Encanto

Tra Plussing e Prospettiva

Le radici del progetto Encanto risalgono al 2016, quando vengono ultimate le lavorazioni di Zootopia e Moana, e alcuni importanti artisti di quei film si rendono disponibili per essere coinvolti in qualcosa di nuovo. John Lasseter, allora a capo dei WDAS, offre così a due registi di Zootopia, Byron Howard e Jared Bush, di dirigere un altro film, questa volta un musical, lavorando a stretto contatto con il compositore di Moana, Lin-Manuel Miranda. L’idea di Howard è quella di parlare di famiglia, di difficoltà relazionali e di quei diversi punti di vista che spesso ci impediscono di comunicare in modo efficace, tutti temi che il regista trae dal suo personale vissuto. E’ invece Miranda a proporre di ambientare tutto in America Latina, e nello specifico in Colombia, melting pot per eccellenza delle varie etnie e delle diverse ambientazioni che si possono trovare in Sudamerica. Il tradizionale viaggio di ricerca avviene dunque là, con lo stesso Miranda a far da guida turistica per gli artisti dello studio, che si ritrovano così ad ammirare città come Cartagena, Bogotà, Barichara, Salento e Palenque, aree delimitate da catene montuose in grado di preservare biomi molto distinti e offrire al film quella pluralità di prospettive che si andava cercando.

Il viaggio in Colombia si rivela particolarmente illuminante per la squadra, che riverserà poi nel film buona parte delle lezioni apprese, come l’importanza del modello familiare matriarcale o la credenza locale che esistano alcuni luoghi benedetti, chiamati appunto “encanto”, in grado di far fluire nel nostro mondo qualcosa di molto simile alla magia. Importante nello sviluppo del film è anche il concetto di “realismo magico”, genere letterario locale nato all’inizio del secolo, che vede fra i suoi massimi esponenti Gabriel Garcia Marquez, Isabel Allende e Jorge Luis Borges, e propone un approccio più verista alla narrativa fantastica. Il proposito degli autori è di fare in modo che il film possa omaggiare a dovere tale corrente ed è a questo scopo che viene aggiunta al team di registi la sceneggiatrice Charise Castro Smith (The Haunting of Hill House), amante di quel genere e con un curriculum molto vicino alle tematiche trattate. Come accaduto con Moana e Raya, anche in questo caso lo studio si avvale della consulenza di un gruppo di esperti di cultura locale, il Colombian Cultural Trust, composto da professori di botanica, architetti, storici, sociologi e addirittura una squadra di studiosi specializzati nella rappresentazione dell’etnia afro-colombiana. Infine non si può non citare il team Familia, un sottoinsieme trasversale di dipendenti WDAS accumunati dall’origine latina, col compito di condividere con gli artisti dello studio le proprie esperienze personali familiari.

Insomma, lo sviluppo di Encanto inizia col piede giusto, specialmente sul fronte della documentazione e della ricerca, con un metodo di lavoro all’insegna della contaminazione tra punti di vista. Questo cambio di passo si riflette anche sul team adibito allo sviluppo visivo: è Ian Gooding (The Princess and the Frog, Moana) a tenerne le redini, condividendo con Lorelay Bové il ruolo di production designer. La direzione artistica degli ambienti spetta a Camille Andre e Mehrdad Isvandi, mentre quella dei personaggi tocca all’ormai collaudatissimo Bill Schwab (Wreck-It Ralph, Frozen, Moana). Eppure il loro lavoro viene portato avanti in maniera tutt’altro che compartimentata, con il ruolo di ogni artista che sconfina volutamente in campo altrui. A differenza che in passato, non accade infatti che un personaggio venga sviluppato da un singolo designer, ma che passi di mano in mano venendo via via arricchito, con un approccio creativo che Walt Disney stesso definì plussing. In questo folle clima di caos organizzato emerge presto lo scheletro della storia, e sebbene in una prima fase di sviluppo sia di scena la Colombia degli anni 50, ad un certo punto si preferisce spostare tutto all’inizio del 900, all’indomani della cosiddetta Guerra dei Mille Giorni. Il nucleo narrativo rimane però il rapporto tra Mirabel, una ragazza nata senza poteri in una famiglia di persone straordinarie, e la ruvida ed enigmatica Abuela Alma.

