, ha l’aspetto di Paperino 😉

Valerio: Come ho scritto in quel papiro di recensione, le mie papille disneyane sono state titillate dal vedere un tale dispiego di personaggi. Mentre in animazione siamo abituati a vederli agire insieme, sulla carta bisogna attendere eventi, feste comandate, celebrazioni e storie promozionali perché avvengano “crossover”. Nella vostra storia invece ci troviamo in una Londra in cui paperi e topi convivono con tranquillità come se fosse sempre stato normale, e questa naturalezza nel loro status quo “si respira” a pieni polmoni. L’effetto che mi ha fatto è stata quella di due anime gemelle che finalmente si incontrano e danno vita a qualcosa che va oltre la somma delle loro parti. La cosa funziona così bene che mi sono chiesto se contaminazioni di questo tipo debbano per forza rimanere legate a eventi speciali, e non si potrebbero sfruttare di più. Puoi spiegarci il tuo punto di vista?

Bruno: Avevo già affrontato parzialmente la cosa lavorando sulle tavole di “Kingdom Hearts”, trovandola una cosa molto naturale e per niente forzata. Sono tutti personaggi straordinari, un vero e proprio microcosmo che rappresenta su carta l’universo interiore degli uomini.

Insieme possono rappresentare qualsiasi commedia umana. Dunque non vedo la necessità di tenerli slegati a tutti i costi, poiché le due anime possono convivere molto bene, come abbiamo visto con questa storia. A seconda delle necessità narrative, naturalmente, se serve davvero e non per il solo gusto di fare un minestrone.Per spiegarti il mio punto di vista, parto con un esempio: uno sceneggiatore in erba mi spedisce un soggetto. Descrive una storia pazzesca, in cui succede tutto e il contrario di tutto. In questo soggetto, la logica va a farsi benedire a vantaggio della potenza narrativa. Lo sceneggiatore mi spiega che, alla fine, “era tutto un sogno” ed è convinto che, in conclusione, lo status quo venga ripristinato. Viene da sé che, leggendo una storia del genere, qualsiasi lettore si sentirebbe preso in giro: la scusa del sogno non reggerebbe (certo, in passato è stata usata molte volte, ma proprio per questo è diventata banale e i lettori di oggi sono più smaliziati di quelli di ieri). E poi, diciamocelo, sarebbe troppo facile. Oppure no? E se, invece, l’intera vicenda vertesse proprio sui sogni? Se la storia, per dire, parlasse della materia di cui sono fatti? Forse, in questo caso, un finale del genere potrebbe reggere, se non risultare addirittura necessario. Ecco, credo che l’operazione che io e Fabio abbiamo condotto con Ratkyll è Hyde sia più o meno analoga: la storia regge proprio perché fa della convivenza tra Topi e Paperi il suo punto focale. Il problema è che (a mio parere, è ovvio) può funzionare solo poche volte e a patto che tutto converga nella giusta direzione. Insomma, Paperi e Topi insieme, ma con parsimonia e coerenza. Altrimenti, si rischia il caos.

Bramo: Nei credits della storia sei accreditato, per quanto riguarda il colore, come “supervisore”, ma nell’intervista presente sul “Topo” sembra che tu ti sia occupato dei colori in modo più attivo di quanto faccia pensare una supervisione finale. Puoi spiegare esattamente quale è stato il tuo apporto ai colori della storia?

Fabio: Sì, c’è stata una svista nei credits, ho sì supervisionato i colori ma ho anche partecipato attivamente alla colorazione della storia, insieme a Mirka, in maniera più ampia rispetto a quanto feci con “Dracula”. Inizialmente, vista la peculiarità della storia, avevo suggerito che una colorazione bicromatica ci sarebbe potuta stare bene, sia per cercare di legarci a un certo consolidato immaginario illustrativo che per esaltarne le suggestioni, oltre che per non soffocare il massiccio uso di tratteggi che avevo usato. Poi, insieme a Mirka e a Valentina, abbiamo deciso di abbandonare l’uso del bicromatico perché ci sarebbe già stata una versione speciale (quella in b/n), e dunque abbiamo cercato di avvicinarci a una colorazione che non si discostasse troppo da “Topolino”. La traccia usata quindi è stata quella del lavoro che avevamo fatto per “Dracula”. Da lì in avanti Mirka e io abbiamo lavorato insieme (ognuno al proprio computer) per cercare di ottenere la resa migliore nelle tavole. La figura del supervisore può suggerire l’idea di qualcuno che dice “fai quello” o “fai questo”, ma ero anch’io nel cantiere col caschetto, a sporcarmi le mani (di colore) come operaio.

