La scimmia di papà
Rafiki porta la noce di cocco sopra la sua testa, la spezza e si prepara ad eseguire un rituale. E già che c’è… le dà pure un morso. Un gesto piccolo, che può passare inosservato. Oppure cambiarti la vita per sempre. Ero un bambino di dieci anni, quando mio padre mi fece notare questa finezza: Rafiki non si era limitato ad eseguire meccanicamente la sua azione, ma ci aveva aggiunto il morso. Perché probabilmente aveva fame. Era vivo, respirava e pensava. Anni dopo venni a sapere che mostrare sullo schermo ciò che un personaggio pensa, piuttosto che limitarsi a quello che fa, era uno dei principi cardine dell’animazione. E che dietro Rafiki c’era la mano fatata di James Baxter. Ma per quel che ne sapevo all’epoca quel morso fu un’illuminazione, e aiutò senza dubbio a farmi capire il motivo per cui i cartoni animati targati Disney mi toccavano così tanto.
Oggi ho trentadue anni, e da quasi tre lustri porto avanti sul web le mie attività. La principale è la divulgazione della filosofia estetica disneyana, che trovo ancora oggi insuperata. In tutto questo tempo ho avuto come scopo quella di trovare persone affini, con una sensibilità molto vicina alla mia. Per far questo ho acceso un faro: si chiama The Disney Compendium, e rappresenta i due anni più faticosi della mia vita. Portare questa enciclopedica sbatta all’attenzione di chi quest’arte l’ha creata mi è stato possibile solo di recente, quando Luca Chiarotti della Nemo Academy of Digital Arts mi ha invitato a partecipare a Nemoland, una due giorni di incontri, conferenze e masterclass con alcuni dei più grandi talenti dell’animazione. E tra loro c’era sua maestà Eric Goldberg.
Lì per lì pensai di non andare. Non ero dell’umore giusto in quei giorni, e poi il mio inglese è ridicolo e non avrei mai voluto far figure patetiche di fronte al mio idolo. Poi non dimentichiamo il lavoro, le papille gustative interrotte, il gomito che mi fa contatto col piede e… no, non c’erano proprio scuse. Quando ti ricapita di incontrare una leggenda come Eric Goldberg? E così improvviso il viaggio all’ultimo momento della sera precedente: prenoto il primo blablacar che trovo, avviso in ufficio che sarò assente un paio di giorni e telefono al povero Chiarotti intorno a mezzanotte per annunciargli la mia venuta, manco fossi il Cristo. Dopo due o tre ore di sonno agitato e un rapido viaggio in auto, riesco finalmente a raggiungere il cinema dove si svolge l’evento e ho il mio primo incontro con Eric… in bagno. Esprimere il proprio amore e gratitudine imperitura mentre fai pipì può risultare ridicolo, però puoi acquistare punti se mentre lo fai citi i giusti riferimenti. E io penso che complimentarsi per la canzone dell’Appresto in Winnie the Pooh sia un riferimento sufficientemente giusto.
Una linea a tutto tondo
Assistere alla masterclass di Goldberg fa ben capire quanto il ruolo di quest’uomo sia fondamentale per il futuro dell’arte disneyana. Ecco alcune delle sue creazioni principali: Il Genio (Aladdin), Filottete (Hercules), Louis (La Principessa e il Ranocchio), la regia di Pocahontas e delle sequenze capolavoro “Il Carnevale degli Animali” e “La Rapsodia in Blu” in Fantasia 2000. Il trait d’union di buona parte di questi lavori è l’umorismo, la stilizzazione e quel sapore tipicamente cartoon assorbito dopo tanti anni di studi sulla golden age dell’animazione (Disney, ma anche Warner). Ma sono proprio le sinuose forme del Genio e della Rapsodia in Blu a suggerirci l’ideale artistico di Goldberg, che è il vignettista Al Hirschfeld. Alla base dell’estetica di Hirschfeld c’è infatti il principio che si possa costruire un’intero disegno partendo da una semplicissima linea continua: e a ben vedere la maggior parte dei disegni dello stesso Goldberg sono effettivamente composti da pochi ben scelti tratti di matita, in una ricerca incessante e quasi scientifica di sintesi e dinamismo.
Nell’epoca della CGI sempre più veterani del 2d abbandonano gli studios, ma Goldberg non si schioda da lì e il suo nome fa ancora capolino nei credits dei nuovi corti realizzati con tecniche ibride, quando non direttamente nei lungometraggi principali (e il Mini-Maui di Moana sta lì a dimostrarlo). Che sia proprio il guru della bidimensionalità a resistere in un mondo 3D che molti stanno mollando è affascinante: ad oggi Eric è a tutti gli effetti il custode della linea, l’elemento chiave di ogni disegno. E “da dentro” porta avanti la sua battaglia, ricordandoci come alla base dell’animazione ci sia l’abilità di far compiere alla propria mano una raffinata acrobazia. Non solo. Vederlo muoversi in modo buffo sul palco, per spiegare meglio le sue teorie sull’animazione, ci ricorda che un bravo animatore non dev’essere solo un disegnatore, ma anche un attore. Artisti a tutto tondo, insomma.
Pigs is Pigs
È sera e avviene il miracolo. Finita la masterclass io e Iry veniamo invitati dietro le quinte, e nel giro di un quarto d’ora ci ritroviamo spaparanzati comodi comodi su un divanetto a chiacchierare proprio con Eric. La sensazione che ti coglie quando sei finalmente di fronte a un’“anima gemella” con cui condividi idee, filosofie e punti di vista sul cinema è devastante, e lo spirito si libra alto, altissimo. Questo non vuol dire che il mio inglese sia decente, intendiamoci. Anzi, è proprio inaccettabile. Per fortuna che sono italiano, e gli italiani gesticolano. E così mi rendo conto che se muovo le mani in un certo modo, se recito con la giusta enfasi le frasi nel mio inglese maccheronico, i concetti fluiscono e Goldberg mi capisce. E dato che lui è il regista di Pocahontas, arrivano le foglioline magiche ad attivare la traduzione simultanea. Dopotutto, il mio cuore sa, che lui capirà (cit.).