Indagine Casalinga

Encanto ha una struttura un po’ diversa rispetto ai lungometraggi animati del periodo: non racconta un grande viaggio, né ha gli elementi del tipico buddy movie. L’intera narrazione si svolge all’interno di uno stesso edificio, con qualche sbirciata sul villaggio e sulle zone montuose circostanti. Eppure, il film non risulta monotono o asfittico: i variopinti scenari colombiani e il fatto che il setting sia una villa senziente, capace di aprirsi su un gran numero di stanze magiche che ampliano di continuo l’orizzonte visivo, compiono un vero e proprio miracolo, regalando al film un dinamismo senza pari. La casita in questione ospita i dodici membri della Famiglia Madrigal, otto dei quali sono stati benedetti da un dono, un potere magico che sottolinea e accentua le loro personali inclinazioni. Mirabel, la protagonista, è l’unica in tutta la generazione corrente a essere nata senza alcun potere ma con un forte senso di inadeguatezza, reso ancor più difficile dall’atteggiamento freddo della nonna Alma, matriarca di casa Madrigal. Sebbene l’intero cast sia composto da figure positive, tra i membri della famiglia non mancano segreti e piccoli silenzi, dei non detti capaci di aprire delle crepe vere e proprie tra le mura della casa, indebolendone la struttura e compromettendo il miracolo che la sostiene.

A intrigare in Encanto è che, pur parlando di famiglia e magia, lo scheletro narrativo ripercorre gli snodi di una vera e propria detective story. Mirabel, desiderosa di riscatto, si mette in testa di scoprire cosa sta succedendo alla casita e intraprende quindi un’indagine tra le mura domestiche che possa far emergere la verità. Il risultato è un’irresistibile collezione di testimonianze da parte dei singoli membri della famiglia, raccontate attraverso delle sontuose sequenze musicali, che onorano e rinnovano la grammatica narrativa del cinema disneyano. Le tematiche familiari che si volevano mettere in campo vengono ben sviscerate: alcuni Madrigal malsopportano la forte pressione sociale data dai loro poteri, qualcuno si reprime, altri ancora non hanno la più pallida idea di cosa provino davvero i propri congiunti, e c’è addirittura uno zio, Bruno, che vive come un reietto nelle intercapedini dell’edificio per paura che il suo dono di preveggenza possa recare disturbo agli altri. In quest’odissea fra prospettive e punti di vista, Mirabel si prende cura di ogni crepa, riabilitando Bruno e finendo per trovare quel ponte comunicativo con la nonna in grado di ricreare le fondamenta del miracolo.

Si tratta di un film profondamente moderno, calato pienamente in quella che è la sensibilità contemporanea, fatta di ripiegamento interiore e messa in discussione di quei modelli precostituiti che un tempo si davano per scontati. Da qualche tempo l’animazione disneyana è entrata nella sua fase psicanalitica, in cui i personaggi affrontano i propri demoni interiori piuttosto che veri e propri antagonisti, ed Encanto è uno dei migliori esempi di questa nuova poetica. Tuttavia, i pur ricchi contenuti non basterebbero a far funzionare l’intero impianto se a sostenerlo non ci fosse quel particolare piglio narrativo fatto di follia, vivacità ed esuberanza. La verità è che Encanto è un film incredibilmente ispirato, in cui sembra che ogni aspetto della macchina produttiva disneyana abbia effettivamente lavorato in perfetta sintonia col resto. I guizzi sono tanti, innumerevoli e riguardano un po’ tutti gli aspetti dell’opera, dall’umorismo alla musica, passando per il raffinato stile recitativo e gli audaci movimenti di macchina da presa. Il risultato è una pellicola sinestetica e proprio per questo profondamente disneyana, carica di quella stessa creatività ed energia che solo un decennio prima risplendeva in Tangled. Non è un caso che i due film abbiano in comune una figura chiave come il regista Byron Howard.