Bramo: La parte con il dialogo tra Pipperson e Hyde mi piaceva moltissimo anche nel romanzo, e mi ha colpito tanto anche nella versione disneyana: quali scelte grafiche hai compiuto per rendere efficaci delle scene di per sé piuttosto statiche, per quanto cariche di tensione emotiva?

Fabio: Ho giocato con fotografia, regia e suggestioni varie. Fotografia, cioè luci di scena: chiaroscuri e ombre, tratteggiate o nette. Regia, cioè inquadrature, che andassero a suggerire stati d’animo. In qualche modo il disegnatore deve trasformarsi in mago e far provare “a comando” determinate emozioni al lettore. Inquadrature ravvicinate, dal basso, o alcuni tagli possono coinvolgere in maniera diversa di altri. Tutto sta insomma a conoscere le “formule magiche” necessarie e a riuscire a gestirle nel modo più opportuno per veicolare il messaggio a cui si vuole dar vita. Le suggestioni varie invece sono i “trucchi grafici” che ho usato per sottolineare ancora di più certe atmosfere, ad esempio lavorando su volute di nebbia, composizione dell’immagine e dinamiche di corpi e abiti. È sempre un gioco fragile e complesso, il cercare di trovare un equilibrio, un’armonia.

Bramo: Angoscia, inquietudine, chiaroscuri: su quali elementi del disegno hai lavorato maggiormente per imprimere alla storia queste atmosfere gotiche?

Fabio: Credo di aver in parte risposto nella precedente domanda. È un’operazione complessa che richieda un bilanciamento di più elementi. Ho lavorato molto sulle inquadrature così come pure sui chiaroscuri, che suggeriscono pathos e danno tridimensionalità. Un’ombra che scivola su qualcosa può raccontare quella cosa in molti modi. Ho prediletto l’uso del tratteggio, per richiamarmi ad atmosfere grafiche di fine ottocento. È stata una storia estremamente faticosa da realizzare, benché molto divertente: faticosa perché c’è un sacco di roba! Ma non parlo solo di oggetti o personaggi visibili in scena, non è riempiendo a dismisura una tavola che la si rende bella. Intendo anche il disegno “nascosto”, cioè quello che sta dietro a quello su carta. Concettualmente è stata una bella sfida, insomma.
Questo anche perché volevo fondere Disney con un gusto dark che solitamente non gli appartiene, ed era un’operazione piuttosto rischiosa e complicata. Ancora più che in “Dracula”.

Bramo: Alcune movenze dei personaggi (il claudicare di Hyde, i movimenti convulsi di Paperonew quando è fuori di sé, il gesticolare di Pipperson etc.) ricordano da vicino la fluidità dell’animazione: hai guardato a qualche prodotto animato in particolare per ispirarti nella rappresentazione dei personaggi in movimento?

Fabio: No. Quando mi approccio a una tavola siamo io e la tavola bianca, difficile che cerchi spunti visivi da qualche altra parte. Questo semplicemente per evitare di essere troppo influenzato da qualcosa. Ma leggo e guardo moltissimo, e certamente lo studio dell’animazione (non solo Disney) è stata molto importante nella mia formazione artistica.
Credo si noti parecchio nel mio disegno.

LBreda: Ti sei ritrovato a dover disegnare un Paperino “cattivo”. Paperino può essere irascibile, talvolta anche lunatico, ma difficilmente può arrivare a fare ciò che fa in questa storia. Come hai preso la sfida? Renderlo sufficientemente riconoscibile nonostante tutto è stato difficile come sembra?

Fabio: Paperino ha fatto cose assurde in storie del passato, mi vengono in mente alcune cose di Martina di una ferocia totale, ad esempio quando lo fa sparare contro un leone cieco e zoppo, che tra l’altro per vivere chiede l’elemosina a lato strada (e per “il santuario”, nemmeno per sé)! Solo una pagina dopo uccide a fucilate un povero asinello, fuggendo dalla folla che lo vuole impalare. Ed era Paperino, proprio lui, non un qualche terribile personaggio interpretato da Paperino in chissà quale rivisitazione! Altri tempi, certo. Ma insomma, direi di no, non ho avuto particolari problemi a farlo recitare così. È un grande attore, in teoria può fare – quasi – qualunque cosa. E qui noi avevamo in realtà la figura di un papero, generico, mascherato dalle ombre, e appena percettibile sotto la pesante cappa del mantello e della tuba. Il volto, poi, doveva restare sempre nascosto. Ecco, piuttosto è stata questa la sfida vera, far recitare un personaggio che non si doveva vedere in viso, dunque privato dell’arma più potente di un attore, le sue espressioni facciali. Non mi restava che far recitare il suo corpo, anzi la sua intera figura, compresa dei lembi degli abiti! E queste sono tecniche che vengono dall’animazione. Non ho fatto recitare solo la sua figura, ma anche l’ambiente circostante, la nebbia che lo avvolgeva, ad esempio. Insomma sì, è stato difficile come sembra!