E poi arriva il momento cruciale. Prendo il mio smartphone a vapore e gli mostro il Compendium. Così, senza ritegno. All’inizio Eric non capisce bene di cosa si tratti, il mio telefono va in bomba e mi muoiono in gola le parole. Poi riusciamo ad approdare alla home, gli mostro le liste, le schede e la sua espressione muta di colpo. Non riesce a credere che io possa aver inserito dentro un telefono così piccolo novant’anni di storia degli studios, e così mi mette alla prova. Io gli chiedo di dirmi il nome di un lungometraggio qualsiasi per dimostrargli che c’è ogni cosa, ma lui prova a prendermi in contropiede e mi chiede invece un corto del 1954: Pigs is Pigs. Si tratta di un gioiello di stilizzazione, realizzato in quella fase della storia degli studios in cui a predominare era l’animazione limitata. Di certo non fra i più conosciuti. Anzi, diciamo proprio che trovare qualcuno che lo conosca al giorno d’oggi è impossibile.
Ma io sono il Grrodoni, quindi due colpi di pollice e BAM ecco la scheda di Pigs is Pigs: http://www.ilsollazzo.com/c/disney/scheda/PigsIsPigs. Goldberg rimane di stucco, fa un sorrisone e va in brodo di giuggiole, complimentandosi per l’assoluta completezza dell’opera. Ce l’ho fatta, il suo scetticismo è svanito e io sono riuscito a portare il lavoro della mia vita all’attenzione di chi la mia vita in un certo senso l’ha plasmata. C’è chi dice che non bisogna mai conoscere i propri idoli, perché poi si rimane delusi. E in effetti mi è successo, più e più volte. Non questa.
Andreas, Susan e Bruno
La seconda giornata è ancor più sbalorditiva. Quelli della Nemo sono veramente i migliori, e infatti hanno organizzato un concerto pazzesco che ripercorre le colonne sonore di alcuni dei più importanti capisaldi dell’animazione mondiale. C’è di tutto: Disney, Bluth e persino Takahata, passando con nonchalanche da Alan Menken a Joe Hisaishi. E viene organizzata addirittura una sorpresona per Eric, chiamato sul palco per ricevere il premio dell’accademia: ad attenderlo c’è un videomessaggio di auguri appositamente registrato dal suo storico collega Andreas Deja, un’altra leggenda Disney del suo calibro. “L’incontro” fra i due, sebbene in differita, rappresenta uno dei momenti più alti dell’intera esperienza: due tasselli fondamentali di un mosaico artistico perduto che tornano finalmente a sfiorarsi, anche se per breve tempo. Sniff.
Ma la commozione sale alle stelle quando conosco Susan Goldberg, compagna di vita e collaboratrice fedele di Eric. Lavoro, arte e amore riuniti insieme in un unico grande e meraviglioso rapporto. Il marito non perde tempo e nel presentarmi a lei le descrive il Compendium, come “un blog in cui ho inserito ogni singolo corto, ogni singolo lungometraggio, tutto, tutto!!”, e io ovviamente in quel momento assurgo ai verdi pascoli del cielo. Poi torno giù, perché ho dell’altro lavoro da fare. Non ho finito con i Goldberg ancora, e quindi già che ci sono discuto con Susan del nuovo cortometraggio Gone Fishing, presente nel blu-ray di Moana (che nel frattempo mi è stato autografato). E infine parliamo dell’animazione italiana e di quella che a tutti gli effetti rappresenta la sua eccellenza: Bruno Bozzetto. Ecco, Bruno è un altro esempio di artista in grado di esprimersi appieno con una sola semplice linea. Nel suo lavoro c’è espressività, c’è sintesi, c’è stilizzazione ma soprattutto – come non manca di ricordarmi Eric – “It’s funny!”. L’ultimo ricordo che ho di quella brillante chiacchierata è di Goldberg che canticchia insieme a me le prime note della Danza Slava n. 7 di Dvorak. Il motivo del duetto è riportare alla memoria uno dei segmenti più brillanti di Allegro Non Troppo, una buffa parabola sul conformismo sociale, arguta e dissacrante, alla maniera di Bozzetto.
E’ il momento dei saluti, e si comincia con Chiarotti. Tanto per cominciare lo ringrazio e gli faccio i complimenti, perché il livello della manifestazione era davvero altissimo. Mi sono davvero sentito “a casa”, e non pensavo che qui in Italia la cultura dell’animazione potesse trovare un così bel rifugio. Mi auguro che il lavoro che quelli della Nemo stanno facendo continui a lungo: ci sono sensibilità artistiche che rischiano di andare perdute, e servono persone in grado di tenerle ben deste, trasmettendole alle prossime generazioni.
E infine mi tocca congedarmi da Eric. Come si saluta una leggenda? E’ bene lasciargli un ricordo positivo, senza voler lasciare il segno a tutti i costi. E bisogna anche stare attenti a non apparire troppo fanboy, che di appassionati immagino che ne avrà a frotte. Inizialmente faccio appello alla mia calma, compostezza e professionalità. Lo guardo negli occhi, gli stringo la mano con convinzione… e poi crollo, avvolgendolo in un caldo abbraccio, di quelli che daresti a Babbo Natale quando sei bambino. Una lacrima mi riga il volto, mentre con fare impacciato e leggermente goffo gli sussurro la cosa più sincera e spontanea che mi viene in mente:
“You inspired my life.”