Emozioni Coreografiche

Il gran lavoro fatto dal team di Gooding e Bové sullo sviluppo visivo di Encanto colpisce sin dai primissimi momenti, quando lo spettatore viene trascinato in un mondo colorato e ricco di appeal. L’approccio disneyano alla costruzione degli ambienti in CGI rifugge ancora una volta il fotorealismo, e così gli scenari costruiti dagli art director Camille Andre e Mehrdad Isvandi spiccano, oltre che per il loro accattivante design, anche per un uso puramente emotivo del colore e della luce. Si tratta di una cinematografia che in gergo viene definita “romantica”, e costituisce la quintessenza dello stile WDAS applicato all’animazione tridimensionale: non c’è un reale interesse a riprodurre la realtà ma si preferisce manipolare le percezioni dello spettatore per ottenere la risposta emotiva ideale a calarlo nella storia. Oltre al villaggio e alla splendida ambientazione silvestre che lo circonda, a spiccare fra gli ambienti del film è soprattutto la magica casita che con le sue stanze “più grandi all’interno” somiglia a un vero e proprio parco a tema. L’incredibile numero di variazioni date dalla sua magia elimina qualsiasi traccia di claustrofobia, regalando al film alcune sequenze visivamente indimenticabili.

A colpire è anche il modo in cui si è scelto di fare della casa un personaggio, costruendo per lei uno “stile recitativo” ad hoc. Gli artisti dimostrano di aver imparato bene la lezione del passato, riportando in scena la grande pantomima disneyana e inserendosi in un percorso che ha già visto illustri esponenti come il tappeto magico di Aladdin o l’oceano senziente di Moana: la casita è viva e comunica con i suoi abitanti scuotendo le supellettili, giocando con le ante e gli sportelli, scomponendo le piastrelle, ma senza mai deformarsi troppo o far perdere all’arredamento la giusta consistenza. Grazie a questi mirati accorgimenti, la sensazione di star interagendo con un reale edificio non viene mai meno. Da notare poi che dopo dieci anni di lungometraggi in formato panoramico, con Encanto si ritorna ad un aspect ratio rettangolare, così come non accadeva da Tangled e Winnie the Pooh. Sicuramente la crescente importanza della fruizione domestica rispetto a quella nelle sale è stata determinante nella scelta, tuttavia c’è anche una ragione puramente narrativa: Encanto vuole essere un film intimista e character driven, e con questo formato è possibile avvicinarsi maggiormente ai personaggi in scena, laddove il panoramico rende meglio invece con i film d’azione.

Una tale attenzione al legame con i personaggi non deve stupire se si pensa che il film ha un cast di ben dodici figure principali che devono risultare tutte memorabili e riconoscibili, laddove in genere ci si focalizza solo su quattro o cinque protagonisti pienamente caratterizzati. Il lavoro fatto dal team dell’art director dei personaggi Bill Schwab è ottimo, e in linea con quanto visto nei film precedenti, ma qui grazie al già citato sistema di lavoro del plussing ogni personaggio da Mirabel a Luisa, passando per Pepa, Felix o Bruno porta con sé differenti eco stilistiche. Fra queste non si può non citare Jin Kim, ancora una volta punta fra i designer del team di Schwab, che continua a far sentire potentemente la sua voce, celebrando il percorso stilistico compiuto dalla figura umana a partire da Rapunzel. A Renato Dos Anjos e Kira Lehtomaki si deve infine la supervisione generale dell’animazione vera e propria, decisamente raffinata ma dallo stile più teatrale ed estroverso rispetto alla mimica misurata di Frozen II. E’ un tipo di recitazione profondamente coreografata, che ha reso necessario coinvolgere alcuni ballerini professionisti per supervisionare la personalità del cast, come del resto era già avvenuto nel precedente corto Us Again. Ammirevole infine che questa sensibilità danzereccia non risparmi nemmeno la regia, come dimostrano le frequenti inquadrature ardite e i numerosi voli che la telecamera compie nello spazio scenico.