Bramo: Nell’acceso confronto tra Hyde e Pipperson, quest’ultimo diventa piuttosto violento: ora, già nella prima parte del botta e risposta in una domanda su Pippo/Pipperson mi avevi risposto che anche in questa parodia “Pippo resta Pippo”, ma qui mulina un’ascia e cerca di usarla “come si conviene”. Come ti sei regolato nel descrivere questa reazione senza superare certi paletti e senza snaturare la classica indole del personaggio?

Bruno: Meglio specificare, allora: anche se mantiene buona parte delle caratteristiche caratteriali di Pippo, Pipperson è comunque un altro personaggio. Per prima cosa, è un avvocato (e questo dovrebbe già stabilire la distanza). Con l’incalzare degli eventi, in lui monta il dubbio, l’incertezza e infine l’orribile consapevolezza di aver perduto il suo migliore amico. Qualcosa scatta e, in questa situazione, persino lui fa emergere il proprio “lato nascosto”. La sua reazione è forse eccessiva, ma adeguata alla situazione, in risposta alla tensione maturata sino a quel momento.

Bramo: Da dove deriva la battuta (ricorrente) sul fatto che Londra tutti scrivono lettere?

Bruno: Nel romanzo tutti comunicano così: c’è sempre una lettera, un biglietto, una missiva da leggere. Mi sembrava divertente evidenziare questo fatto.

Bramo: Alla luce del “messaggio finale”, ritieni che il carattere di Topolino contenga un po’ anche quello di Paperino, e viceversa? In tal caso, come uno sceneggiatore dovrebbe modulare queste ambivalenti caratteristiche nell’uso dei personaggi?

Bruno: Diciamo che, se dovessi scrivere un seguito della storia, farei in modo di modulare il carattere di Ratkyll, arricchendolo di alcuni comportamenti tipici di Hyde. Un Topo un po’ più irascibile, pigro, che di tanto in tanto lancia qualche starnazzo.

Valerio: Sul finale scopriamo che Hyde non era deforme, malaticcio, debole o chissà che. E allora perché celava a tutti il suo volto? Non mi sembra che avesse alcunché da nascondere, né si spacciava per Ratkyll ma si faceva identificare da tutti giustamente come Hyde. Insomma, poteva essere un papero qualsiasi. Da dove derivava questo disagio nel mostrarsi in pubblico?

Bruno: In verità, a parte l’atteggiamento sinistro in generale (utile a generare e a mantenere alta la tensione nella storia), Hyde evita di mostrare il viso soprattutto a Pipperson. Questi, nel corso del suo primo incontro con Hyde, dichiara infatti di scorgere in lui “qualcosa di familiare”. In effetti, forse al pippide basterebbe guardalo negli occhi per intuire la verità e trasecolare. Hyde non vuole shockare l’amico di Ratkyll e si nasconde, sbottando infine a causa della sua insistenza.

Valerio: Al contrario, abbiamo un capitolo in cui Ratkyll è sereno, afferma di stare benissimo e di potersi sbarazzare di Hyde a piacimento. Eppure quel momento è successivo all’episodio del mercato, in cui vediamo Hyde cercare affannosamente il sale raro, suggerendo che la trasformazione era già andata fuori controllo. Come si spiega?

Bruno: Sì, lo afferma rivolgendosi al suo migliore amico, per tranquillizzarlo e fugare i suoi dubbi. In quel momento, probabilmente, è anche convinto di poter risolvere il problema (per tutta la storia, infatti, continua a cercare il famoso sale impuro). Questo al di là della reazione di Hyde che, in effetti, non gli appartiene. Non ancora, almeno…

Dapiz: In Potere e Potenza Artibani uccide Paperino, in Ratkyll e Hyde Donald “scompare definitivamente”… state cercando di dirci qualcosa? 😛 Più seriamente, nonostante la storia si concluda con una nota positiva, non posso fare a meno di considerarlo un finale molto coraggioso e difficile. Ci sono mai stati dubbi su questa scelta?

Bruno: Qualche dubbio mi è venuto, in effetti, ma più andavo avanti più pensavo di non poter concludere la storia in modo diverso. Poi, Hyde non scompare davvero: diventa parte di Ratkyll.