Un Titanico Lin-Manuel

Non c’è alcun dubbio che Encanto faccia della sua colonna sonora il vero e proprio fulcro dell’intera esperienza. Se per quanto riguarda la partitura strumentale troviamo accreditata quella stessa Germaine Franco che aveva firmato per Pixar la musica di Coco, tutte le canzoni sono invece farina del sacco di Lin-Manuel Miranda, vero e proprio nume tutelare del progetto. Già famoso per lo spettacolo di Broadway Hamilton, che ripercorreva a ritmo di hip-hop la storia di uno dei padri fondatori degli Stati Uniti, Lin Manuel aveva già lavorato a più riprese per la casa del Topo, interpretando ruoli in Mary Poppins Returns e DuckTales e firmando la splendida colonna sonora di Moana. Pur avendo portato a casa un risultato di tutto rispetto, il Miranda di Moana aveva preferito procedere in punta di piedi e col freno a mano tirato, per non interferire troppo con la robusta tradizione del musical disneyano. In Encanto questo non succede e Miranda si lascia totalmente andare all’ispirazione, mescolando insieme generi diversissimi, osando dove possibile e confezionando un vero e proprio baccanale animato.

  • The Family Madrigal. Quella che nel linguaggio del musical viene spesso definita l’happy village song serve a settare il tono e a presentare l’ambientazione del film. Miranda inizia a osare sin dai primi minuti, costruendo una sequenza musicale volutamente esagerata, una vera e propria lezione che Mirabel impartisce ai ragazzi del villaggio sull’albero genealogico dei Madrigal, elencando i personaggi, spiegando i loro poteri e le loro relazioni di parentela. Si tratta di esposizione purissima, una vera e propria sfida che Miranda pone all’attenzione dello spettatore, e una maledizione per qualsiasi responsabile dell’adattamento in altre lingue, data la difficoltà dello star dietro ad una tale energia. Il genere qui citato è il vallenato, che man mano che il brano prosegue con maggior velocità si trasforma in un concitato rap, in cui l’associazione tra musica e immagine crea un dirompente effetto umoristico. Vengono inoltre anticipate alcune note del tema della nonna, Dos Oroguitas, che ritroveremo poi eseguita più tardi nel film, con un ritmo molto differente.
  • Colombia, Mi Encanto. Cantata da Carlos Vives, leggenda del pop colombiano, è l’unica canzone non diegetica della colonna sonora, un brano dance/pop perfetto per essere estrapolato e trasformato in un singolo da passare in radio. Nel film la sentiamo ben due volte: accompagna la festa organizzata in onore del piccolo Antonio all’inizio, e la ritroviamo più tardi a introdurre i titoli di coda. Chiassosa e trascinante, esprime alla perfezione l’energia creativa che il film è in grado di sprigionare. Le immagini che la accompagnano durante la cerimonia mettono in mostra la meravigliosa gamma cromatica, aiutano a fidelizzare ancor più con i vari componenti della famiglia e permettono alla telecamera di librarsi nel cortile della casita. Un’introduzione a dir poco mirabile alle meraviglie del film.
  • Waiting for a Miracle. Si tratta della tradizionale i want song con cui la protagonista racconta agli spettatori il suo senso di inadeguatezza. Qui Miranda passa a un altro genere tipicamente colombiano, il bambuco, e si diverte a sottolineare l’alienazione di Mirabel raccontandola attraverso la variazione ritmica. Il pezzo infatti, tra tutte le canzoni, è l’unico scritto con un ritmo ternario (6/8 in partitura) e questo lo discosta del resto dei brani in scaletta, accentuando la sensazione che Mirabel risulti “fuori tempo” rispetto al resto dei suoi familiari. Raccontare attraverso la musica permette di indurre percezioni sottotraccia e aumentare l’efficacia dell’impianto narrativo, una lezione tipica del cinema disneyano che Miranda dimostra di saper ampiamente sfruttare.
  • Surface Pressure. Con la canzone della poderosa Luisa inizia l’indagine di Mirabel all’interno del mondo interiore dei suoi familiari. Qui è di scena il reggaeton, altro genere latino che Miranda infila arditamente all’interno del canone filmico disneyano, condendolo con un po’ di hip hop. La sequenza è una fantasia visiva fatta di gag dinamiche, che mostrano la povera Luisa reggere sulle spalle il peso del mondo intero, con un uso del colore a dir poco aggressivo. Uno dei pezzi più orecchiabili e visivamente appaganti, non stupisce che, dopo Bruno, si sia rivelato il brano di maggior successo dell’intera partitura.
  • We Don’t Talk About Bruno. Esistono casi, benché rari, in cui il grande successo di un’opera giunge inaspettato e innesca un rinnovamento culturale in grado di spalancare le porte ad una maggior comprensione di una determinata forma d’arte. Difficilmente un tempo ci si sarebbe aspettati che una cupa villain song, venata di umorismo nero, avrebbe superato in popolarità certi pezzi da novanta del genere musical come i temi d’amore e le i want song. La stessa Disney ha sempre spinto per la candidatura agli Oscar di ben altri temi, confermando e incoraggiando molti stereotipi del cinema musicale. Poi un brano come questo diventa la hit principale della loro discografia, scavalcando capolavori come Let It Go e d’un tratto appare chiaro quanto l’orizzonte narrativo del musical disneyano sia più ampio del previsto. We Don’t Talk About Bruno è un brano corale in cui i diversi esponenti della famiglia Madrigal offrono la loro testimonianza sulle presunte malefatte del misterioso zio Bruno. Miranda realizza qui un collage definitivo di salsa, guajira, folk cubano, hip hop e dance, mentre uno dopo l’altro i personaggi si esibiscono in siparietti sempre più ispirati, fino a far convergere tutto in un climax caotico e sfrenato. L’umorismo è ai massimi livelli, come anche l’animazione, i colori e luci rendono accattivante ogni frame e la telecamera si inclina in maniera ardita, regalando allo spettatore il punto di vista del corpo di ballo. Cosa più importante di tutte, quanto avviene sulla scena è assolutamente radicato nella storia, traendo forza dall’intreccio e galvanizzando a sua volta l’impianto narrativo. Non stupisce che la sequenza abbia avuto l’effetto di catturare l’attenzione di un pubblico così grande. Probabilmente la miglior mossa di marketing involontario di cui il cinema disneyano potesse beneficiare.
  • What Else Can I Do?. La gemella di Surface Pressure è invece il canto di liberazione di Isabela, l’altra sorella di Mirabel, costretta dalla pressione familiare a interpretare il ruolo della ragazza d’oro ma con il desiderio represso di dar sfogo alla sua creatività. Il brano giunge in fase molto avanzata della narrazione, forse addirittura tardi, quando in genere si raccolgono le fila di quanto seminato fin lì. Miranda però decide di non sottostare ad alcun limite e di alzare ulteriormente la posta in gioco aggiungendo al menu una ballata rock in stile Shakira, accompagnata da una sequenza di immagini cromaticamente chiassose, in cui Isabela si diverte a creare scenari botanici improbabili e vagamente aggressivi.
  • Dos Oroguitas. Questa lenta e romantica ballata viene eseguita fuoricampo dal cantautore Sebastiàn Yatra e lasciata completamente in spagnolo. Il motivo è che lo stesso Miranda voleva che sembrasse un brano folk preesistente, per far da cornice ideale allo struggente flashback della nonna. Sullo schermo scorrono immagini di una delicatezza incredibile, mentre viene raccontata una storia d’amore, di felicità e di perdita. Il sentimento è davvero ai massimi livelli, e viene supportato da un’animazione e un piglio recitativo di un’intensità fuori scala. La scena in cui Alma rivela di aspettare tre gemelli, la fuga dal villaggio in piena guerra civile, la morte del marito raccontata attraverso il volto straziato dal dolore della moglie, tutto è ai massimi livelli e dimostra la grande maturità artistica raggiunta dalla CGI disneyana. Dos Oroguitas rappresenta il nucleo emotivo di Encanto e aggiunge un’altra importante pagina alla storia dell’animazione Disney.
  • All of You. Il trionfale numero musicale che chiude Encanto rappresenta l’ultimo colpo di coda di un Lin-Manuel Miranda sempre più su di giri. Si tratta di un gigantesco medley in cui vengono ripresi tutti i brani introdotti fino a quel momento e fusi insieme per ottenere qualcosa di nuovo e diverso. Come nella canzone d’apertura, Miranda procede a gran velocità e bisogna davvero fare attenzione al gran numero di concetti, gag e sorpresine varie che vengono messe in bocca ai personaggi, allo scopo di concludere ciascun arco narrativo. Si riesce a trovare spazio proprio per tutti, raccogliendo la semina musicale sparsa fin qui (c’è addirittura un riferimento a Let It Go) e rilanciando addirittura con strofe nuove che entrano a gamba tesa nel territorio del rap. Miranda da un lato osa e sfida continuamente le aspettative dello spettatore, dall’altro dimostra di saper usare benissimo gli strumenti a sua disposizione, mettendo ogni singolo tema musicale pienamente al servizio della narrazione generale.