Fabio: Malgrado Hyde non muoia davvero, essendo nient’altri che lo stesso Ratkyll, effettivamente quella parte di lui “soccombe”, sparisce, viene sconfitta. Il finale Disney non poteva certamente essere drammatico come quello di Stevenson, ma in ogni caso credo che sia effettivamente una storia molto coraggiosa, per una serie di ragioni che sono già state evidenziate. Per quello che mi riguarda, mi è sembrata un’ottima chiosa che sposta ancora di una tacca avanti la posizione dei “paletti” a cui eravamo abituati. Ora che la storia c’è e l’avete letta tutti (o quasi!) è entrata a far parte della narrativa Disney, ma mentre la stavamo realizzando, beh… la paura di farla fuori dal vaso c’era. Il rischio è sempre quello di tradire lo spirito disneyano, e in adattamenti così complessi e inusuali può sussistere più che in altre occasioni. Tuttavia, sia Bruno che io abbiamo ben radicato sotto la pelle quello spirito, ne conosciamo i limiti invalicabili e saremmo i primi a fermarci, se dovessimo accorgerci di non stare più facendo Disney. Questa storia, infatti, è totalmente Disney malgrado non si fosse mai visto prima niente del genere. Di questo voglio ringraziare ancora Valentina che, malgrado temesse un licenziamento collettivo con fustigazione in sala mensa dopo aver visto alcune vignette in anteprima, ci ha dato carta bianca e parole di grande incoraggiamento, sempre. E le reazioni dei lettori hanno premiato il suo coraggio.

Bramo: Come hai scelto quali fasi della trasformazione da Donald Hyde a Henry Ratkyll mostrare? Come hai gestito gli elementi topeschi e papereschi in un unico corpo?

Fabio: È stata in effetti una delle parti più difficili da realizzare dell’intera storia. Il rischio era quello di rendere l’immagine sgradevole, deforme, non disneyana. Un personaggio classico che si trasforma in un altro è (anzi, era) praticamente un’eresia. L’unica strada percorribile era quella di tenere un livello “minimo” di gradevolezza nelle forme, nell’eleganza delle linee e nell’aspetto generale, pur nella ripugnanza della trasformazione. E di scegliere alcuni momenti peculiari della trasformazione, stoppando il filmato che avevo nella testa nei momenti più efficaci. Tralasciando sproporzioni dei corpi (poiché Paperino e Topolino le hanno diverse) e concentrandomi sui dettagli, inserendo qualche momento sdrammatizzante all’interno della mutazione, come l’orecchio di Topolino che compare all’improvviso, e non come bubbone che lentamente cresce, insomma evitando “l’effetto blob” che avrebbe reso il tutto sgradevole e in poche parole, non disneyano.

Bramo: Nell’acceso confronto tra Hyde e Pipperson, quest’ultimo diventa piuttosto violento: come ti sei regolato nel ritrarre un Pippo così “estremo” senza superare certi paletti e senza snaturare la classica indole del personaggio?

Fabio: Ho fatto molti studi di posizioni e di dinamiche quando ho realizzato quella scena, anche Pippo ha un limite che non può essere travalicato: il corpo poteva compiere quasi qualsiasi gesto, contorcersi a piacere nella ricerca di una posa più efficace di altre, ma l’espressione non poteva diventare bestiale, mostruosa. Dunque ho calibrato quanto meglio ho potuto questo aspetto. Rimane una scena molto forte: insomma, c’è Pippo che vuol fare a fette Paperino, non son cose che si vedono tutti i giorni, su “Topolino”! Questa scena e quella della trasformazione sono state molto coinvolgenti e stimolanti da disegnare, facevo quasi fatica a credere di starlo facendo davvero!

Bramo: Quanto l’esperienza di disegno realistico e orrorifico su Dylan Dog ha aiutato nella resa estetica del Dottor Ratkyll e di Mister Hyde?

Fabio: Indubbiamente l’esperienza su “Dylan” mi ha aiutato nel gestire i rapporti dei bianchi e neri: anche se ho sempre usato molti tratteggi su “Topolino” anche prima di lavorare per “Dylan”, le storie Disney che ho affrontato dopo (questa e “Dracula” in particolare) risentono di un uso diverso dei neri, la pagina è più pensata per il bianco e nero che per il colore, potrei dire. Anche la regia è più realistica, la telecamera è più mobile, più audace. In queste storie particolari, le inquadrature possono osare di più, posso spingere di più sull’acceleratore se questo serve alla narrazione di quel momento, e naturalmente questo non inficia la disneyanità del tutto, perché Disney non è un’inquadratura o un tratteggio, ma uno spirito.