Prevedere l’Imprevisto

Encanto costituisce uno dei più felici traguardi dell’intera filmografia disneyana. Un film così ispirato e pieno di brio da fornire una valida testimonianza sul buono stato di salute dei WDAS in questo momento della loro storia. Ed è paradossale se si pensa che dopo una prima fase di sviluppo basata appunto sull’interazione fra i reparti, la produzione del film vera e propria è avvenuta in piena pandemia di Covid-19, costringendo gli artisti a cancellare un secondo viaggio di ricerca già pianificato e lavorare a distanza all’interno delle proprie case, come accaduto con il precedente Raya. La difficile situazione generale però non ha sottratto nulla alla bontà del risultato, e non è riuscita nemmeno a frenare la penetrazione del film nell’immaginario collettivo, a dispetto della sua anomala modalità di distribuzione. Il film esce il 24 novembre 2021 nelle sale cinematografiche, abbinato al bellissimo cortometraggio Far From The Tree diretto da Natalie Nourigat, che porta avanti la sperimentazione sulle tecniche d’animazione ibride iniziata con Paperman. A sorpresa, apre lo spettacolo un logo WDAS personalizzato che indica Encanto come il 60th Animated Motion Picture, sulla falsariga di quanto accaduto più di un decennio prima con il cinquantesimo, Tangled. Il desiderio di narrarsi al pubblico come una casa di produzione con un percorso chiaro e ben definito è ancora molto forte.

Il settore cinematografico non si è però ancora ripreso dagli scossoni dovuti allo scenario pandemico, e così in un primo momento il risultato al botteghino è tiepido, ed Encanto non spicca particolarmente sulle proposte concorrenziali. La strategia distributiva della Casa del Topo è però mutata e la sua permanenza nelle sale viene vissuta in maniera non dissimile da un’uscita tecnica. Soltanto un mese dopo, in occasione delle feste di Natale, Encanto viene rilasciato gratuitamente su Disney+, con cortometraggio allegato, e trova così la sua reale collocazione. Il film viene riscoperto da un pubblico che si dimostra incredibilmente ricettivo al suo linguaggio e alle sue tematiche, facendone un vero e proprio fenomeno culturale. La storia di Mirabel trova ampia cassa di risonanza nell’esperienza dello spettatore contemporaneo, che si riconosce nella sua alienazione e nella sua ansia da prestazione, mettendo in discussione il proprio rapporto con le istituzioni. Il buon lavoro fatto sulla rappresentazione delle etnie e della cultura colombiana ottiene inoltre il plauso degli spettatori latinoamericani, e ogni singolo personaggio della Famiglia Madrigal si guadagna la sua personale fanbase.

Ma sono le canzoni a compiere il miracolo più grande: il lavoro di Miranda funziona, anche troppo bene. Ogni brandello di colonna sonora diventa virale, genera meme e video su TikTok e ad emergere prepotentemente in tutto questo è We Don’t Talk About Bruno che con la sua aria sinistra, il suo umorismo intrinseco e la sua particolare struttura si presta ad essere spezzettata e reinterpretata a piacimento. Ben presto Bruno diventa il più grande successo discografico disneyano, ed Encanto si ritrova così a scalzare la colonna sonora dei due Frozen dalle classifiche globali. In parte tutto questo rimane un caso fortuito: un film che, consapevole della sua potenza espressiva, si impone all’attenzione del pubblico, finendo per raggiungere il successo attraverso quelle stesse componenti su cui il marketing tempo addietro avrebbe invece glissato. Un imprevisto dai risvolti paradossalmente educativi. D’altra parte il comportamento imprevedibile della pellicola rientra all’interno di una strategia più ampia: la Disney dei nuovi anni 20 ha ormai definitivamente scollegato il successo di un film dai suoi quindici giorni di performance al botteghino, iniziando a puntare su una nuova forma di distribuzione, tagliando scomodi intermediari e prendendo in considerazione altre variabili. Una piattaforma streaming è un laboratorio sempre attivo, in cui ogni prodotto ha una vita potenzialmente illimitata e può impollinare il pubblico in modi sempre diversi. Basta avere la pazienza di sedersi e aspettare che si rinnovi il miracolo.

Scheda pubblicata il 21 Novembre 2022.

di Valerio Paccagnella - Laureato in lettere moderne, è da sempre un grande appassionato di arti mediatiche, con un occhio di riguardo per il fumetto e l'animazione disneyana. Per hobby scrive recensioni, disegna e sceneggia. Nel 2005 fonda “La Tana del Sollazzo”, piattaforma web per la quale darà vita a diverse iniziative, fra cui l'enciclopedico The Disney Compendium e Il Fumettazzo, curioso esperimento di critica a fumetti. Dal 2011 collabora inoltre anche con Disney: scrive articoli per Topolino e Paperinik, e realizza progetti come la Topopedia (2011), I Love Paperopoli (2017) e PK Omnibus (2023).

Scheda tecnica

  • Titolo originale: Encanto
  • Anno: 2021
  • Durata:
  • Produzione: Yvett Merino, Clark Spencer
  • Regia: Jared Bush, Byron Howard
  • Sceneggiatura: ,
  • Musica: Germaine Franco, Lin-Manuel Miranda
Nome Ruolo
Jared Bush Regista; Sceneggiatura
Charise Castro Smith Sceneggiatura
Germaine Franco Musica
Byron Howard Regista
Yvett Merino Produttore
Lin-Manuel Miranda Canzoni
Clark Spencer Produttore

Bibliografia

Sul film:

  • J. P. Reyes L. J., The Art of Encanto (2021: Chronicle Books [US]).

Eredità:

  • Naibe Reynoso (adapt.), Alejandro Mesa (ill.), Encanto – Little Golden Book (2021: Random House [US]).

Home Entertainment

  • [1] Encanto - ULTIMATE COLLECTOR'S EDITION. (United States: Buena Vista Home Entertainment, 2022) 4K-UHD/BRAY. Blu Ray/DVD Version (United States: Buena Vista Home Entertainment, 2022)
  • .

Extra

Documentari

  • Familia Lo Es Todo [1][Disney+]
  • Discover Colombia [1][Disney+]
  • A Journey Through Music [1][Disney+]
  • Let's Talk About Bruno [1][Disney+]
  • Our Casita [1][Disney+]
  • Outtakes [1][Disney+]
  • Journey to Colombia [1][Disney+]

Work-in-Progress

  • Deleted Scene: Chores! [1][Disney+]
  • Deleted Scene: Another Way In [1][Disney+]
  • Deleted Scene: Isabela Goes Into The Woods [1][Disney+]
  • Deleted Scene: Back to the Mural [1][Disney+]

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